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Campioni internazionali

Depressione e ritorno: Kokkinakis ci riprova

Il talento australiano ha soltanto 25 anni e già tanti infortuni alle spalle. Una carriera difficile passata anche attraverso il buio della depressione. La semifinale di Adelaide, la prima dalla finale di Los Cabos 2017, può rappresentare un nuovo punto di partenza

di | 07 gennaio 2022

ARTICOLO PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE IL 23 MAGGIO 2021

Thanasi Kokkinakis è tornato in una semifinale ATP per la prima volta dalla finale di Los Cabos del 2017. L'australiano ha sconfitto 7-6 (9) 4-6 6-4 all'ATP di Adelaide, trasmesso su SuperTennis e SuperTennix. Affronterà il francese Gael Monfils, che insegue l'undicesimo titolo in carriera. Vi riproponiamo il profilo dell'australiano che ha superato una lunga serie di infortuni e problemi.

Una lista lunga così di guai fisici di ogni genere, la depressione, la sensazione di non riuscire a vedere la luce in fondo al tunnel, in una carriera cominciata con aspettative altissime e naufragata nella cattiva sorte. Oggi, però, Thanasi Kokkinakis è pronto a ripartire, e come ogni collega che ha dovuto patire le sue stesse pene, lo fa dai Challenger, dal gradino iniziale del Tour Atp.

La vittoria a Biella può dare lo slancio a un talento di quelli che nascono una volta ogni tanto, e che tuttavia non ha mai trovato una strada per andare più in alto di un best ranking fin qui ben al di sotto delle attese: numero 69 Atp. Lui che, a dispetto di numeri anonimi, ha un bilancio positivo contro Roger Federer (una partita, una vittoria, a Miami 2018), lui che da Juniores era il 'gemello buono' di Nick Kyrgios, quello con almeno altrettanta classe ma con più disciplina.

La speranza arriva dalla sua età: 25 anni compiuti lo scorso 10 aprile, Kokkinakis è ancora nel pieno della maturità, e se la sfortuna dovesse aver concluso il suo lavoro con lui, potremmo ancora vederne delle belle. Sì perché l'australiano di Adelaide, origini greche da parte di entrambi i genitori, si porta in dote un bagaglio tecnico da fare invidia a chiunque: servizio monstre, diritto che fa paura, una velocità di braccio notevole e un tennis aggressivo capace di far male a chiunque, su ogni superficie. Biella è la sua quarta vittoria Challenger, dopo quelle di Bordeaux (2015), Aptos e Las Vegas (entrambe nel 2018), mentre se guardiamo agli Slam c'è un misero terzo turno al Roland Garros del 2015 come migliore prestazione.

In mezzo, quella vittoria su Roger, una finale a Los Cabos (2017), tanti rimpianti e tanti forfait. Come quando, agli Us Open del 2019, avrebbe dovuto affrontare Rafa Nadal al secondo turno e invece fu tradito dalla spalla. Con Rafa che gli mandò un messaggio per rincuorarlo: “Fu molto carino da parte sua – ricorda oggi l'aussie – perché non era certo tenuto a un gesto del genere, tanto più che quasi non ci conoscevamo nemmeno. Mi arrivò questo messaggio e la prima reazione fu persino di ignorarlo, perché non avevo il numero di Rafa in rubrica...”.

Quando mi ritirai prima del nostro match, Rafa mi mandò un sms per rincuorarmi. Ma io non avevo il suo numero, dunque non sapevo da dove arrivasse quel messaggio e il primo pensiero fu di ignorarlo...

Non accampa scuse, oggi, quando parla di se stesso, ma è indubbio che il suo percorso sia stato fino a oggi troppo accidentato per poter essere analizzato con equilibrio. “Non voglio mettermi a lamentarmi ogni volta del mio passato, mi sono stancato di tutto questo. Sono consapevole che altri, adesso top players, non hanno vissuto i miei stessi guai, ma in questa sfortuna non sono certo il solo, bisogna guardare avanti”.

Facile farlo quando la mente ti spinge, più difficile quando la depressione diventa un ulteriore nemico, subdolo e cattivo. “Solo chi ha attraversato lo stesso problema può veramente essere in grado di comprenderlo fino in fondo. I dolori della mente sono peggiori di quelli del corpo, e quando arrivano ti mettono alla prova in maniera severa. Entravo in un caffè, provavo a distrarmi, ma l'unica cosa che provavo era ansia. Venivo assalito dalla tachicardia e dovevo rifugiarmi a casa. È stato un periodo durissimo, piangevo nella mia stanza senza alcuna ragione, non avevo obiettivi, non vedevo un futuro”.

Cresciuto ammirando Marat Safin, in fondo sul campo un po' gli somiglia: botte da fondo ma non solo, anche un pizzico di follia e una certa attitudine all'intrattenimento, ciò che Thanasi amava del russo. “Era fantastico vederlo in azione, ci passavo delle ore, i suoi match erano ipnotici”. Adesso tocca a lui, provare a intrattenere il pubblico, un po' sulle orme del coetaneo e connazionale Kyrgios, contro il quale perse la finale dell'Australian Open Juniores 2013. Un'amicizia che resta, malgrado le carriere (e le vite) abbiano preso da tempo strade diverse.

“Io e Nick giochiamo spesso insieme, ci divertiamo, abbiamo vissuto tanti momenti da ricordare, anche se a volte ho dovuto tirargli le orecchie”. Come farebbe un fratello maggiore, che poi maggiore non è, perché Nick è nato un anno prima, 1995 contro 1996. Per Thanasi, l'anno peggiore è stato il 2016: una sola partita giocata in dodici mesi. Ma non è che il resto sia stato rose e fiori: sette tornei nel 2017, nove nel 2019, nessuno nel 2020 già minato dalla pandemia. Da Melbourne 2021 la ripresa, con i cinque set lottati di fronte a Stefanos Tsitsipas a far tornare un po' di fiducia. E con Biella a ridargli un trofeo, e un po' di gioia, in attesa che la fortuna gli apra finalmente le porte.

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