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Sinner e Musetti, stile Roger e STILE Nole A CONFRONTO

Si affrontano per la prima volta, proprio nelle Prequalificazioni degli Internazionali BNL d'Italia. Hanno 17 anni e come modo di giocare ricordano un po' Federer e Djokovic. I tifosi italiani sognano...

di | 07 maggio 2019

Jannik Sinner

Tutti i lunghi viaggi iniziano con un primo passo. L'ultimo turno delle prequalificazioni per gli Internazionali BNL d'Italia mette per la prima volta di fronte Lorenzo Musetti e Jannik Sinner (si gioca mercoledì 8 maggio, secondo match dalle 10,45 sul Pietrangeli). Chi vince ha buone chances di entrare nel main draw, chi perde giocherà comunque le qualificazioni. Poi via, insieme, verso grandi destinazioni non ancora scritte ma di sicuro immaginate. Il futuro del tennis azzurro è qui, nel gioco eclettico e neoclassico di Lorenzo Musetti, nello stile più essenziale e funzionale di Jannik Sinner. Senza voler forzare acerbi paragoni, le affinità elettive avvicinano il carrarese al tennis Roger Federer e l'altoatesino a quello  Novak Djokovic.

“Se vuoi arrivare al top, bisogna saper gestire le pressioni” ha detto Jannik Sinner dopo il 6-2 6-0 a Riccardo Balzerani. Pressioni e tensioni da assecondare e da sconfiggere, al Foro Italico e pure più in là. Perché da Roma caput mundi allargheranno le braccia verso mondi nuovi. Pressioni e tensioni che si alimentano di speranze, di aspettative, di piccole sicurezze e grandi desideri.

 

I tifosi un po' parteggiano, ma in fondo si uniscono in una soddisfazione mista a incredulità: perché due diciassettenni così che esplodono insieme era da tanto che non si vedevano in Italia. I tifosi li hanno aspettati per generazioni. A doverli immaginare, forse li avrebbero pensati, desiderati così, l'uno il completamento dell'altro. Due stili, due identità diverse, già precise, fotografie dai contorni netti di un futuro possibile. L'unità nella molteplicità.

Il tennis di Musetti

Il tennis di Musetti, il campione dell'Australian Open junior, contiene passato, presente e futuro. Rovesci in chop, palle corte, pallonetti, angoli stretti: il suo è un gioco che non avrebbe sfigurato quarant'anni fa. Controlla lo scambio, rallenta e smorza, ma quando si libera in spinta la palla viaggia veloce, pulita.

 

Ha iniziato nello scantinato della nonna, si allena al Centro Tecnico e ha il caoch di sempre, Simone Tartarini, anima del Circolo Tennis La Spezia, che dopo ogni punto o quasi cerca con gli occhi. Nel suo match d'esordio alle Prequalificazioni gli ripeteva di giocare lineare. Quasi un contrappasso per chi sa di poter interpretare un tennis complesso e di farlo sembrare facile. Proprio per questo un tennis come il suo può beneficiare di quell'invito alla semplicità. Perché i colpi gli riescono naturali, e altrettanto naturalmente ragiona in campo con l'anticipo dello scacchista: gioca due mosse avanti. E il rischio di over-thinking, di inseguire soluzioni ardite confidando in una evidente completezza e in una coordinazione fulminea, è sempre dietro l'angolo. Lo show non gli pesa, gli piace. Non si specchia ma si diverte.

 

Lo stile di Sinner

Sinner è il suo opposto. Alto e smilzo, sotto l'inconfondibile chioma di ricci rossi c'è un ragazzo che ha imparato a vincere da subito anche se in un diverso contesto. Campione italiano di slalom gigante a tredici anni, è passato al tennis e non ha smesso di prendere velocità. Ha vinto prima a livello Challenger, a Bergamo nel 2018, e poi nei Futures (a Trento e Santa Margherita di Pula subito dopo, nel 2018, infilando una serie di 16 successi di fila). Si allena a Bordighera nel team di Riccardo Piatti, a seguirlo nei tornei c'è Andrea Volpini. “Non gli risolviamo i problemi, anzi glieli creiamo” ha detto in un lungo speciale per Supertennis.

 

Dopo la finale di Ostrava domenica, è arrivato a Roma via Francoforte, e lunedì era già in campo. Ha battuto Tomasetto soffrendo anche per una vescica sotto la pianta del piede e dopo la partita si è pure allenato. Nel tennis o vinci o impari, e Sinner la dedizione che serve per i grandi risultati la conosce. Tutti, in fondo, vogliono arrivare in vetta. La differenza la fa chi è disposto a fare tutto quello che serve, senza deviazioni, per arrivarci.

È nato in Alto Adige, nell'Alta Pusteria. Lì son quasi tutti di madrelingua tedesca, e anche lui ha frequentato le scuole tedesche. Facile associare perciò al carattere nazionale di Germania la sua solida dedizione, l'efficienza che poco concede all'orpello.

Il suo tennis è così, meno immaginativo ma più secco, lineare. Guarda dritto all'obiettivo, fa quello che serve per vincere. E se possibile cerca di arrivarci con il minor numero di curve.

Ha lavorato molto per cambiare la meccanica del servizio. Ora serve con i piedi uniti, così guadagna in velocità massima anche se perde qualcosa in percentuale e resa con la prima. Ma la seconda, per ora, gli permette di compensare senza abdicare all'ambizione di spingere. Dal lato del rovescio bimane la palla esce con poca rotazione ma rapida e profonda. Cambia con naturalezza in lungolinea, è reattivo nonostante i 185 centimetri accreditati (ma probabilmente è un po' più alto), cerca con insistenza di comandare lo scambio col primo colpo dopo il servizio o la risposta. Il dritto, leggermente più discontinuo, raggiunge punte di velocità che possono lasciar fermi anche avversari più quotati. Chiedere per credere a Jiry Vesely, numero 91 del mondo, che ha sconfitto al Challenger di Ostrava nella sua prima vittoria contro un top 100.

 

L'Italia osserva, aspetta e spera che questo sia solo l'inizio di una grande storia.

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