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Già nel ranking mondiale ad appena 14 anni, e agli Us Open a 16, l’ex fenomeno di precocità Stefan Kozlov non è mai arrivato fra i primi 100, e pareva aver smarrito la bussola. Ma non tutto è perduto: dopo quattro stagioni è tornato a vincere un Challenger, e a 23 anni ha ancora tempo per una buona carriera
02 ottobre 2021
Fino a qualche anno fa, Stefan Kozlov era semplicemente “il più giovane a …”. L’elenco di record di precocità dello statunitense nato a Skopje (Macedonia) era impressionante, come la sua capacità di entrare nel ranking dei professionisti ad appena 14 anni, quando mediamente i coetanei non si sono nemmeno avvicinati all’attività under 18. Lui invece sembrava già pronto per il salto fra i grandi, con un fisico da bambino ma l’intelligenza tattica (e il rovescio) di un veterano.
Capiva il gioco prima degli altri, aveva una mano educatissima che lasciava a bocca aperta, e pareva destinato a sfondare. Invece, sette anni dopo la sua prima partita vinta – da sedicenne – nelle qualificazioni dello Us Open, il best ranking è ancora fermo al numero 115 del 2017, perché da lì in poi è iniziata una crisi di risultati interminabile.
Difficile dire se sia alle spalle, ma intanto l’oggi 23enne cresciuto a Pembroke Pines (Florida) è tornato a vincere un titolo Challenger a quattro anni dall’ultima volta, imponendosi a Columbus. Proprio dove nel 2016 conquistò il suo primo titolo nella categoria. Forse è solo una coincidenza, oppure un segnale di rinascita.
Per anni la crescita di Kozlov aveva seguito il percorso tracciato dal papà-coach Andrei, russo emigrato negli States nel periodo di depressione dell’economia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il quale gestisce un’accademia a Pembroke Pines e – tennisticamente parlando – l’ha cresciuto con metodi non troppo ortodossi, come l’abitudine a giocare sul cemento anche sotto la pioggia, per imparare a scivolare. La USTA ne aveva presto condiviso gli obiettivi, prendendolo sotto la propria ala protettrice e occupandosi di allenamenti e programmazione, e fino a un certo punto ha funzionato tutto a dovere.
Da juniores Kozlov ha giocato due finali Slam (Australian Open e Wimbledon), nel gennaio 2014 è arrivato al numero 2 del ranking ed era uno dei nomi più caldi della generazione di Zverev, Rublev, Tsitsipas e tanti altri. Li affrontava spesso e li batteva volentieri, e – inizialmente – anche fra i professionisti ha seguito il gruppo, giocando il suo primo quarto di finale ATP nel 2016 a ‘s-Hertogenbosh.
“Mi piacerebbe arrivare fra i primi 100 entro la fine della stagione – diceva durante quell’estate –, e poi sogno la top-10 e uno Slam: lo Us Open, o anche Wimbledon. Ma è difficile fare previsioni, perché nel tennis entrano in gioco tanti aspetti”. Col senno di poi, la previsione corretta è stata l’auto-monito finale, visto che negli Slam non ha mai raggiunto nemmeno il tabellone principale, ed è come se la sua carriera si sia fermata ancora prima di iniziare per davvero. Fatto sta che dopo aver raggiunto la posizione n.115 della classifica nel febbraio del 2017, certi risultati sono diventati di colpo irraggiungibili.
Un fisico un po’ mingherlino per il tennis di vertice – 1 metro e 83 per 79 chilogrammi – non l’ha certo aiutato a compiere l’ulteriore step, ma è pur sempre lo stesso che gli aveva permesso di arrivare fino a lì, e con qualche muscolo in meno. Eppure, per quattro anni Kozlov non ha più visto nemmeno una finale Challenger, ed era sprofondato addirittura fuori dai primi 500 del ranking.
Le aziende che da ragazzino investivano sul suo futuro sono sparite, le attenzioni anche, così da qualche tempo Stefan – che si chiama così in onore di Edberg, e ha un fratello di nome Boris come Becker – ha provato a cambiare rotta. Ha lasciato l’accademia di papà a Pembroke Pines e ha iniziato ad allenarsi al Developmental Tennis Institute di Miramar: sono soltanto tre miglia di distanza in auto, ma gli è servito a dare una scossa alla situazione. Che pare aver funzionato.
A luglio lo statunitense è tornato in semifinale in un Challenger, come non gli succedeva da un anno e mezzo, mentre la scorsa settimana ha vinto il suo terzo titolo in carriera sul cemento indoor del Tennis Ohio Championships. Fra quarti, semifinale e finale ha perso per tre volte il primo set, ma è sempre riuscito a rimontare e spuntarla al terzo, dimostrando un’enorme voglia di vincere e di provare a rilanciare una carriera interrotta sul più bello.
Quando nell’ultimo punto della finale l’avversario Max Purcell ha spedito in rete un diritto, Kozlov non ha nemmeno esultato. Niente urla, niente braccia al cielo, nemmeno un pugnetto, nulla. Si è avvicinato a rete e ha stretto la mano all’avversario, come se non fosse successo nulla di particolare. Invece, si tratta della vittoria che lo riporta nei primi 300 del mondo (al numero 251) dopo quasi due anni, arrivata in un torneo che aveva pensato addirittura di non giocare.
“Al rientro dall’Europa – ha detto Stefan, alludendo al Challenger di Kiev – non mi sono sentito bene, tanto da aver pensato di rinunciare al singolare e di giocare solamente il doppio (che ha vinto col canadese Polansky, ndr). Ma fin dal primo turno ho trovato un buon feeling, ho battuto un buon giocatore e quel successo mi ha dato fiducia. Ed è andata a finire che nel terzo set degli ultimi tre match sono sempre riuscito a esprimere il mio miglior tennis. Sono davvero felice di come è andata questa settimana”.
Anche al microfono, come già dopo il match point, profilo basso e niente pensieri al futuro. In passato se l’è immaginato spesso, ma non è mai andato come ipotizzava lui. Che sia questa la ricetta per ricominciare da capo?