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Eventi internazionali

Nole-Roger, che storia infinita!

Il serbo ha vinto la finale più lunga ai Championships. Ha sconfitto Roger Federer al tiebreak del quinto set, sul 12 pari, dopo aver salvato due match point. Ha eguagliato così i successi a Wimbledon di Bjorn Borg e Laurie Doherty

di | 14 luglio 2019

Novak Djokovic

Finisce con una stecca. Si chiude con l'unica nota stonata la finale più lunga nella storia di Wimbledon. Novak Djokovic mastica per la quinta volta l'erba del Centrale. Raggiunge Bjorn Borg e Laurie Doherty con cinque titoli ai Championships. E allora i cinque di Borg rappresentavano qualcosa di vicino al marziano. Oggi non è nemmeno primo in classifica. Esulta in maniera composta, solo con i suoi pensieri, sull'erba dove ha sempre sognato giocare, dove da piccolo immaginava di alzare il trofeo mentre ne costruiva uno di cartone. In quei secondi lunghi c'è la vita, c'è l'amore, c'è la febbre di un dolore superato e sublimato nella gioia di un trionfo maturo. C'è, forse, anche un po' della consapevolezza agrodolce di non riuscire ad essere davvero amato.

Djokovic ha chiuso una finale di livello altissimo, in cui Federer ha spinto la passione per la competizione, il desiderio di un nono titolo a Wimbledon, fino a un punto dal successo sull'8-7. Ma quei punti, quelli importanti, non li ha giocati al meglio. Nelle occasioni in cui si è scritta la storia della partita, Federer ha giocato conservativo, o di fretta. Ha pagato un po' di quell'emozione che è una parte del suo successo col pubblico.

Vince 76 16 76 46 13-12. Ha vinto i tre tiebreak, in cui ha offerto il tennis più solido, più lineare, più razionale. Al suo sedicesimo Slam fa da controcanto un Roger Federer elegante nella sconfitta, consolato da Kate Middleton durante la cerimonia di premiazione. "Grazie per essere rimasti qui per tutta la partita" dirà poi a lei e al principe William presentando loro i genitori. 

Il servizio che l'aveva portato fin lì, però, sul più bello lo tradisce e aiuta Djokovic a cancellare due match point, a riprendersi il controbreak e cambiare il finale di partita. L'effetto, contro un avversario come Djokovic, esacerba i rimpianti, fa calare tutta insieme la stanchezza, la frustrazione per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Per un cambio di paradigma nello spazio di un respiro. E' iniziata un'altra sfida, che ha incontrato il suo climax sull'11-11, un game epifania dell'eccezionalità di due campioni capaci di tirar fuori tutto il meglio, senza distinzioni e conservazioni, sul finale di una maratona. Djokovic ha salvato altre due chanches di break, come Federer ha superato quello che per i maratoneti è il muro del trentesimo chilometro. Ha accelerato in vista del traguardo.

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Djokovic: "Una vittoria speciale"

"E' tra le migliori finali che abbia mai giocato, contro uno dei migliori giocatori di tutti i tempi. Un avversario per cui ho molto rispetto. E' incredibile recuperare dopo due match point salvati, strano giocarne uno sul 12 pari" dice Djokovic che abbraccia il trofeo nell'intervista a caldo dopo la premiazione e fa commuovere la mamma. "Io sognavo di diventare un tennista a quattro, cinque anni, e questo era il torneo che immaginavo di vincere. E' speciale poter condividere questa vittoria con i miei genitori, con mio figlio, e con mia moglie e mia figlia che non sono qui sul campo. Avere i miei genitori qui con me è un sogno che si avvera, grazie di tutto". 

"Ho giocato una finale che nessuno dimenticherà? Io in realtà proverò a dimenticarla" ha detto Federer. "Credo che abbiamo giocato bene, devo essere contento della mia prestazione. Complimenti al mio avversario. Spero di aver dato la possibilità ad altri di credere che a 37 anni non è tutto finito. Sto ancora bene, sono ancora in piedi. La mia famiglia forse non sarà contenta del piatto, il premio per il finalista sconfitto" aggiunge. Ma è un padre e un marito felice.

Federer usa il back in risposta, gioca a ritmi alti contro un Diokovic che rimane sotto il 50% di prime nel primo set. Lo svizzero si muove con rapidità, inventa nel primo set anche un dritto in chop sulla riga lontano da ogni forma di ortodossia tennistica e non concede chances di break per quasi quattro set. Sembra di rivedere Edberg-Stich del 1991, con il tedesco che vince quella semifinale a Wimbledon senza mai togliere il servizio allo svedese. Federer mette in campo il 68% di prime nel set d'apertura da cui ricava tre punti su quattro. Ne vince 7 su 13 con la seconda, completa sette vincenti in più (21 a 14) e commette otto gratuiti in più (14 a 6). Gioca sulla rapidità, sull'inevitabilità del rischio, sul valore della brevità. Djokovic. che ha meno bisogno della verticalità come piano primario, più delle magie insegue il privilegio di una costanza che si scontra con l'effetto di realtà. 

 

Djokovic ha perso tre finali Slam dopo aver vinto il primo set: contro Nadal a Parigi 2014, e contro Wawrinka al Roland Garros 2015 e allo Us Open 2016. Nel secondo set, però, lascia che sia Federer a comandare la partita. Lo svizzero squaderna un capolavoro di leggerezza e scioltezza. Fa tre punti su quattro a rete, usa la palla corta con costanza e con la scioltezza dell'imprevedibilità. Il numero 1 del mondo, che nei primi due set e mezzo vince poco più di un punto su quattro in risposta, vince appena 12 punti. Federer libera il dritto il controbalzo, pennella smorzate e rimane attaccato con i piedi sulla riga. I movimenti restano chiari, da scacchisti: lo svizzero gioca in avanti, il serbo assorbe in orizzontale e poi contrattacca.

Nei primi due set e mezzo, Federer mette in campo l'83% di risposte, il serbo solo il 61%. Lo svizzero scalda il centrale, Djokovic si esalta nelle difficoltà e nel trionfo dell'efficienza. La prima al corpo, soprattutto da destra, che nell'ultima finale a Cincinnati contro lo svizzero aveva utilizzato solo come colpo a sorpresa, si trasforma nell'ancora che lo tiene in partita.

Quando il punto conta, e al tiebreak del terzo set la differenza si sente, Djokovic poggia sullo scambio da dietro e chiude Federer nell'angolo sinistro. Si palesano errori e incertezze dello svizzero, di fronte a una regolarità che si trasforma in una sfida di tenacia, in uno spostamento costante dei limiti. Federer manca un set point; Djokovic, pur con un punto in meno all'attivo nel set, vince l'ottavo tiebreak sui dodici giocati quest'anno, con una certezza non da poco. Ha giocato meglio tutti i punti davvero importanti dei primi tre set. Il confine tra il vantaggio e l'esigenza di rimonta è tutto qui.

Djokovic dimostra una crescente abilità nel cercare la palla bassa, dal lato del rovescio verso il rettangolo di battuta, e generare vincenti. Federer ha dalla sua la passione per la competizione e il supporto del pubblico, che si fa più visibile dalla metà del quarto. Niente a che vedere, comunque, con il comportamento dei tifosi nella finale dello Us Open del 2015. I tifosi rimangono corretti, rispettosi della cornice e dell'importanza dell'evento.

Federer però toglie al numero 1 del mondo il cosiddetto "effetto boa", che si è spesso tradotto nella capacità di recuperare immediatamente il break di svantaggio e iniziare a drenare sicurezze, convinzione, fiducia. Al suo 77mo Slam Federer, che non ha mai vinto una finale in un major da uno svantaggio di due set a uno, accorcia il campo, gioca di profondità e d'eleganza, di geometria e di tocco. Reattivo, sicuro, convinto del piano e dell'esecuzione, è lui a pavimentare di dubbi il percorso del serbo, chiamato spesso a rispondere a palle basse, visto il ricorso costante e non certo casuale dello svizzero alle rotazioni in back.

E' tra le migliori finali che abbia mai giocato, contro uno dei migliori giocatori di tutti i tempi (Novak Djokovic)

Federer, notevole dall'inizio della partita con il dritto in controbalzo, ancor più dopo il servizio, concede sul 5-2 del quarto set la prima palla break dell'incontro. Lo scambio è sublime. E' la sintesi del desiderio del serbo di giocare sul rovescio di Federer e dell'ambizione pervicace dello svizzero di non perdere campo a sinistra anche quando è sulla difensiva. L'ultimo lungolinea, trentacinquesimo colpo di un punto che induce l'arbitro a una maggiore permissività sul rispetto dei secondi tra un punto e l'altro, rimanda solo il controbreak di un Djokovic con lampi robotici e umane fragilità. Ma non cambia lo scenario che proietta la finale della 133ma edizione nella storia dei Championships al quinto set.Non succedeva proprio dal 2014, l'ultimo title-match fra loro due ai Championships. E' la sesta finale che si decide al parziale decisivo negli anni Duemila a Church Road. 

Federer, che non ha mai battuto Nole al quinto in carriera, apre angoli stretti, dilata i limiti del campo mentre le nuvole scendono sul Centrale e Mirka indossa un giacchino sopra la camicetta ricamata. Djokovic non difende un break di vantaggio, il tifo per Federer sul controbreak trasforma la cattedrale del tennis nella Plaza de Toros, nel teatro dei sogni e delle passioni. Più estroverse quelle di Federer, più cerebrali quelle del serbo che si sforza di mantenere una patina di imperturbabile freddezza.

Soffre Ljubicic in tribuna, papà Robert applaude garbato mentre riecheggia un lungo "Let's go Roger, let's go". Dal 4-4 si gioca a carte scoperte, ci si affida totalmente a un'ispirazione che non flirta con l'improvvisazione ma con la memoria muscolare.

C'è tensione e c'è emozione. Ci sono le palle corte di Federer, pennellate d'artista col rovescio lungolinea, e le risposte di un Djokovic sicuro e ancora più agile, più mobile dell'avversario. Stavolta il serbo non lascia trasparire stati d'animo: testa bassa e concentrazione sul punto che verrà. Non è abbastanza usuale, per lui, che dalla lotta anche contro il pubblico ricava energie da spendere, combustibile da bruciare,

"Non c'è abbastanza ossigeno adesso in questa stanza per guardare la partita" twitta la tennista britannica Katie Boulter. Forse Federer avverte un po' di stanchezza in Djokovic, commenta Marion Bartoli che segue la partita per la BBC, e per questo continua a creare e a insistere con il dropshot. "C'è niente di bello in tv?". Andy Roddick scherza via Twitter. Novak Djokovic ha appena imitato l'ex coach Boris Becker e cancellato uno spiraglio di controbreak sul 5 pari al quinto con una volée in tuffo di eleganza perfettibile ma efficienza non migliorabile. Ma è sempre da quel lato, su un altro passante diagonale, che Federer firma il break. Ma non è mai finita. E' solo l'inizio di una nuova salita.

 

Djokovic, che al quinto set a Wimbledon non perde dall'ottavo contro Mario Ancic del 2006, ribalta il tavolo ancora una volta. E' l'icona del tennis percentuale, della ricerca di una perfezione meccanica, ma in questa partita vince contro tutti i numeri. Ha statistiche sfavorevoli praticamente in ogni aspetto, ha fatto 14 punti in meno di Federer, meno punti con la prima e con la seconda, meno in risposta e a rete. Ha tirato anche meno vincenti. Ha commesso però nove gratuiti in meno. E ha vinto la nona partita al quinto set a Wimbledon, negando a Federer il titolo numero 9. Quando si dice: la prova del nove.

Su quella che era l'erba di casa sua, Federer incassa la settima sconfitta in 14 partite. Perde il match più lungo che abbia mai giocato in questo torneo. Perde di fronte a un giocatore che nel finale è riuscito a fare quel che lo svizzero faceva nei suoi anni migliori, è andato in un luogo dove Federer non è potuto arrivare. Lo scontro di "due incomparabili giocatori da erba", copyright Rod Laver, fra due campioni che hanno dato tutto, si è in fondo deciso sull'interpretazione dei match point. Dettagli, magari. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Le parole di Federer

"Non penso che l'esito del tiebreak del quinto sia stato influenzato dall'andamento dei primi due" ha detto Federer, che di tiebreak nelle finali Slam ne aveva vinti 18 su 21 prima dello Us Open 2009 mentre da allora ne ha persi 9 su 12. "E' stata una conclusione epica. Non abbiamo avuto interruzioni per pioggia o problemi di oscurità come nel 2008. L'unica somiglianza con quella finale è che le ho perse entrambe".

"Non posso ringraziare abbastanza il pubblico per il loro supporto" ha aggiunto in conferenza stampa lo svizzero, che ha annunciato di non voler giocare Montreal e rientrare direttamente a Cincinnati. In tempo per recuperare, anche dal punto di vista mentale. "Non so come mi sento adesso. Di sicuro penso sia un'occasione mancata. Non posso crederci. Come mi riprenderò? Come nel 2008, ci ripenserò e mi dirò: forse non è stato così male. Per ora fa male, ma non voglio deprimermi per una partita di tennis".

Non sono i record, aggiunge, a dargli la motivazione principale. "La ricavo da cose diverse, non dall'essere il giocatore che ha vinto più Slam. Gioco per avere l'occasione di essere davanti a persone così, in contesti come questo, non per battere record".

Le parole di Djokovic

"Giocare contro Federer è sempre una sfida molto dura. Oggi, visto che era la finale di Wimbledon, era normale ci fosse anche un po' di tensione. Ho cercato di lottare e di trovare il modo per avere la meglio quando contava di più" ha detto in conferenza stampa Djokovic, "Sapevo che in campo l'atmosfera sarebbe stata come è stata. Fisicamente, ho giocato il match più duro per me in Australia contro Nadal, però dal punto di vista mentale questo è un'altra storia. Alla fine è stato un enorme sollievo. Vivo e lavoro per cose così. Mi sono detto di stare calmo e di rimanere composto".

Non c'è una formula per darsi coraggio, ha spiegato. "Se vuoi vincere una partita così, devi giocare ad alto livello per cinque ore. Io ho cercato di immaginare il match prima di andare in campo. Ho cercato di immaginarmi come il vincitore. Alla fine, hai bisogno anche di questo potere interiore, è una battaglia in cui devi cercare di non considerare quello che ti succede intorno. Se hai il pubblico dalla tua, questo ti dà energia. Ma se non ce l'hai, l'energia devi trovarla dentro di te. A volte ignorando anche il pubblico". L'energia può arrivare anche dagli avversari. "Mi sembra di essere più vicino a Rafa e Roger ma loro continuano a vincere Slam" ha detto. "Loro due sono una delle principali ragioni per cui ancora gioco a questo livello. Mi motivano a fare sempre meglio".

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