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Campioni internazionali

Martello Matteo sulla pelle di Nole: il valore aver giocato alla pari

Essere riuscito a tenere in equilibrio la finale fino in fondo contro un Djokovic che puntava a traguardi storici vale come una vittoria: Berrettini porta con sé anche l’esperienza di essere riuscito a scrollarsi di dosso l’emozione iniziale, liberando tutta la potenza del suo servizio e del suo diritto

di | 11 luglio 2021

Quando alle porte dell’Olimpo, sulla strada per entrare nel mito, incontri una divinità come Novak Djokovic è inevitabile che tu debba cedere il passo. Matteo Berrettini giocava per diventare il primo italiano di sempre a sollevare il trofeo di Wimbledon. Il suo avversario, n.1 del mondo da 330 settimane, giocava per eguagliare gli altri due dei, Roger Federer e Rafael Nadal, a quota 20 Slam, il primato storico.

“Il viaggio non finisce qui” ha dichiarato a caldo, l’ingordo.

Giocava per volare a New York a fine agosto a tentare di chiudere il poker Grand Slam (impresa dal sapore proibito nell’Era Open): “Sto bene, gioco bene, gioco il mio miglior tennis nei tornei del Grande Slam. Ci proverò di sicuro”

 Ormai gioca solo per stabilire una volta per tutte di essere non semplicemente un grande campione ma il n.1 di sempre, piaccia o non piaccia al pubblico che nei momenti importanti gli ha sempre tifato contro. O meglio a favore del suo avversario, come è successo anche oggi con Matteo Berrettini.

Questa premessa è doverosa per far capire quanto sia stato forte oggi Matteo Berrettini, anche nella sconfitta.

Nel 2019 al suo posto, con il piatto d’argento del secondo classificato in mano, c’era un certo Roger Federer. Nel 2018 era toccato al sudafricano Kevin Anderson guardare Djokovic mentre alzava il trofeo. Non gli era bastato battere Federer nei quarti: Nole aveva messo sotto Nadal in semifinale e nell’atto decisivo gli aveva concesso poco o niente.

Matteo Berrettini invece oggi si è preso tanto: il gusto pieno di fare partita pari con tale fenomenale avversario. La soddisfazione personale di aver superato un avvio difficile, l’emozione della prima finale sul Centre Court, lui che è un emotivo, un sentimentale, una persona sensibile e pulita che vive con pienezza i fatti importanti della vita.

Sotto 2-5 nella prima partita, aveva mostrato in quei 7 giochi iniziali quel umanissimo imbarazzo, i gesti un po’ rigidi e strappati di quando aveva affrontato per la prima volta il campo centrale di Roma, contro Fabio Fognini. O proprio a Wimbledon nel 2019, Roger Federer negli ottavi di finale.

Tirarsi fuori da quel blocco, in quel teatro, contro quell’avversario, sotto gli occhi dei suoi famigliari, della sua compagna, è stata un’impresa di difficoltà enorme, molto simile alla conquista del titolo.

E con l’incredibile rimonta che lo ha portato ad aggiudicarsi quel set al tie-break s’è aggiudicato il personale trofeo del 2021: la possibilità, come dicevamo, di misurarsi alla pari con un giocatore leggendario, che ha scritto e scriverà ancor di più la storia del tennis.

I numeri 6-7(4) 6-4 6-4 6-3 dicono di un successo netto. In realtà fino all’ultimo punto si ha avuto la sensazione che il match potesse riequilibrarsi e addirittura girare.

“E’ davvero un martello – ha ammesso Djokovic a fine match – ne ho sentito la potenza sulla mia pelle”.

L'abbraccio finale fra Matteo Berrettini e Novak Djokovic (foto Getty Images)

Berrettini ha dimostrato che il suo servizio è un incubo per il più forte di sempre. E tutti abbiamo potuto constatare come il n.1 del mondo sia stato attentissimo ad evitare il diritto del Martello, anche quello molto problematico da arginare per lui.

Però poi il campione romano, n.3 della Race, classifica mondiale che tiene contro dei risultati di quest’anno e qualifica per le Nitto ATP Finals di Torino, ha risposto anche benissimo con il rovescio bimane, ha fatto soffrire il rivale con il back di rovescio, preciso e profondo.

E tutta questa ricchezza di giocate l’ha espressa con continuità nella partita, fino all’ultimo punto, arrendendosi solo alla grandezza dell’avversario.

“Questa di oggi per me non è una fine, ma l’inizio della mia carriera” ha detto con il piatto d’argento in mano “e spero che non sia l’ultima”.

La sconfitta di oggi insegna ancora qualcosa: dice che Matteo è pronto a sollevare lui il trofeo di argento dorato. E’ stato all’altezza di una leggenda, primo dei comuni mortali. Deve essere orgoglioso. Noi lo siamo di lui.  

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