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A Marbella il 17enne vince il derby col 39enne, cancellando la differenza d’età. Non è la prima volta…
di Vincenzo Martucci | 09 aprile 2021
Ode al tennis, lo sport davvero per tutti. Ringraziamo il torneo di Marbella che ci ricorda un’altra bellezza delle racchette: nel derby fra due spagnoli Carlos Alcaraz Garfia batte Feliciano Lopez e, insieme la sensibile differenza d’età fra i due. Perché il primo, da El Malmar, Murcia, ha 17 anni e 338 giorni e il secondo, da Toledo, ha 39 anni e 200 giorni.
La distanza all’anagrafe è 21 anni 226 giorni, la più grande fra due atleti che si fronteggiano in un match ufficiale sull’ATP Tour da un altro derby, quello austriaco che, nel 2011 a Vienna, mise di fronte il 18enne Dominic Thiem e il 44enne Thomas Muster, sottolineando una differenza d’età fra il campione di ieri e quello del momento di addirittura 25 anni e 336 giorni. Anche allora come adesso vinse il più giovane, stavolta per 4-6 6-2 6-4, all’epoca ancor più nettamente per 6-2 6-3. Anche allora, come adesso, il tennis dimostra che, con una racchetta in mano, non c’è più età.
Colpisce che, quando Alcaraz è nato, il 5 maggio 2003, Feliciano era già numero 56 del mondo. Colpiscono anche, nell’interessante statistica pubblicata dal sito TennisMyLife, le maggiori differenze d’età fra due contendenti del circuito avvalorando l’idea che giovani e meno giovani abbiano le medesime possibilità di confrontarsi con le proprie caratteristiche fisiche e tecniche.
Andando a ritroso nel tempo, nell’era Open, erano tanti i 25 anni e 313 giorni di distanza che separavano nell’82 a Baltimora il 18enne Jimmy Arias e il 44enne Fred Stolle. Così come i 26 anni che avevano a Brisbane ’79 il 44enne Ken Rosewall e il 18enne Greg Whitecross. Mentre sembrano irreali i 40 anni e 73 giorni che, a Miami ’77, separavano il 23enne John Whitlinger e il 63enne Gardnar Mulloy, tanto che quell’impossibile confronto terminò con un impietoso e comprensibile 6-0 6-1.
Nei derby fra vecchi e giovani vincono sempre i secondi? Nella maggioranza sì, certo, vuoi mettere le energie di un ragazzo confrontate con quelle di un avversario tanto più anziano?
Però, non tanto lontano nel tempo, a Den Bosch 2009, a 38 anni 103 giorni, il gigante Dick Norman ha dominato Daniel Berta, 16 anni 200 giorni, per 6-3 6-3, cancellando i 21 anni 271 giorni di deficit all’anagrafe. Andando più indietro, fanno sempre scalpore le imprese del campione simbolo di longevità, l’australiano Ken Rosewall che, 45 anni 345 giorni, al torneo indoor di Sydney dell’80, superò Tim Wilkinson (20 anni 325 giorni) per 6-4 7-5, annullando il gap di 25 anni e 20 giorni.
Del resto, a Brisbane, quello stesso anno aveva fatto anche di meglio, superando l’ancor più noto John Fitzgerald per 1-6 7-5 6-3, ignorando la differenza di 26 anni e 56 giorni che esisteva fra loro. E, se proprio dobbiamo sottolineare un’impresa, agli Australian Open 1975, Franck Sedgman, a 47 anni e 80 giorni, eliminò Richard Lewis (20 anni 14 giorni) per 6-3 5-7 6-4 6-3, annullando la differenza d’età di 27 anni e 65 giorni.
Ken Rosewall nel 1972 a Dallas
Certo, questi ultimi dati fanno parte di un tennis molto diverso rispetto a quello moderno più legato al fisico, ma rilanciano l’idea di come questo sport dia la possibilità di superare tutte le barriere, compresa quella dell’età. Concedendo tutti i giorni a tutti di esprimersi: alti e bassi, con più o meno tocco, più o meno potenza, con un gran servizio e senza, o quasi, con il colpo del ko o con grandissima resistenza, con estrema velocità e con invece posa mobilità.
Ognuno interpreta a modo suo la relazione con racchette e palline, tagliola, affettandola quasi, oppure colpendola con valenza come a spaccarla come se si trovasse sul monte di lancio del baseball. Perché quella con la pallina che vola ribelle è una relazione personale che ognuno interpreta come sente e come può, vivendola a ogni colpo un nuovo approccio del proprio corpo e della propria mente con quel proiettile che ci rimbalza davanti agli occhi.
Diabolico ma affascinante.