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Campioni internazionali

Il ‘Colore del tennis’ spicca sul venerdì di Repubblica

“Il boom del tennis in Italia non è multirazziale, non ha intercettato i nuovi italiani come avviene il altre discipline”. Angelo Carotenuto, sul supplemento settimanale del quotidiano diretto da Maurizio Molinari, analizza il fenomeno con un interessante approfondimento

17 ottobre 2020

Denis Shapovalov e Felix Auger Alissime nel team canadese di Davis

Denis Shapovalov e Felix Auger Alissime nel team canadese di Davis

Si intitola “Il Colore del tennis”, l’ampio servizio che il Venerdì di Repubblica ha dedicato questa settimana al nostro sport a firma di Angelo Carotenuto.

E parte da un presupposto originale: il tennis “è uno sport in pieno boom di talenti e risultati. Ma mentre in altre discipline i nuovi italiani conquistano record e medaglie, qui la multirazzialità ancora non esiste”.

Sì perché i nuovi giovani astri della racchette “made in Italy” si chiamano Matteo Berrettini, Lorenzo Musetti, Jannik Sinner, e vengono da Roma, da Carrara o, massimo dell’esotismo, dall’Alto Adige, quella Val Fiscalina dove si trova il rifugio in cui lavorano papà e mamma Sinner .  

Niente a che vedere con i nuovi emergenti americani alla Frances Tiafoe, originario della Sierra Leone. O con la nazionale di Coppa Davis canadese formata da Denis Shapovalov, “nato a Tel Aviv da madre ebrea russa e da un uomo d’affari israeliano”, e Felix Auger Aliassime “nato a Monteral e cresciuto a Quebec City dal padre Sam, originario del Togo”. Con il più esperto Milos Raonic “figlio di due ingegneri immigrati da Podgorica, Montenegro” a fare da riferimento.

“Oppure ci sono i fratelli Ymer, Elias e Mikael (nella foto), 26 e 22 anni, figli di un immigrato etiope in Svezia, la nazione di Edberg, Borg e Wilander che non vince un torneo dello Slam dal 2002 (Thomas Johansson, Melbourne) e che solo tre anni fa non aveva neppure un partecipante agli US Open, neppure un giocatore fra i primi 100. Come Ibrahimovic nel calcio, venuti da lontano, ci hanno pensato loro a riportare la bandierina della Svezia nei tornei importanti, aspettando di poter tornare un giorno a conquistarli”.

Questo fenomeno, che si è visto in passato anche in Francia dove “Yannick Noah, figlio di un calciatore del Camerun, ha sperato a lungo di trovare il suo erede in Gaël Monfils, madre della Martinica, padre della Guadalupa, oppure in Jo-Wilfried Tsonga, figlio di un ex giocatore di pallamano originario del Congo, professore di fisica e di chimica” o negli stessi Usa negli Anni Novanta dominati da un ragazzo di origini greche (Pete Sampras) e il figlio di un pugile iraniano (Andre Agassi), in Italia non si vede ancora.

Si domanda Carotenuto: “Cos'è che allora impedisce al tennis italiano di intercettare una nuova generazione di nuovi ragazzi italiani?”

E risponde: “Primo: i luoghi di reclutamento. Secondo: la concorrenza di sport più accessibili.Terzo: c'è bisogno di tempo”.

Ciononostante l’Italia del tennis è in pieno boom e grazie ai nuovi talenti prepara anni di grandi soddisfazioni. Il segreto, Carotenuto, lo fa raccontare a Michelangelo Dell'Edera, il direttore dell'Istituto Superiore di Formazione "Roberto Lombardi", la stanza della regia nella quale è stata pensata la trasformazione dei metodi di sviluppo del tennis italiano all'origine del rinascimento: «Ci siamo posti un paio di obiettivi. Che ragazzi di talento fossero affiancati da insegnanti di talento e che il processo di formazione fosse continuo».

Un bel primo piano di Lorenzo Musetti (foto @lapresse)

Negli ultimi 10 anni la Federazione ha smesso di portar via i ragazzi dai loro circoli e ai loro maestri. Ha decentrato le attività rafforzando con la propria consulenza chi mostrava potenzialità, portando nuove conoscenze ai tecnici privati: alimentazione, match analyst, tecnica, preparazione atletica. «Abbiamo coinvolto nella formazione» spiega Dell'Edera «anche i genitori. Non esistono padri e madri che vogliono il male dei loro figli, ma bisognava far intendere loro che i risultati vanno posticipati, che le vittorie precoci portano a una specializzazione”. Dell'Edera spiega tutto questo per sottolineare che il tennis italiano ha dovuto ricominciare da zero o quasi, adottando un modello simile a quello che ha fatto la fortuna di Spagna e Francia. Ora aspetta di raccogliere i frutti di una seconda fase, partita cinque anni fa con il progetto chiamato Racchette in Classe e pensato per le scuole. È quello il luogo nel quale si può cambiare verso al reclutamento. E lì che hanno trovato un nuovo tessuto sociale e tecnico la pallavolo — soprattutto femminile — e l'atletica leggera. Con Paola Egonu e Miriam Sylla come modelli, le selezioni Under femminili hanno via via scoperto e lanciato Sarah Fahr, Oghosasere Omoruyi, Terry Enweonwu, Sylvia Nwakalor”.

Per allargare la propria platea, il progetto scolastico non prevede barriere economiche all'ingresso. Un corso di mini-tennis costa intorno ai 400 euro ma è coperto dalla borsa di studio, il materiale è incluso perché viene sconsigliato l'acquisto precoce di una racchetta per un bambino. Meglio che l'attrezzatura segua l'evoluzione fisica. Sarà fornita dalla scuola tennis. Il processo di nuova inclusione passa anche per un progetto dedicato al settore wheelchair, già per gli Under e per i bambini.

“Il tennis italiano prepara lo sbarco oltre i gesti bianchi”, conclude Carotenuto nel suo “Il colore del tennis”. Sull’onda dei successi attuali, il processo suona piacevolmente inarrestabile.

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