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Dopo Hugo Gaston al Roland Garros, il tennis francese abbraccia un altro Ugo (stavolta senz'acca) che brilla ad Anversa dopo aver lavorato tanto su fisico e testa
di Vincenzo Martucci | 25 ottobre 2020
Ridateci le Next Gen Finals di Milano coi suoi frutti acerbi, le visioni anche fugaci di giocatori che saranno o potrebbero diventare, gli erroracci e le fiammate, le sfuriate e le follie degli under 21 più promettenti del tennis che si affacciano sulla ribalta dei professionisti.
Ridateci la gara che ha sostituito le vetrine delle speranze alla Scala del tennis di Milano, il trofeo Bonfiglio e l’Avvenire, al TC Bonacossa e all’Ambrosiano, quando la passerella degli juniores aveva una importanza diversa nella formazione della meglio gioventù.
Ridateci l’anteprima, quello che poi rivediamo ampliato e corretto sull’ATP Tour come ci succedeva un tempo in un’altra tv, nell’anteprima al cinema a cura dell’Anicagis (per chi può ricordare quella tv dei sogni).
Grazie a quelle primizie, oggi, per noi spettatori italiani privilegiati le imprese dell’ultimo artista, Ugo Humbert, non sono poi così tanto una novità. Come i quatto conigli che tira fuori dal cilindro da prestigiatore per salvare altrettanti match point contro Dan Evans, l’ultimo tennista di Sua Maestà, resuscitato dal crollo degli altri brit.
In Francia, ci dev’essere una connessione decisiva fra nome e cognome Hugo, o anche Ugo, e il talento. Dal padre del Romanticismo, Victor Hugo al geniale film, Hugo Cabret, al tennista più creativo del momento, il 22enne Humbert, che va brillantemente in finale ad Anversa.
Accendendosi, ma guarda un po’, appena dopo un altro Hugo, il 20enne Gaston, che ha infiammato il Roland Garros. Anche lui mancino, anche se col rovescio a due mani, anche lui con un timbro di qualità e di inventiva che è una folata di aria fresca rigenerante per tutto lo sport. Non solo per il tennis. Fra tanto sferragliare e cigolare di muscoli e di armature, e tanta fisicità monocorde e prevedibile da fondocampo.
Humbert è bello, è elegante, è altero, è un cavaliere d’altri tempi che illumina la strada con la sua spada sguainata. Così, fra servizi vincenti, dritti longilinea al laser e discese a rete, tona ad esaltare quella visione del tennis che non risponde ai numeri e alle vittorie, ma vale da sola il prezzo del biglietto.
Che, oggi, al tempo del coronavirus, si può tradurre nel tempo che ci trattiene, volentieri, senza mai strapparci uno sbadiglio, davanti alla tv per assistere, sempre incuriositi, come e se Ugo verrà fuori dalla morsa di ferro imposta da superfici, racchette, palle, solidità fisica, continuità degli avversari. Potere del genio anche mancino che ricorda quei guizzi del pioniere del genere, John McEnroe, che a volte rivediamo nella riedizione moderna troppo “heavy metal” di Denis Shapovalov.
Tutta questa premessa è eccessiva per il numero 38 del mondo che quest’anno ad Auckland ha vinto il primo torneo e gioca adesso la seconda finale sul Tour ad Anversa? In lui c’è molto di più della rimonta contro Evans, per 4-6 7-6 6-4, salvando 4 match point e 11 palle-break su 14. Gioco, creatività e crescita promettono moltissimo per la sua Francia, che manda preoccupata in pensione una generazione di Moschettieri (Monfils, Gasquet, Tsonga e Simon), e il tennis tutto.
La scalata di Humbert negli ultimi due anni è stata perentori e continua, seguendo una crescita umana, atletica e tennistica davvero significativa. Nel 2018, il talento di Metz nemmeno giocava gli Australian Open, ma poi è diventato un protagonista a livello di tornei Satellite e Challenger e, dal numero 381, è volato all’84 della classifica ATP, qualificandosi alle famose Next Gen Finals di Milano 2019.
Dove ha perso con Ymer e Tiafoe, ma è stato l’unico a ubriacare Sinner, un po’ col gioco di varietà, come uno yo-yo dai micidiali risultati, un po’ con quella presa del terreno che gli viene dalla preparazione sciistica comune proprio al Messia del tennis italiano. Con la differenza che Jannik era slalomista, col baricentro basso, l’equilibrio sempre stabile e la capacità di snodarsi fra i paletti, mentre Ugo è stato temprato allo sci di fondo, con le racchette ai piedi, lunghe scarpinate, ad educare la fatica, la capacità di restare sempre in piedi sui percorsi più scoscesi, la resilienza.
Gli è stata imposta da coach Cédric Raynaud e dal preparatore atletico, Cyril Brechbuhl, insieme a una dieta specifica per quel fisico longilineo, carico di forza veloce, di chi è alto 1.88 e pesa 73 chili scarsi, e una preparazione mentale delicatissima. Per accompagnare la dura stagione pro e i normali sbalzi di un puledro di qualità. Cui papà Eric ha messo in mano la prima racchetta a 5 anni, e la Federtennis francese ha accompagnato già dai 12 nella struttura tecnica di Poitiers, e quindi al Centre National d'Entrainement (CNE) di Parigi dov’ha insistito subito sula resistenza, fisica e mentale, i pilastri indispensabili per esaltare le doti tecniche innate.
La superficie più l’esalta è l’erba, il suo sogno è Wimbledon: “Arrivo bene sulla palla, gioco facile in lungolinea, il rovescio piatto funziona al meglio e, si sa, mi piace chiudere i punti a rete". Il suo credo è l’umiltà: da ragazzo passava in fretta dall’A alla Zeta, si accendeva ma si spegneva pure sempre in modo eclatante, e perdeva sempre al terzo set, travolto dalle sue stesse emozioni, frenato dal gioco troppo a una dimensione, alla ricerca della rete, in attesa di crearsene uno solido, da fondo.
Morale: al primo impatto con la fatica, al centro di Poiteirs, si è infortunato, non ha toccato la racchetta per un anno e mezzo e si è distratto con la prima passione, il pianoforte, che lo accompagna anche sul Tour. Visto che viaggia sempre con una piccola tastiera.
Legatissimo alla famiglia, mamma Anne, la prima tifosa che lo segue con affetto ed applaude enfatica ad ogni punto, papà che gestisce la salumeria-rosticceria di famiglia, custode della preziosa ricetta del famoso “maialino da latte in gelatina” e anche del culto del lavoro: “Si sveglia tutte le mattine alle 5 e torna a casa alle 20. I genitori mi hanno insegnato che per ottenere risultati ti devi impegnare”. Già, è il talento che tutti inseguono e troppi capiscono prima o poi di non possedere? Che cos’è il talento per chi ce l’ha di natura? “Per me è il lavoro”. Capito?
Nel segno di Ugo o Hugo.