
Chiudi
Con il suo progetto Horizon il tecnico segue Seppi e Cecchinato, fa da supervisor al lavoro dei team di Thomas Fabbiano e Melania Delai, allena le sorelle Turati. E sui campi di Tennis Club Vicenza e Comunali Vicenza punta a far crescere tanti under di qualità
di Enzo Anderloni | 15 dicembre 2020
Per lui, oggi, Vicenza è caput mundi. Da quando è tornato a casa, la scorsa primavera in piena pandemia, Massimo Sartori sta lavorando allo sviluppo del suo progetto Horizon che per lui significa voglia di far crescere il livello dei giovani tennisti della sua città, allargando lo sguardo al tutto il Veneto.
Tanti anni di esperienza personale, guidando la grande avventura di Andreas Seppi, arricchiti da un contatto spalla a spalla con Riccardo Piatti dalla nascita del centro di Bordighera, sono la grande ricchezza di un tecnico che a 53 anni ha sempre intatto l’entusiasmo di quando ne aveva 30. E mai come oggi ha voglia di trasferirlo alla sua terra dopo tanto girovagare per il mondo.
Horizon Tennis Home è diventata in pochi mesi una solida realtà, che oggi poggia sui campi del Tennis Club Vicenza e del Tennis Comunali Vicenza, circoli storici del capoluogo. I campi dove insegnava suo padre Alfredo, un’istituzione a Vicenza insieme all’amico-collega Italo Guerra.
Su quei campi oggi Sartori è impegnato nella preparazione in vista della prossima stagione professionistica, con lo sguardo su mille fronti a partire da un nuovo anno a fianco di Andreas Seppi, 37 anni il prossimo 24 febbraio, suo allievo da quando aveva 12 anni, n.18 del mondo nel 2013 e solido top 100 nell'ultimo quindicennio..
Poi c’è la prima, nuova stagione intera con Marco Cecchinato, intenzionato a riprendersi i riflettori catturati nel 2018 con la semifinale al Roland Garros.
Insieme riparte anche Thomas Fabbiano che vuole tornare tra i primi 100 del mondo e ha chiesto a Sartori di fare da supervisor al suo team, proprio come Melania Delai, 18enne molto promettente, con il suo coach Alessandro Bertoldero.
Poi ci sono Anna e Bianca Turati che coltivano i loro sogni con perseveranza. E ancora tanti under di qualità. Insomma un mondo di tennis di alto livello che ora ha il suo polo di riferimento a Vicenza. E da Vicenza parte alla conquista di un suo posto nel mondo. Un bell’impegno ma anche una sfida affascinante.
Sartori ci si è buttato a capofitto: gli abbiamo chiesto di fare il punto in vista di un 2021 che speriamo meno travagliato del 2020.
Partiamo da Marco Cecchinato, che in quest’annata difficile sembra aver ritrovato la fiducia per puntare di nuovo in alto…
“Marco aveva bisogno di trovare qualcuno che lo mettesse tranquillo, gli desse serenità. Qualcuno di cui fidarsi per tornare a fare il suo lavoro e non a vedere cose che non esistevano. Quando mi ha chiamato cercava qualcuno con cui rimettere in piedi una sfida per vedere quanto valeva, quanto poteva tornare protagonista in questo circuito”
Che cosa intendi quando dici ‘vedere cose che non c’erano più’?
“Marco era entrato in una confusione totale: sulla strategia di gara, su come doveva giocare, su come doveva colpire la palla. Invece che giocare la partita era diventato un colpitore. Non c’era più niente di organizzato nel suo tennis, era quasi tutto improvvisato. Aveva perso anche alcuni parametri di riferimento: pensava di essere diventato lento. Invece giocava corto, quindi lo facevano correre. Bisognava fargli vedere tutte queste cose che non aveva più chiare in testa. A farlo tornare a fare ciò che sapeva fare benissimo”.
Secondo te, tra il Cecchinato delle “semi” al Roland Garros e quello di quest’anno che esce dai primi 100, dove si colloca il punto di equilibrio?
“La risposta a questa domanda la scopriremo fra un anno, un anno e mezzo. Il lavoro fatto quest’anno lo ha riportato a una situazione normale, alla giusta prospettiva. Ora abbiamo ripreso a lavorare, il 30 novembre, e possiamo dire di aver davvero ricominciato ad allenarci mentre prima, quando siamo ripartiti, in primavera, lavoravamo per recuperarci. La fase in cui si trattava di aiutarlo a rimettersi in ordine è finita. Adesso andiamo avanti. Marco è stato bravo a capire che doveva rimettersi in discussione a 360 gradi: quando mi ha chiamato e si è seduto al tavolo con me, aveva capito di avere bisogno di qualcuno che lo aiutasse come persona e come giocatore. Si fidava di me ed era pronto a fare quello che gli avrei indicato. Non tutti i giocatori hanno questa capacità di guardarsi dentro”.
Significa anche che aveva molta fiducia, era sicuro che tu sapessi quale era la strada da fare…
“Quando aveva 17 anni e suo cugino lo aveva portato da me a Caldaro, è venuto in un ambiente nel quale io credevo che potesse diventare forte. Ho sempre creduto che Marco potesse farcela e lui me lo ha sempre riconosciuto. Allora giocava bene ma aveva altri della sua età davanti, per esempio Federico Gaio, che era arrivato in finale al Bonfiglio. In Italia era secondo o terzo del suo anno ma io mi sono messo d’impegno sul suo progetto di crescita, ci ho sempre creduto. E questo Marco se lo ricorda. Poi, nei momenti difficili della sua carriera non l’ho mai abbandonato. Ho cercato di stargli vicino. Quando era in crisi l’ho aiutato a mettere in piedi un team coinvolgendo Simone Vagnozzi e gli altri. Non fu uno scherzo: Marco era già stato n. 70 del mondo, “Vagno” era agli inizi della sua carriera da allenatore. Però ha fatto un buonissimo lavoro con tutto il suo team. E anche questo Cecchinato me lo riconosce. In qualche modo sento di essere stato sempre presente”.
Tra il Cecchinato che avevi allenato allora e negli anni seguenti, e quello di oggi che differenza c’è?
“Adesso lui ha molte più certezze. Sul tennis, sull’atletica, sul modo di vivere, su dove deve mettere l’attenzione nel lavoro. Quindi è molto più avanti di allora.”
Dunque si riparte da un livello più alto?
“Sì, nettamente. Un altro livello di consapevolezza. Quando avevo cominciato a inserirlo nel tour a Monte-Carlo, un giorno Becker mi aveva detto, mi ricordo che eravamo sul campo 9 o 10 al Country Club: ”Gioca bene ma devi mettergli a posto il rovescio”. Aveva ragione. Infatti quando Marco è migliorato di rovescio la sua carriera è cambiata”
Marco ha fatto grandi risultati soprattutto sulla terra battuta. Secondo te è la sua cifra come giocatore o potrebbe essere competitivo ovunque?
“Per me è competitivo su tutte e tre le superfici. Poi se devo metterle in ordine di “gradimento” dico: terra rossa, cemento outdoor, cemento indoor, erba. Però già sul cemento all’aperto è un giocatore pericoloso. Quando era ‘under’ l’ho fatto allenare sul cemento perché imparasse a giocarci e imparasse ad accettarlo. All’inizio faceva fatica. Quando ha cominciato a giocare sul cemento allo stesso modo in cui gioca sulla terra battuta è stato il momento in cui è migliorato davvero. E quando è migliorato sul cemento ha cominciato a vincere sulla terra rossa”.
Vuoi dire che sul “duro” è diventato meno attendista, più aggressivo?
“Esatto. Il miglioramento che ha ricavato giocando sul cemento è stato nei tempi, nel come giocare la palla. Sulla terra è diventato più competitivo perché prendeva la palla prima. Per esempio, nell’anno dell’exploit al Roland Garros da fondocampo esprimeva un tennis spettacolare in generale; ma quando per colpire si avvicinava ancora di più al rimbalzo faceva ancora più male all’avversario. Poi bisogna anche dargli atto di aver fatto la semifinale a Eastbourne sull’erba e la semifinale a Doha sul cemento: sono risultati che non arrivano per caso. Ha solo 28 anni e una grande esperienza. Se riesce a valorizzare l’esperienza che lo ha visto vincere tre tornei sulla terra e giocar bene sulle superfici che non sono le sue e a mettere tutto insieme, ha ancora 4 o 5 anni in cui può dare il massimo. Quattro o cinque anni di fuoco, se sta bene fisicamente”.
Vi potete divertire entrambi…
“Sì, speriamo proprio”.
E Andreas Seppi che cosa ne pensa?
“Adesso è in America. Dovrebbe tornare prima di Natale e ci alleneremo qui a Vicenza. Lui e Marco sono legati perché quando ho preso ‘Ceck’ Seppi era in un momento di esplosione, stava andando verso la parte migliore della sua carriera. E Cecchinato me lo ricorda sempre. ‘Il primo giorno a Caldaro mi hai detto: devi stare dietro a Seppi in qualsiasi posto vada. Se mangia, mangi anche tu. Se va a dormire, vai a dormire anche tu. Se va in bagno, vai in bagno anche tu. Mi hai dato quell’ordine e io stavo dietro Seppi per imparare il lavoro’. Cose che gli sono rimaste impresse, anche perché allora io ero molto rigido, molto più rigido di oggi. Anche questo Marco me lo fa notare. In certe situazioni mi dice: una volta se succedeva una cosa così con me, tiravi giù il pallone. Adesso sei diventato troppo buono”
Prospettive, obiettivi per Cecchinato e Seppi?
“Per quanto riguarda Marco, quest’anno, quando siamo partiti, gli ho detto che il progetto mi andava bene se si puntava solo sul livello Atp. Niente tornei Challenger. Poi, con la situazione Covid-19, come primo torneo gli ho fatto fare lo stesso il Challenger di Todi sulla terra, perché gli serviva. Poi solo Atp. Per Marco la priorità è salire in classifica, in modo da entrare direttamente nei tabelloni dei Masters 1000, che significa arrivare intorno alla 40esima posizione. Arrivati lì, ci sarà l’ultima “registrazione” per capire dove vogliamo andare. Ci metteremo intorno al tavolo un’altra volta e metteremo a punto una nuova strategia. Per Andreas la cosa più importate è che stia bene fisicamente. Quest’anno la difficoltà maggiore, quando trovava la condizione, era rimanere a quel livello di forma per più tempo possibile. Se sta bene fisicamente l’esperienza che ha lo porta a vincere sempre, soprattutto sui terreni veloci. Ha già fatto l’infiltrazione all’anca che deve fare periodicamente prima di partire per gli Usa, per cui nel 2021 può andare via diritto almeno fino a Wimbledon”.
Come si concilia l’essere coach due ‘top player’ così con il resto dell’attività di questa tua Horizon tennis Home?
“Il resto del lavoro quotidiano è quello che ho sempre fatto. Quando ci siamo conosciuti, io e te, stavo formando Seppi che era un bambino. Oggi sto facendo lo stesso con altri ragazzi. Ed è una delle cose che mi piace di più. Mi piaceva anche a Bordighera accanto a Riccardo (Piatti n.d.r.). Ho fatto una scelta: lavorare sugli 'under'. E pian piano sto scendendo sempre di età. Per me gli anni migliori sono quelli dell’under 14”.
Quanti ragazzi segui nel tuo centro?
"Ne abbiamo una trentina. Però non sono tutti full time. Vicenza è facilmente raggiungibile da altre provincie del Veneto. Uno da Verona riesce a venire anche solo al pomeriggio. E’ un lavoro un po’ differente rispetto a Bordighera che era un po’ fuori dal mondo e ti obbligava a risiedere lì. Ho ragazzi da Padova. Ho coinvolto un ragazzo da Treviso che mi piace molto. Si parte così, poi magari un giorno il lavoro dovrà essere full time sul posto”.
Su quali club si appoggia Horizon?
“In questo momento lavoriamo al Tennis Club Vicenza e al Tennis Comunali Vicenza. Ho a disposizione campi in duro e in terra battuta in entrambi i circoli”.
I ragazzi su cui stai lavorando a che livello sono oggi?
“La maggior parte è competitiva a livello nazionale e ha già giocato tornei internazionali. Nella scelta però ho voluto privilegiare anche Vicenza, i ragazzi della città. Lo scopo è cercare di far salire il livello del tennis qui a Vicenza”.
Che obbiettivo ti dai per il 2021 con la tua nuova avventura?
"La prima cosa è riuscire a mantenere lo spirito con cui sono partito che è quello di aiutare tutti i ragazzi. Fare il possibile perché ciascuno di loro possa portare a casa qualcosa. Horizon deve essere un posto dove si lavora sodo, con le idee chiare. Non un posto dove si viene con in testa altre cose, magari anche solo per non andare più a scuola. Deve rimanere un Centro con una chiara attitudine e i ragazzi che lo frequentano devono giocare a tennis facendo il meglio che possono. Se vanno a scuola devono fare bene anche quello. Non mi interessa chi viene per sfruttare l’onda”.
E gli altri giocatori che segui: Fabbiano, la Delai, le sorelle Turati?
“Con Thomas Fabbiano abbiamo messo in piedi un progetto, ripartendo da quanto fatto questa primavera con Federico Placidilli che lo segue e allena. Io facevo da consulente a loro. Oggi abbiamo ricostruito questo team che lavora a Genova all’Accademia di Marco Lubrano, con gli stessi preparatori di allora. Io faccio il supervisor del progetto: facciamo programmi, prendiamo decisioni insieme e proviamo ad aiutare Fabbiano a tornare su il più possibile. Melania Delai, con il suo team e il suo allenatore Alessandro Bertoldero, si allena invece qui a Vicenza, tra Tennis Club e Tennis Comunali, sempre con me come supervisore. Una situazione ideale per lei anche perché qui alla Horizon si allenano Anna e Bianca Turati e dunque avrà la possibilità anche di giocare con loro, non solo con i maschi come era quasi sempre costretta a fare. Poi quando ci sarà da andare in giro per tornei avrà anche il supporto di Nicola Ceragioli, che ho voluto qui a Vicenza sin dall’inizio e che era con me quando a Caldaro, oltre che Andreas Seppi, seguivamo anche Karin Knapp”.