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L'allenatore di Marco Cecchinato ripercorre la sua storia con il 28enne palermitano, cominciata oltre dieci anni fa e ripresa lo scorso febbraio. "Adesso - spiega il tecnico - Marco ha messo ordine nel suo gioco ed è pronto a ripartire"
di Cristian Sonzogni | 21 ottobre 2020
Il segreto della rinascita di Marco Cecchinato ha un nome e un cognome. Massimo Sartori ha incrociato per la prima volta il cammino del siciliano una decina di anni fa, quando Marco di anni ne aveva 17. Le strade dei due si sono poi separate tre stagioni più tardi, ma il contatto tra loro in realtà è sempre rimasto vivo, così come la fiducia reciproca. Per questo, quando era diventata chiara la necessità di un cambio di rotta, l'ex numero 16 Atp ha bussato alle porte del suo ex allenatore.
“E io sono stato ben contento di dargli una mano – racconta Sartori – partendo dalla consapevolezza di quello che gli serviva per riprendere il cammino. Ricordo ancora quando venne da me per la prima volta: mi bastarono quattro giorni con lui per comprendere le sue capacità. In tutto, nella prima fase, restò con me circa tre anni. In seguito è tornato a Palermo, prima di passare da Bordighera con Cristian Brandi, per finire poi con Simone Vagnozzi, che con lui ha fatto un ottimo lavoro. Dieci anni fa, io gli chiesi di convincermi che non mi stavo sbagliando in merito al suo valore, e inoltre lo pregai di seguire Seppi, lavorando con lui e imparando da quello che faceva, dentro e fuori dal campo”.
La frustrazione di Marco Cecchinato (foto @lapresse)
Che giocatore ha ritrovato oggi?
“Oggi è una persona più matura e conosce meglio questo lavoro. Negli ultimi anni ha vinto tanto e ha raggiunto una semifinale Slam. È in grado di capire se stesso e gli avversari e sa dove può arrivare. Bisogna tuttavia mettergli ordine e dargli delle priorità. Lavorare, per lui, è ancora più importante che per gli altri, perché a lui piace stare in campo e ha bisogno di fare fatica”.
Si è fatto un'idea di cosa è accaduto dopo il suo momento d'oro?
“Era comprensibile che l'arrivo del Roland Garros 2019 lo mettesse in ansia, vista la cambiale da difendere. Si è irrigidito e ha cominciato a perdere le sue sicurezze, non aveva lucidità, piano piano ha voluto cambiare i pezzi del suo team. Quando mi ha cercato, mi ha detto che voleva rimettersi in gioco e allora abbiamo cercato di trovare un accordo. Nonostante il problema della pandemia e del confinamento, abbiamo sempre lavorato. Abbiamo cercato di sistemare tutto. Quando l'ho visto di nuovo, giocava un tennis che non era il suo, un tennis veloce che non gli apparteneva. Lui deve prendersi il tempo di comandare lo scambio. Poi c'è stato bisogno di riorganizzare l'allenamento, quindi di mettere insieme i pezzi. Non è stato un processo facile”.
Si è trattato di un lavoro più mentale o più tecnico?
“Né uno né l'altro. Non la metterei in questi termini. L'idea era quella di ritrovare tranquillità, semplicità, perché stava facendo tutto molto complicato. Bisognava tornare a essere semplici, umili e lavoratori. E lui lo ha fatto in pieno, ha ascoltato ciò che avevo da dire e ha capito, in poche parole si è messo in gioco”.
In sostanza, cosa andava fatto sul campo per invertire la rotta?
“Ho cercato di trovare un piano strategico, gli ho fatto vedere le partite che giocava due anni fa, ma evitando quelle del Roland Garros, dove stava su una nuvola. Volevo che lui capisse dove rispondeva, dove colpiva la palla, come stava in campo, in modo da poter tornare a quella sua realtà. Da lì abbiamo messo ordine a tutto il lavoro: tecnico, fisico, tattico, però contrariamente a quanto molti pensano non c'era bisogno di uno psicologo. C'era bisogno di andare sul concreto, cioè sul tennis. Marco per certi versi è come Sinner, è un giocherellone. Quindi aveva bisogno anche di ritrovare la parte di gioco che era andata perduta nei suoi dubbi. Lui in campo è uno che vede il gioco, se perde la sua arma migliore è destinato a fare fatica. In un altro che conosco bene, Seppi, per esempio non era tanto il gioco il problema, quanto il lavorare duramente”.
Bisognava tornare a essere semplici, umili e lavoratori. E lui lo ha fatto in pieno, ha ascoltato ciò che avevo da dire e ha capito, in poche parole si è messo in gioco”
Quanto è stato importante, in tutto questo, averlo conosciuto anni prima e aver instaurato un bel rapporto con lui?
“Mi ha aiutato tanto conoscerlo bene, ma mi ha aiutato soprattutto godere della sua piena fiducia. Quando lui era giovane ci ho investito molto, a quel tempo Marco non era tra le prime scelte della sua annata, però a ma piaceva molto, mi piaceva il fatto che non avesse paura. Io gli ho dato una mano anche quando ha avuto dei problemi, e questo senza dubbio ha rafforzato il rapporto. Gli sono stato vicino anche quando non era nella mia 'scuderia'. È stato un percorso lungo, fatto di dieci anni di lavoro”.
Anche in Sardegna, spesso, i microfoni a bordo campo hanno raccolto le sue lamentele. È un aspetto su cui state cercando di lavorare?
“Le lamentele per lui, anche se suona strano, sono una parte da non reprimere perché rappresentano una parte importante del suo carattere. In sostanza, se gliele togli gli togli qualcosa. La cosa da fare di conseguenza è incanalarle nel modo corretto, perché sì, lui si lamenta ma poi i punti li gioca tutti. La finale in Sardegna, per esempio, è stata una partita durissima e nel complesso molto buona. Cecchinato non è riuscito a imporre il suo gioco, ma più per merito di Djere che per demerito suo. Malgrado questo, ha comunque rischiato di vincere il titolo. Il problema è che ha avuto un passaggio a vuoto di quattro game, e soprattutto nel tie-break ha giocato piuttosto male. Però per il resto della partita ha lottato. Ha sempre giocato la partita, ma quando ha preso a lamentarsi del medical time-out ha dato un vantaggio troppo grande al suo avversario”.
Quali indicazioni positive ha dato la settimana al Forte Village?
“Parecchie. Per esempio, contro Ramos nel primo set non stava giocando bene, poiché stava cercando di far giocare male l'altro invece di fare il suo gioco. Poi ha messo in campo la 'mano' e la partita è cambiata. Per mano intendo le sue variazioni: Marco è in grado di spingere e di accorciare, di darti una palla bassa e una alta. Ebbene, questa capacità di mettere la palla dove vuole, deve usarle per giocare bene lui, senza pensare troppo al suo avversario”.
Come si torna ai livelli di Parigi 2018?
“Lui due anni fa ha espresso un tennis incredibile al Roland Garros, perché stava benissimo in generale, dentro e fuori dal campo. Oggi deve ritrovare una decontrazione del braccio e dei colpi che ancora in Sardegna non si è vista, malgrado il bel risultato. Un ottimo segnale, però, è stato quello di vederlo superare le 'quali' a Roma e a Parigi: se superi le qualificazioni con costanza e magari vai pure avanti nel main draw, vuol dire che cominci a giocare bene a tennis”.
Quando avete ricominciato a lavorare insieme, eravamo in pieno lockdown. Come lo ha vissuto Marco?
“In effetti noi l'accordo l'abbiamo fatto a fine febbraio, e per un bel po' di tempo siamo andati in campo soltanto io, lui e un altro ragazzo, Stefano D'Agostino. Gli mancavano le partite e l'agonismo, quello sì. Dopo un po' ho dovuto farlo giocare a calcetto, per tenere viva la sua verve. L'assenza di pubblico? A lui non piace, in generale tutti fanno fatica ma lui è uno di quelli che gioca meglio quando c'è gente. È strano per i professionisti di alto livello, sembra di giocare un torneo piccolo, invece sei in uno stadio grande e vuoto, il che fa una certa impressione”.
Quanto sarà importante fare risultati anche sul veloce, per riprendere classifica e fiducia?
“Prima di tutto, non dimentichiamo che nel suo anno d'oro ha fatto una semifinale sull'erba e una sul cemento, che non è poco per uno che è considerato uno specialista della terra. Il progetto di farlo giocare tanto e bene sul veloce c'era già anni fa, quando si allenava con Brandi. Adesso, rispetto ad allora, è Marco che lo accetta molto di più. La cosa importante di cui deve convincersi è che se migliora sul rapido, sulla terra diventa ancora più forte. Non sarà mai un giocatore da erba, ma può fare qualche punto nei periodi dell'anno meno adatti a lui, il che non può che fargli bene”.