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Campioni nazionali

Nick, un uomo-squadra dell'altro mondo

Se ci fosse stata ai suoi tempi la sfida Europa contro Resto del Mondo, Pietrangeli sarebbe stato il n.1 dei "blu". Il più grande uomo squadra di sempre, con il record di vittorie in Coppa Davis. E' il primo italiano ad aver vinto uno Slam. E' stato considerato il numero 3 del mondo nel 1959 e nel 1960

di | 18 settembre 2019

Nicola Pietrangeli

Se ai suoi tempi fosse esistita la Laver Cup, probabilmente Nicola Pietrangeli sarebbe stato il capitano della squadra europea. Lui che Laver riuscì a sfiancarlo a suon di palle corte nella finale degli Internazionali d'Italia 1961, a Torino, nel centenario dell'unificazione nazionale. E un "Europa contro Resto del Mondo" avrebbe avuto una chiave tecnica molto diversa da quella attuale: allora australiani e americani dominavano mentre oggi è la squadra di Federer e Nadal a partire favorita.
Per contrapporsi ai vari Ken Rosewall, Rod Laver, Lew Hoad, Pancho Gonzalez, Tony Trabert, Pancho Segura, Barry MacKay, Pietrangeli avrebbe trovato in Europa solo due compagni di squadra davvero all'altezza: gli spagnoli Andres Gimeno e Manolo Santana. 

Oggi invece sono lo statunitense John Isner e l'australiano Nick Kyrgios a preoccuparsi di tenere in piedi la baracca di fronte a uno squadrone 'made in Europe' dove per la prima volta figura anche un azzurro, Fabio Fognini. (Supertennis trasmetterà in diretta la tre giorni di Laver Cup da Ginevra con i seguenti orari: venerdì 20 settembre - LIVE alle ore 13.00 e alle ore 19.00; sabato 21 settembre - LIVE alle ore 13.00 e alle ore 19.00; domenica 22 settembre - LIVE alle ore 14.00)

“E' difficile pensare a come sarebbe stata una sfida simile allora” ci spiega, stuzzicato sulla manifestazione. “I tempi sono troppo cambiati, i giocatori pensano solo ai soldi ormai”. Non si riconosce in questo tennis, Nicola Pietrangeli, che detiene ancora il record assoluto di match disputati in Coppa Davis. Ne ha giocati 164, 110 di singolare e 54 di doppio, tra il 1954 e il 1972, quando il tabellone era ancora organizzato per zone geografiche, una suddivisione rimasta nelle categorie inferiori e destinata a sparire con il completamento della riforma che ha portato alle fasi finali a gironi in sede unica. Ne ha vinti 120, di incontri, più di tutti. Un record ormai praticamente imbattibile.

Gli inizi in Coppa Davis

Una storia iniziata nel maggio del 1954, mentre l'Italia si preparava a seguire la nazionale ai Mondiali di calcio in Svizzera, che si sarebbero chiusi con poca gloria: due sconfitte con i padroni di casa e subito a casa. A Madrid, Pietrangeli si fa applaudire anche dal pubblico spagnolo contro Carlos Ferrer: la partita non conta per il risultato, l'Italia ha già vinto, ma il suo gioco d'attacco anche sulla terra rossa non passa inosservato. Un mese dopo a Solna, in Svezia, nel quarto di finale della zona europea, debutta in un singolare a risultato non ancora acquisito. Si batte con un coraggio che sorprende i tifosi di casa contro Lennart Bergelin, primo giocatore svedese di livello internazionale, che sarà poi allenatore di Bjorn Borg: un incontro che cambierà la storia del gioco. Ma in quel weekend c'è un altro incontro che segna la storia dello sport. Al traguardo di St.Moritz della tappa del giro d'Italia, mentre la Svezia più forte atleticamente completa il 5-0 sugli azzurri, Giulia Occhini aspetta con un montgomery bianco Fausto Coppi: la relazione fra il Campionissimo e la Dama Bianca, sposati entrambi, è sotto gli occhi di tutti in una nazione che ancora punisce penalmente l'adulterio.

 

Pietrangeli-Sirola, gli opposti si attraggono

Stanno iniziando gli anni d'oro della coppia di doppio più vincente nella storia della Coppa Davis azzurra: Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola. Con il “gigante” di Fiume, un metro e 97 d'altezza e un carattere opposto al suo, vincono 34 partite su 42 per la nazionale azzurra.

 

Per dieci anni viaggiano praticamente come fratelli. Diventano inseparabili. Sirola, una famiglia numerosa alle spalle, ha nei tratti gli spigoli di una terra e di una storia complesse. Pietrangeli mantiene gli orizzonti del bon vivant che già contiene il mondo. È nato nel 1933 a Tunisi, allora protettorato francese, dove il padre Giulio ha sposato Anna De Yourgaince, figlia di padre danese e madre russa di nobili origini: potrebbe farsi chiamare conte Nicola Shirinsky Pietrangeli. Giulio, con l'occupazione alleata della Tunisia, viene internato in un campo di prigionia. Espulso dalla nazione, si rimette in sesto grazie all'ambasciata francese che lo incarica del recupero dei corpi dei soldati francesi morti in battaglia in Italia. La famiglia si stabilisce a Roma, Pietrangeli diventa un buon calciatore della Lazio ma quando la società lo cede alla Viterbese sceglie il tennis. Si iscrive al Circolo Parioli dove lavora come custode Ascenzio Panatta, il padre di Adriano, il suo erede. Con lui, giocherà il suo ultimo incontro in Davis, nella semifinale europea del 1972: perderanno con i romeni Ilie Nastase e Ion Tiriac, che arriveranno in finale ma perderanno in casa contro gli Usa nonostante una lunghissima lista di ruberie assortite.

Per dieci anni, Pietrangeli e Sirola hanno mangiato, dormito, viaggiato insieme. Hanno diviso quel poco che c'era da dividere. Hanno riso tanto, in campo e fuori. Insieme hanno vinto il Roland Garros nel 1959: sono la prima coppia tutta italiana a conquistare uno Slam. Insieme hanno guidato l'Italia alle finali inter-zone, tra le migliori nazionali che si giocavano il diritto di andare a sfidare i campioni in carica, del 1955 e del 1958. E soprattutto alle prime due finali della sua storia in Coppa Davis.

 

Le prime finali di Davis

Nel 1960, dopo la rimonta da 0-2 a 3-2 contro gli Stati Uniti a King's Park che nelle ultime battute si riempie di tifosi italiani, perdiamo 4-1 contro l'Australia di Neale Fraser e Rod Laver, due dei migliori giocatori del mondo. Pietrangeli, scrive Umberto Mezzanotte sulla Gazzetta dello Sport, è “un perfetto stilista, un giocatore che sul piano tecnico tutte le nazioni ci invidiano. Ma, aggiunge, "non un lottatore. Il fatto di aver battuto Fraser (quando il risultato era ormai acquisito) e di essersi fatto battere invece da Laver in tre sets (quando il risultato contava e come), conferma quello che ormai tutti sappiamo". La bellezza è il suo vanto, il suo vizio, il suo limite.

Pietrangeli è un perfetto stilista, un giocatore che sul piano tecnico tutte le nazioni ci invidiano

“Se ai nostri tempi ci avessero confinato in un'isola per sei mesi senza campi da tennis e poi ci avessero fatto disputare un torneo, Nicola ci avrebbe battuti tutti” ha detto una volta Ken Rosewall. Per quello stile, proprio nel 1960, l'anno delle Olimpiadi di Roma, Jack Kramer gli aveva offerto di entrare nel suo circuito di professionisti. Con i soldi che gli offriva, ci si poteva comprare una casa. Pietrangeli, però, non si vende e non si svende. Resta formalmente un dilettante, continua a giocare gli Slam e la Coppa Davis. E nel 1961 riporta l'Italia in finale.

 

Mattatore a Roma nella finale inter-zone contro gli Stati Uniti, a Melbourne contro l'Australia si ripete lo scenario di un anno prima. “Quando non serve più a nulla, Pietrangeli sa essere bravissimo” scrive sulla Gazzetta Luigi Gianoli dopo la sconfitta 8-6 al quinto nell'ultimo e ormai ininfluente singolare contro Rod Laver. L'Italia perde 5-0 ma almeno salva la faccia.

Il trionfo in Cile da capitano

La Coppa Davis la vincerà da capitano, nel 1976, guidando Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta e Corrado Zugarelli al trionfo a Santiago del Cile. Pietrangeli, da subito, afferma che bisogna andare a giocare: non si può fermare lo sport in nome della politica. “Lasciare che sulla Coppa ci fosse il nome di un'altra squadra perché ci eravamo rifiutati di andare là era da irresponsabili” commenterà anni dopo. “Vincemmo la Davis e fummo costretti a tornare di nascosto, senza poter condividere quella gioia” che rimane comunque una delle pagine più belle della nostra storia sportiva”.

 

L'Italia vincitrice della Coppa Davis nel 1976, fin qui l'unico trionfo azzurro nella competizione

Il primo italiano a vincere uno Slam

Pietrangeli racconta l'Italia del boom economico, che torna a sognare con gli attori paparazzati nella Via Veneto della Dolce Vita. L'Italia delle vacanze romane in Vespa, dei frigoriferi, delle lavatrici, delle televisioni, delle 600 comprate a rate. Bello e possibile, estroso e vincente, è il primo italiano a conquistare uno Slam. Il 30 maggio 1959, un sabato assolato, carico d'attesa e di tifosi, trionfa al Roland Garros. Vince da favorito la finale contro il sudafricano Ian Vermaak, testa di serie numero 4, ventisei anni, braccia lunghe e carriera breve. Conquisterà anche il titolo in doppio. Allora le classifiche venivano compilate dai giornalisti, non esisteva il computer. Lance Tingay, veterano inglese del Daily Telegraph che compilava quelle maggiormente considerate, l'ha inserito al numero 3 del mondo nel 1959 e nel 1960, quando ha bissato il titolo a Parigi in finale su Ayala. Ha giocato quattro finali a Parigi (sconfitto nel 1961 e nel 1964), e altrettante agli Internazionali d'Italia: ne ha vinte due contro Beppe Merlo nel 1957 e nel 1961 contro Rod Laver, che avrebbe completato l'anno dopo il Grande Slam. Il Foro Italico gli ha intitolato lo stadio delle magie e delle grandi emozioni, dei marmi bianchi e delle monumentali statue classicheggianti: lo scenario ideale per i moderni gladiatori della racchetta.

Pietrangeli ha giocato 18 volte a Wimbledon. Entrare sul Centrale, ha detto, è come essere al Madison Square Garden. Dell'edizione 1960, gli resta un grande ricordo e un rimpianto. Il primo è l'errore nei quarti di Barry MacKay che lo proietta alla semifinale con Laver. Il secondo per il nastro che ferma il suo passante di rovescio sul 4-4 al quinto. Per questione di centimetri, non va a servire per il match sul 5-4. Laver vincerà 6-4 al quinto.

 

In Pietrangeli, allora come in tutta la carriera, come ha detto il grande campione Jaroslav Drobny, l'uomo è prevalso sempre sulla macchina. “Certo, mi sarei potuto allenare di più” ha sempre ammesso, “ma mi sarei divertito molto di meno”.

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