La stagione 2020 della disciplina di coppia ha confermato il trend: oggi soltanto tre top 100 di singolare sono fra i primi 50 della specialità. Mentre l'età media continua ad alzarsi e ha ormai superato i 33 anni. Eppure, a dispetto di un'edizione sottotono delle Finals, c'è parecchio da divertirsi.
di Cristian Sonzogni | 29 novembre 2020
Non è nemmeno che nel corso degli anni non ci abbiano provato, a rendere popolare il doppio fra i singolaristi più forti. È che semplicemente singolare e doppio sono due sport diversi. E chi non è d'accordo, dovrà mettersi l'anima in pace guardando semplicemente i numeri. Una conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, arriva dal ranking di fine anno della specialità. Solo tre giocatori fra i migliori 50 della classifica sono anche top 100 di singolare.
Fra gli altri, ce ne sono molti che da soli non scendono in campo da anni, che si sono ritirati da una parte ma proseguono dall'altra. Esempi? Un sacco: dal nostro Simone Bolelli all'iberico Marcel Granollers, dal croato Ivan Dodig all'austriaco Jurgen Melzer. Personaggi di altissimo profilo solo qualche stagione fa, e ora rifugiatisi in una dimensione parallela dove l'età è un concetto relativo e dove i sacrifici vengono divisi (almeno) a metà.
Ma chi sono questi tre che, a ben guardare, dovremmo chiamare 'superstiti'? Il più in alto è un francese, Pierre-Hugues Herbert, 23 al mondo in doppio e 83 in singolare, dopo aver pure assaporato un best ranking dentro ai top 40. Dopo di lui, un altro transalpino, Jeremy Chardy, rispettivamente numero 34 e 75. Il terzo (e ultimo) è pure l'unica vera star mainstream presente in elenco: si tratta di Denis Shapovalov, 49° nella gara di coppia e 12° in singolare.
Un talento per il quale, evidentemente, qualsiasi palcoscenico diventa occasione buona per giocare, divertirsi e divertire. Non è, beninteso, una tendenza di oggi. Già dodici mesi fa la situazione era più o meno la stessa, ma il trend è evidente se torniamo indietro soltanto di qualche anno in più. Per esempio, a fine 2005 i top 100 di singolare nei primi 50 di doppio erano 11, quasi quattro volte tanto quelli attuali. Nel 2010 erano 12, nel 2000 13 (con Roger Federer 32°...), ma erano addirittura 26 nel 1990. Un altro mondo.
Negli ultimi trent'anni, singolare e doppio hanno preso due strade quasi completamente parallele, dove il 'quasi' è una benevola concessione alla speranza di poter un giorno tornare indietro. A mettere un ulteriore muro fra le due categorie, l'aumento dell'età media dei professionisti. Che da un lato permette a chi vuole di organizzarsi una seconda carriera accanto a un compagno, abbandonando però quella più difficile e rischiosa del singolare; dall'altra consente a chi ha vissuto tutta la vita in quel bizzarro mondo del campo diviso per quattro di far fruttare la propria esperienza rimanendo ai vertici per un tempo infinito.
Di esempi, in questo senso, ce ne sono parecchi. Basta citare Bruno Soares, Lukasz Kubot, Raven Klaasen, Jean-Julien Rojer, Rohan Bopanna oppure Oliver Marach: il più giovane ha 38 anni, il più vecchio 40. A vederli in gara sembrano ragazzini, ma dalla loro hanno – chi più chi meno – una ventina d'anni di professionismo che vengono utili quando devi affrontare una palla break sul 4-4. A dare una mano ai vecchietti, poi, ci si è messo pure il nuovo regolamento, e la scomparsa del terzo set in favore del match tie-break. La conseguenza è che difficilmente le partite superano l'ora e mezza di gioco, una manna dal cielo per chi è più vicino ai 40 che ai 30.
Oggi l'età media dei top 50 di doppio è di 33,4 anni. Con punte di 40 fra i giocatori ancora attivi. Nel 1990, la media era di 25,12. A dare una mano, anche il match tie-break che accorcia gli incontri.
Restando in tema di carte d'identità, c'è dunque un altro dato che spicca nel nuovo doppio dell'era tennistica 2020: l'età media dei top 50 di specialità è 33,4 anni. Nel 1990 era 25,12. Il trend, in questo caso, non è solo del doppio ma del tennis in generale (sarebbe meglio dire dello sport tutto), eppure nel doppio è amplificato, portato all'eccesso. Oggi, pensare di giocare ed essere competitivi per uno Slam oltre i 40 anni non è un'utopia, e non è nemmeno un'aspirazione riservata ai Federer della specialità.
A proposito di stelle, col ritiro dei gemelli Bryan (42 anni) è difficile vedere all'orizzonte qualcuno che possa spingere la disciplina oltre i confini dei super-appassionati. Non sono stelle da prima pagina dei quotidiani i colombiani Cabal e Farah, attuali leader della specialità. Non sono stelle da copertina nemmeno Wesley Koolhof e Nikola Mektic, recenti trionfatori nelle Finals londinesi. Anche in questo caso: non si tratta di una sorpresa. E in realtà nemmeno nel 1990, al vertice c'erano giocatori da strapparsi i capelli.
Tuttavia, se in vetta trovavamo i sudafricani Aldrich e Visser, poco dietro c'erano i Forget, i Sanchez, i Korda, ma pure Stich, Becker e Ivanisevic. Proprio al Roland Garros di quell'anno, Casal e Sanchez batterono Ivanisevic e Korda. Sarebbe come se oggi si incontrassero Bautista Agut e Feliciano Lopez da una parte, Wawrinka e Raonic dall'altra. Not too bad, insomma.
Eppure è un peccato, che ci si trovi quasi con due sport diversi, con il secondo che chiede costantemente spazi (mediatici, di pubblico, di attenzione) al primo laddove di spazi – inevitabilmente – ce ne sono sempre meno. È un peccato anche con i protagonisti attuali del doppio, spesso poco conosciuti ma altrettanto spesso parecchio divertenti. Il problema è che la percezione collettiva è di assistere a qualcosa di alternativo, quando non di marginale.
Ma basterebbe vedere una partita, una sola, di personaggi come Mahut, Ram, Krawietz e Mies (vincitori al Roland Garros per due anni di fila), per rendersi conto che di spettacolo ce n'è in abbondanza, e che in fondo è tutta una questione di come questo prodotto viene venduto, non tanto della sua qualità. Nel ranking Juniores, la classifica (che è una sola) tiene conto, in parte, anche dei risultati nella gara di coppia. Forse, pensare seriamente a questa prospettiva sarebbe l'unico modo per ridare davvero uno spazio vitale al doppio, per spingere i migliori singolaristi a entrare nell'arena. Per aprire un mercato, volendola vedere dal profilo di chi governa il Tour, attualmente ancora troppo chiuso per i suoi meriti e per il suo potenziale.

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