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Campioni nazionali

"Digiu", che storia!

La 28enne romana sta attraversando il miglior momento della carriera, ed è nelle top 150 Wta dopo la semifinale di Bucarest, la sua prima prova del circuito maggiore in tabellone. Alle spalle gli infortuni che l'avevano portata a un passo dal ritiro, ora c'è un'altra storia tutta da scrivere

di | 24 luglio 2019

WTA Bucarest 2019

“Questa Di Giuseppe è bravissima, ma da dove salta fuori?”. La reazione degli appassionati, durante la cavalcata dell’azzurra a Bucarest, è stata più o meno questa. Un sentimento di incredulità misto a sorpresa e sbigottimento, per una ragazza che fino a pochi giorni fa non aveva mai preso parte a un torneo Wta e che all’improvviso raggiungeva una meravigliosa semifinale. “Non mi sono ancora ripresa dalle infinite emozioni provate in Romania – racconta la ventottenne romana – e devo metabolizzare tutto ciò che mi è accaduto: il primo main draw Wta, le dirette tv su Supertennis, il pubblico rumeno tutto dalla mia parte. Mi serve tempo per capirci qualcosa”.

Dal nuoto al tennis

La storia di Martina nasce a Pavona, piccola località a 30 km da Roma, dove la Di Giuseppe vive tuttora. Una storia di sofferenza e perseveranza, di dubbi e ritrovate certezze. “Ho cominciato a giocare a tennis - spiega lei - con il maestro Aldo Vadrucci a Santa Maria delle Mole all’età di 6 anni. Il mio primo sport, in realtà, era stato il nuoto, ma quando uscivo dalla piscina vedevo tutti questi bambini impugnare la racchetta e ho voluto provare anche io. Per un paio di anni ho praticato entrambe le discipline sino a scegliere, come attività agonistica, proprio il tennis. Sono cresciuta con il professor Capineri e Silvano Papi al Verde Roma. Il mio gioco, fatto di slice di rovescio, smorzate, accelerazioni e tocco, arriva da lì. Il ‘prof’ ha sempre creduto molto in un insegnamento completo e variegato, che oggi è diventato il mio bagaglio tecnico”. A livello giovanile Martina è inarrestabile, tanto da conquistare la Lambertenghi (i campionati italiani under 12) e arrivare in finale ai nazionali under 14. Dopo una breve parentesi con Floriano Salvoni, Martina si trasferisce, poco prima dei 18 anni, al 'Le Palme' da coach Francesco Elia, con cui irrompe nel circuito professionistico. “Il primo match l’ho giocato a Civitavecchia, mentre il primo punto Wta è giunto all’Itf dell’Antico Tiro a Volo di Roma. La mia storia tennistica è poi proseguita con l’approdo al Parioli, dove sono cresciuta molto grazie a Vittorio Magnelli, al mio preparatore atletico Gianluca Pasquini e a tutto lo staff del circolo”.

Martina Di Giuseppe

La prima volta a Roma

Gli Internazionali BNL d’Italia sono un sogno per chiunque aspiri a diventare un professionista, e Martina non fa eccezione. L’occasione, grazie a una wild card, arriva nel 2010. “Mentre Bucarest è entrato a far parte del mio personale quadrilatero delle emozioni: Foro Italico, esame di maturità, il primo Slam e Bucarest. Ricordo ancora oggi l’ansia che mi attanagliava prima dell’esordio a Roma in qualificazioni contro la giapponese Ayumi Morita. A colazione non riuscivo a mangiare nemmeno mezzo cornetto, mentre di fronte a me Marin Cilic sembrava stesse facendo il pranzo di Natale… Sono entrata in campo e mi sembrava di far parte di un incantesimo magico. Un sogno spezzato però subito dall’arbitro, che ha cominciato a spiegare tutte le regole in inglese. Ma io non capivo nulla! Sono comunque partita bene, 4-0 e poi 5-2, ma perdendo però alla fine 7-6 6-1. Ho avuto la possibilità di giocare nuovamente al Foro Italico nel 2016 e tornare su quei campi, dove ho seguito da piccola il mio idolo Justine Henin, è un grande obiettivo per il futuro”.

Un incubo superato

È il momento di tornare alla domanda iniziale: ‘Da dove spunta Martina Di Giuseppe?’. Ebbene, arriva da un percorso di sofferenza e consapevolezza, di ansia e forza di volontà. La tennista laziale (anche se l’aggettivo non piace a Martina, che preferirebbe ‘romanista’) ha prima dovuto combattere con il morbo di Osgood-Schlatter, che le provocava dolori e tendiniti alle ginocchia e poi, soprattutto, con un gravissimo problema alla mandibola. “Dopo il primo Foro Italico sono stata ferma alcuni mesi, ma non riuscivo ad esprimermi”. Nell’estate del 2011 arrivano la prima vacanza da sola con gli amici e, soprattutto, i primi mesi di lavoro con papà Nicola, geometra. “Sò durata un mese”, racconta Martina col suo inconfondibile accento romano. La ‘Digiu’ riprende a giocare, raggiungendo anche qualche buon risultato, ma il fato ha deciso di mettersi nuovamente di traverso. “Era il primo aprile 2012. Mi sono svegliata e non riuscivo ad aprire la bocca. Siamo corsi in ospedale e il primo dottore che mi ha visitato mi ha detto che probabilmente non avrei più riaperto la bocca come prima. Diagnosi: lussazione della mandibola. Mi sono sentita morire. Abbiamo girato tanti medici, ascoltato molti pareri, sino all’intervento chirurgico a cui mi sono sottoposta nell’ottobre 2013. Il professor Giorgio Iannetti è stato il mio salvatore, grazie a lui oggi sono qui a inseguire il sogno di arrivare tra le Top 100 e soprattutto grazie a lui posso mangiare nuovamente la pizza. Quanto mi era mancata…”.
Aprile 2012: mi sveglio e non riesco ad aprire la bocca: 'lussazione della mandibola'. Mi dicono che forse non avrei più potuto muovere la bocca come prima. L'operazione risolve tutto, posso tornare a far tutto come prima: compreso mangiare la pizza!

Dal ritiro all'obiettivo top 100

Tornare in campo, dopo una lunga sosta, non è mai semplice. Martina si allena, lotta, gioca, ma i risultati stentano ad arrivare. “Nel 2014 avevo deciso di smettere. Pochi mesi dopo ho cominciato a lavorare come sparring con le agoniste del Tennis Club Parioli e, nel frattempo, ho superato il corso da istruttore di primo grado FIT. Quest’esperienza lavorativa mi ha cambiato e dato nuove motivazioni, anche grazie a Vittorio Magnelli e Gianluca Pasquini che, quando ero poco convinta di tornare in campo, continuavano a ripetermi che non dovevo mollare. È stato molto importante anche il mio fidanzato Danilo, che ho conosciuto durante il periodo in cui mangiavo solo con la cannuccia per i problemi alla mandibola e che mi è sempre stato vicino. Da quel momento sono ripartita e, piano piano, torneo dopo torneo, sono arrivata al numero 150 del mondo. Non credevo nel mio tennis, pensavo che tutte mi avrebbero preso a pallate, e invece con il mio gioco un po’ particolare qualche risultato l’ho raggiunto. Sono realista, non posso puntare alla Top 10, ma alla Top 100 magari sì”. A suon di smorzate, dritti potenti e servizi vincenti. Sempre cercando di comandare il gioco. “Devo far muovere le mie avversarie e tenere lo scambio in mano, che se devo correre io sono dolori…”.
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