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Campioni nazionali

L'Italia s'è desta sull'erba

Tre azzurri al terzo turno dei Championships: Fognini, Berrettini e Fabbiano. E' la seconda miglior prestazione di sempre sui prati londinesi: meglio solo nel 1949

di | 05 luglio 2019

Wimbledon 2019

Correva il 1949, l'anno della tragedia di Superga in cui si scomparve il Grande Torino. L'anno in cui il Parlamento italiano votava l'adesione al Patto Atlantico. E sui sacri prati di Wimbledon c'erano quattro italiani al terzo turno: i fratelli Marcello Rolando Del Bello, Gianni Cucelli e Vanni Canepele. Cucelli e Rolando Del Bello si fermarono poi agli ottavi. Altri tempi, altre storie, altro tennis. Corre l'anno 2019 e quegli stessi prati si colorano ancora di azzurro con tre nostri rappresentanti sempre nei sedicesimi, seconda miglior prestazione nell'ultracentenaria storia dei Championships. Non stiamo parlando di un torneo tra i tanti, per quanto importante, ma del torneo per eccellenza. Chi è protagonista sui prati londinesi, pure una volta soltanto, si guadagna un posto nella storia. Questa è la culla del tennis e in uno sport legato alle tradizioni come pochi vuol dire moltissimo.

I MAGNIFICI TRE

A tenere alto il tricolore sono questa volta Fabio Fognini, Matteo Berrettini e Thomas Fabbiano. Il talento ribelle del ligure con il nuovo status di top ten: aggiungeteci la seconda paternità annunciata insieme alla sua Flavia e il quadro è quello di un uomo, non più un ragazzo, che ora sa relativizzare e non cadere nei tranelli del nervosismo come spesso gli accadeva in passato. Il giovane romano in ascesa, che a soli 23 anni è ancora un working progress e chissà quali vette potrà raggiungere. Matteo piace molto agli inglesi: ha la forza dei nervi distesi e lo sguardo delle statue della Roma guerriera che tanto colpiscono la fantasia dei sudditi di Sua Maestà la Regina Elisabetta. Infine il piccolo grande pugliese, ragazzo arguto, riflessivo e dai modi gentili che dice sempre prego e grazie e si scopre protagonista a 30 anni, dico 30, dopo una vita a sgomitare nelle retrovie. Una carriera da mediano, per dirla alla Ligabue.

ENTUSIASMO CONTAGIOSO

L'Italia s'è desta sull'erba e i segnali erano già arrivati nei tornei di avvicinamento a Wimbledon: il titolo di Berettini a Stoccarda, quello di Sonego ad Antalya, le semifinali dello stesso Berrettini ad Halle e di Fabbiano a Eastbourne. Fino a un paio di settimane fa l'unico titolo vinto da un tennista azzurro sui prati risaliva al 2011, quando Andreas Seppi trionfò a Eastbourne. Sono passati otto anni e i trofei sono diventati tre. Un'esplosione che va di pari passo con la scalata del ranking. Fognini top ten, Berrettini top 20. E' la prima volta dal 1976, anno di grazia con i trionfi di Adriano Panatta a Roma e Parigi e la prima e unica Coppa Davis, che l'Italia del tennis maschile è così in alto nel ranking mondiale: nella classifica del 13 settembre 1976 Panatta era n.6 e Corrado Barazzutti n.17. Sono trascorsi 43 anni: Fognini n.10 e Berrettini n.20. Addirittura rispettivamente n.9 e 13 nella Race, la classifica stagionale. E non è casuale che nel ranking Atp ci siano 3 italiani nei primi 50 (con Cecchinato e Sonego), 6 nei primi 100, 16 nei primi 200. Siamo una delle nazioni meglio piazzate in campo maschile, un risultato frutto della sinergia tra federazione, coach e giocatori. Si è creato un circolo virtuoso e ci sono altri giovani pronti al grande salto. A cominciare dai 17enni Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e Giulio Zeppieri. La grande bellezza del tennis italiano.

OBIETTIVO QUARTI

Per una volta il nostro tennis potrebbe sorprendere gli appassionati british. L'erba di Church Road non ci ha mai sorriso granché: Nicola Pietrangeli sfiorò la finale nel lontano 1960 battuto in cinque set da Rod Laver. Nell'era open solo due quarti. Panatta nel 1979 perse sempre al quinto contro Dupre un match incredibile che avrebbe dovuto vincere: invece fu tradito dall'ego e dal pensiero di una possibile sfida contro l'orso Borg in semifinale. Davide Sanguinetti nel 1998 si arrese a Krajicek: lo spezzino aveva un tennis sotto traccia, quasi da club. Si dilettava in lunghi monologhi e si dava dei gran cazzotti in testa giusto per fissare meglio i concetti quando sbagliava un punto. Un siparietto niente male. Sono trascorsi 21 anni dall'ultimo italiano tra i "last eight" ai Championships. Che sia la volta buona?
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