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Eventi internazionali

Imprevedibilità al potere: fuori 13 teste di serie

A Wimbledon, nel regno della disciplina, trionfa il pensiero creativo di Fabio Fognini e Nick Kyrgios. Vince chi mette la creatività al servizio di un piano chiaro. Le gerarchie scricchiolano

di | 02 luglio 2019

Fabio Fognini

Cosa c'è di più inglese di Wimbledon, delle fragole con la panna e il tè delle cinque? A Church Road, dentro i Doherty Gates, cambia la disposizione dei campi, si ammodernano gli stadi ma resta l'illusione, che è poi nello spirito stesso del tennis, di ricondurre la realtà dentro una disciplina, uno schema, un'ordine. Nella seconda giornata di un torneo ancora in cerca d'autore, la scena l'ha presa chi rompe le gerarchie, chi privilegia il disordine creativo, il pensiero laterale, la voglia di stupire.

 

Quando il pomeriggio diventa sera, sotto una luce che esalta i chiaroscuri e i contrasti, se la prende Fabio Fognini che allarga le braccia al centro del campo e guida il coro sul campo 18. “Po po po po po po po” cantano. La musica è la stessa del trionfo al Mondiale di calcio del 2006, quella di Seven Nation Army dei White Stripes, icona anti-militarista diventata immancabile inno di vittoria.

 

Canta come a zittire le critiche degli anni passati, canta e dirige, si gode un momento empatico mentre sulle tribune sottili si sollevano le bandiere tricolori. L'Inghilterra è meno perfida, stavolta. Fognini vince di gestione e precisione, di testa e d'emozione. Vince una partita non semplice, che racconta due verità. Dice che Frances Tiafoe può avere tutto per diventare un grande giocatore, dice che Fognini ha la convinzione del campione. Montecarlo ha davvero cambiato i paradigmi di una carriera. Così una partita discontinua non si trasforma in un rimpianto ma si scioglie in un coro di trionfo dopo un ultimo turno di battuta da consumato battitore. L'ungherese Fucsovics, ex finalista junior a Wimbledon,

 

E' un tumulto del cielo che non sbaglia momento, poi, il secondo set di Giulia Gatto-Monticone sul Centrale contro Serena Williams che giocherà il doppio misto con Andy Murray. È un regalo, un premio alla tenacia che non cede allo sconforto. È un'occhiata oltre l'orizzonte. A quegli orizzonti più vasti mira anche Matteo Berrettini con la sua compostezza profonda, l'auto-analisi mai scontata, l'arte di capire, di applicare, di interpretare l'illusione di ordine e disciplina con una speziatura di italico vezzo per il ricamo. Un uomo coi capelli da ragazzo, che viene prima del giocatore e ne sostiene le ambizioni a passi misurati, regolari. Un uomo con le spalle larghe che lo sa lui come si fa, ma la fortuna non sa nemmeno cos'è.

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Nel trionfo del bianco, poi, irrompe Nick Kyrgios, e quell'autocompiacimento per il prestigio della cattedrale del tennis si smeriglia in frantumi di specchi: oltre al purple and green, gli immutabili colori del club, c'è di più. C'è la replica di uno spettacolo in cui recita se stesso con le forzature da cinema muto, un po' Buster Keaton e un po' Jerry Lewis. Recita a soggetto, cambiano le forme, stavolta corre a ginocchia alte, saltella, si stende a terra, fa tutto e il suo contrario. Ma in fondo è sempre solo la maschera di Kyrgios che girovaga da un campo all'altro. Alla fine, comunque, vince il punto che conta di più contro Jordan Thompson, baffi da cowboy, tennis solido, spirito concreto e poche concessioni allo show. Chissà cosa si riserverà contro Nadal l'australiano, quinto tra i giocatori in attività per vittorie contro i top 10 senza mai essere arrivato tra i primi dieci del mondo.

 

Ormai interpreta se stesso anche Bernard Tomic. Il cachet di 50 mila sterline per 58 minuti di partita contro Jo-Wilfried Tsonga danno la misura di una farsa che ormai non diverte nemmeno più. L'australiano, multato due anni dopo aver ammesso di essersi “annoiato” durante il match di primo turno perso contro Mischa Zverev, si è limitato ad ammettere di aver giocato una partita “terribile”.

 

È torneo da creativi, sì, da ribelli con una causa. Non da disordinati tout-court però. Vedere per credere come Denis Shapovalov abbia perso e mai ritrovato il filo di una partita, e ormai di una buona parte di stagione, all'inseguimento di un desiderio di stupefacente perfezione che rischia di trasformarlo in lussuoso tennista da esibizione. Non al livello del “Raggio di luna” tenuto a palleggiare in giardino dal protagonista dell'omonima commedia di Garinei e Giovannini, non all'altezza dei sogni di gloria. Sospeso tra l'esigenza di ordine e la ricerca del limite come indicatore di bellezza.

Al primo turno sono già cadute sei teste di serie al maschile, compresi tre top 10. L'ultimo in ordine è Dominic Thiem che a maggio raccontava il suo programma per rendere meno prevedibile il suo gioco. Ma su un'erba dura, dai rimbalzi alti, alla distanza si è afflosciato contro Sam Querrey e per il secondo anno di fila esce al primo turno a Wimbledon.

 

Sette, invece, le teste di serie già eliminate nel singolare femminile. La lunga crisi di Garbine Muguruza si accompagna al desiderio insoddisfatto di passioni nostalgiche. Non c'era un posto libero per il debutto di Eugenie Bouchard, sconfitta 8-6 al terzo contro Tamara Zidansek. C'era la stessa attesa trasformata in un senso di delusione ineluttabile quando Maria Sharapova, per la prima volta non compresa tra le teste di serie a Wimbledon dal 2003, si è ritirata sotto 5-0 al terzo contro la francese Pauline Parmentier, battuta sei volte all'esordio a Wimbledon, su quello stesso campo dove aveva perso l'anno scorso contro Vitalia Diatchenko e nel 2013 contro l'urlatrice da record Michelle Larcher de Brito. “Il tendine del braccio sinistro si infiamma, nessuno mi ha spiegato bene perché” ha detto Sharapova. “Non mi piace abbandonare una partita prima della fine. Ma non ho mai preso la strada più facile, ho sempre lavorato duro e ho ancora grande passione per questo sport”.

 

Ma che significa avere passione? Lo spiega Vika Azarenka, come riporta il sito di Wimbledon. “Tutti dicono: goditi il viaggio, è l'unica cosa che conta – ha detto –. Io vorrei rispondere: ma che state dicendo? È un viaggio doloroso, faticoso, come fai a pensare di godertelo? Invece, a quanto pare puoi”.

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