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L'ora del cemento: fast and furious

Gli hardcourt dell'estate nordamericana sono i terreni di gioco sui quali si è intervenuto meno nel corso degli ultimi anni. Ecco perché, pur continuando a restare 'democratici', adesso sono rimasti i campi più veloce in circolazione.

di | 26 luglio 2019

Kevin Anderson

Cosa hanno in comune Marin Cilic, Juan Martin Del Potro e Stan Wawrinka? Ebbene, hanno tutti e tre vinto gli Us Open, l'ultima prova stagionale dello Slam. Riuscendo dunque a fare ciò che invece a Wimbledon non è mai riuscito a nessuno: interrompere il dominio dei Fab 3 più Murray (che ormai chiamarli Fab 4 potrebbe risultare stonato). Non è soltanto una questione di stanchezza, del fatto che nella seconda parte dell'anno i migliori possano arrivare con le batterie un po' scariche e dunque lasciare più spazio alle 'seconde file'. È anche, se non soprattutto, una questione di velocità. Sì, perché ormai da qualche tempo è il cemento la superficie più rapida del circuito, quella dove i bombardieri del Tour (qui una gallery) possono esprimere al meglio il loro potenziale.

Più veloce dell'erba

La progressiva riduzione della velocità dell'erba ha fatto sì che il cemento diventasse davvero la superficie più adatta agli attaccanti, o meglio a coloro che hanno dei colpi di inizio gioco in grado di fare la differenza. Proprio quest'anno, Roger Federer ha dichiarato, durante i Championships, che a suo modo di vedere l'erba del Tempio londinese 'non era mai stata così lenta'. E pure il sintetico indoor, negli ultimi anni, si è costantemente rallentato, tanto che ormai paiono di un'altra epoca i tempi in cui Goran Ivanisevic veniva fischiato (accadde a Bercy, ma non solo) per la mole spaventosa dei suoi servizi vincenti, capaci sostanzialmente di annientare il gioco altrui. Il cemento, in particolare quello dell'estate nordamericana, è rimasto il terreno sul quale i tornei e il governo del tennis sono intervenuti meno. Perché è sempre stato ritenuto un po' da tutti quello più 'democratico', in grado sì di mettere in evidenza i grandi battitori, ma senza tagliare fuori coloro che puntano sulla regolarità.

Sei tornei prima degli Us Open

La stagione americana è scattata da Atlanta, dove c'è un Reilly Opelka in semifinale a rendere questa tesi più attuale e più credibile. Ma il gigante (211 centimetri) che vive in Florida non è il solo a poter mettere paura ai big. C'è, per esempio, quel John Isner che dopo un lungo stop è rientrato a Wimbledon e – nella settimana successiva – si è subito preso il titolo di Newport, a testimoniare che 'Long John' non si è dimenticato come si vince. C'è Kevin Anderson, finalista due anni fa ma pure lui alle prese con una condizione incerta. E c'è proprio Marin Cilic, fin qui molto deludente (è numero 59 della Race), e che al cemento chiede di risollevare la peggiore stagione della sua carriera. Per restare in tema di servizi monstre, non si possono non citare Milos Raonic, Taylor Fritz, Sam Querrey. Ma nessuno di loro ha fin qui esibito una condizione tale da inserirli tra i possibili outsider. Dopo Atlanta, il calendario proporrà Washington, Los Cabos, Montreal, Cincinnati e Winston Salem. Per chiudere con gli Us Open.

Roger Federer con John Isner a Miami 2019

Giovani, è il momento buono?

Chissà che in questo contesto, in queste condizioni decisamente più rapide di quelle che i pro hanno incontrato negli ultimi sei mesi, non sia il momento buono per l'esplosione di qualche Next Gen, o di qualcuno che lo è stato fino all'altroieri. Per esempio Sascha Zverev, il tedesco che sta vivendo un momentaccio (vedi l'addio di Lendl), ma che ha carattere e tennis quanto basta per fare male. In particolare sul cemento, dove i suoi colpi piatti rendono ancora di più. C'è poi Stefanos Tsitsipas, che nel 2019 ha già in bacheca una semi a Melbourne e una finale a Dubai, e che sul duro potrebbe mascherare le sue lacune talmente bene da spaventare i migliori. C'è Felix Auger Aliassime, che magari non vincerà quest'anno ma non tarderà troppo a mettere il suo sigillo su '1000' e Slam. Ci sono il polacco Hurkacz e il kazako Bublik, e c'è il romano Matteo Berrettini. Il quale proprio sul cemento potrebbe un giorno costruire il suo ranking, a patto che riesca a migliorare la mobilità inferiore fino a rendere la sua difesa altrettanto valida rispetto alla fase di attacco. Perché gli 'hardcourt' saranno pure il momento dei bombardieri, ma senza una difesa accettabile non è pensabile arrivare in fondo.

Roland Garros 2019

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