-
Campioni internazionali

Il gigante buono se ne va: come dimenticarti, Delpo?

Il calvario e la favola delle clamorose risalite di Juan Martin del Potro si conclude fra Buenos Aires e Rio con l’addio per i problemi alle ginocchia. Tornerà in campo contro Delbonis non prima della mezzanotte tra martedì 8 e mercoledì 9 febbraio, ora italiana

di | 08 febbraio 2022

Il gigante buono se ne va. Con poche parole, come sempre, ma insieme col frastuono dei sentimenti che scatena. Con quell’aria dolce e mansueta che nasconde una forza sovrumana abbandona il tennis in lacrime e si porta via quel diritto e quel servizio micidiali, decisivi, imparabili e indimenticabili per gli avversari, a contrasto con modi pacati, grugniti sommessi e una vocina bassa che arriva dal mondo da zucchero filato dal quale non può staccarsi, Tandil, nel sud dell’Argentina.

Juan Martin del Potro, per tutti, semplicemente Delpo è senza discussione il campione più sfortunato delle racchette, quello che ha pagato il prezzo più alto per gli infortuni, ma anche quello che ha saputo reagire in modo ancor più perentorio e clamoroso, addirittura miracoloso, ai gravi stop che ha accusato, tornando dall’inferno a paradiso, alternando eclatanti su e giù in classifica ad ancor più eclatanti successi.

La confessione

Polsi e ginocchia sono stati la sua disperazione. Oggi, a 33 anni, il campione degli US Open 2009 - gemma dei 22 titoli ATP Tour - che nell’agosto 2018 è arrivato al 3 del mondo ed è ora scaduto al 757, annuncia che in queste due settimane giocherà da wild card

I tornei di casa, a Buenos Aires e Rio de Janeiro, solo per chiudere la carriera con la dignità dei guerrieri, sul campo di battaglia. “Ho sempre superato tutto. Non voglio chiudere la porta. Sono molto emozionato perché amo il tennis. Oggi devo essere onesto per non dare il messaggio sbagliato, anche se in due anni e mezzo ho dato messaggi che non erano in linea con la mia realtà" ha detto.

"Se devo essere sincero devo dire che non sono qui per una rimonta miracolosa come in altre occasioni. Conosco i limiti che ho fisicamente. Con questo infortunio ho sempre detto che non mi sarei arreso ma devo farlo. L’addio doveva essere in campo e non in conferenza stampa. Ho dormito con il dolore per due anni e mezzo. Prima guidavo per tre ore e mezza fino a Tandil e ora devo fermarmi per sgranchirmi la gamba. Non mi piace, ma è quello che devo fare. La mia battaglia riguarda la salute e la qualità della vita”.

Esempio altissimo

Medaglia olimpica a Londra 2012 (bronzo) e Rio 2016 (argento), “la Torre di Tandil” ha ottenuto un risultato incredibile: ovunque giocasse, qualsiasi avversario fronteggiasse, ha avuto a favore il pubblico. “Ovunque vada, ho la sensazione di essere l’eroe locale. La gente sa ed apprezza gli sforzi che ho fatto per essere ancora competitivo”.

Era il simbolo della speranza, l’uomo che si ribella al destino e si rialza, una, due, tre, quante volte si è rialzato Juan Martin? Quanti applausi convinti ha strappato agli avversari, quanti giovani ha calamitato in campo col suo esempio? Se Guillermo Vilas è stato il padre del tennis argentino, Maciste che spostava le montagne ed apriva una strada nuova di riscatto sociale alla sua gente, Del Potro è stato il gigante buono e indomito che ha ridato speranza a qualsiasi sogno.

Sin da quella miracolosa cavalcata di New York del 2009 quando scalò la montagna Rafa Nadal in semifinale e poi anche l’Everest-Federer in finale, stoppando per sempre RogerExpress agli US Open dopo 5 trionfi consecutivi. Ripresentandosi invece lui, nel 2018, sotto il traguardo di Flushing Meadows, dopo aver schiantato Rafa, ma arrendendosi a Djokovic. Del resto, gli Slam sono stati il suo palcoscenico ideale, dove si è saltato con 13 show fra quarti, semifinali e finali.

L'ennesimo ritorno di Del Potro, l'uomo che non si arrende

Calvario

I problemi ai polsi hanno costretto Delpo a lunghe e forzate inattività nel 2010 e nelle stagioni 2014-2016, con addirittura quattro operazioni, una al destro, tre al sinistro, i problemi al  ginocchio lo tengono fermo da metà 2019. “Purtroppo ho dovuto fare i conti con molti infortuni, ma ho ottenuto la maggior parte delle cose che volevo ottenere”, dice ancora lui, sempre positivo, semplice, diretto, onesto, e quindi vicino alla gente.

“Conosco le mie potenzialità nel tennis, ma conosco anche i limiti del mio fisico”. Dando appuntamento alla partita di Baires contro l’amico e connazionale Federico Delbonis. “Voglio che sia una festa”. Come fai a non volergli bene? Gli avversari, soprattutto i più forti, quelli che ha battuto anche in parturite importanti, a cominciare da Federer, ogni volta che pensano a lui, pensano a quanto soni stati fortunati loro, a confronto, ed accettano meglio gli schiaffi che hanno preso da Juan Martin.  

A cominciare da quel dritto, piatto, portato con un movimento così ampio, così indietro il corpo, che sembra sempre fuori tempo e invece è pienamente sincronizzato con l’omone argentino. Sembrava fuori gioco già all’inizi della sua corsa fra i pro, così pesante, così lento, come avrebbe potuto essere anche reattivo? Ce l’ha fatta, lavorando tantissimo sul fisico.

E come avrebbe potuto reagire alle avversità di quelle operazioni ai polsi e difendersi dagli attacchi nemici proprio nella parte sinistra, del rovescio dove tutti avrebbero cercato uno spiraglio? Ce l’ha fatta ancora. Risalendo dal numero della classifica fino a recuperare il 4, nella prima risalita dagli inferi del 2010-2014, e poi ancora, addirittura dal 1045 ancora al 4, del 2015-2018. Una favola da film, da raccontare magari con una serie Netflix.

Acuti straordinari

Le risalite di del Potro sono state accentuate dagli straordinari successi. “Vorrei che mi ricordassero come il giocatore più paziente, o il più emotivo”. Fra le sue perle, dopo la magica rimonta con il Magnifico nella finale di New York 2009 (dopo aver superato Nadal), la finale per il bronzo olimpico battendo Djokovic a Londra 2012, le semifinali contro Rafa ai Giochi di Rio 2016 (dopo aver già negato ancora il sogno olimpico a Djokovic), la semifinale di Davis 2016 battendo Murray. Soprattutto, quale che adora, sono le altre beffe all’amico-idolo Roger: “L’avversario contro il quale più di tutti amo giocare, per quanto ammiri il suo stile, così posso raccontarlo un giorno ai miei figli“. Con gli sgambetti nelle finali di Basilea 2012 e 2013, e agli US Open 2017. Roger che forse non riesce ad accanirsi, ad essere veramente cattivo contro un  avversario così bravo e sfortunato. A dispetto di quel dritto che sradicava chiunque dal campo. 

Ciao, Delpo, non potremo dimenticarti.

Loading...

Altri articoli che potrebbero piacerti