Flessibilità articolare, varietà nei colpi e superfici, lavoro, tie-break e umiltà. Che scalata, Thiem!
di Vincenzo Martucci | 18 novembre 2020
Messaggio ai tifosi di Rafa: perdere con due tie-break non è una vergogna e con è una condanna, ma è comunque la conferma di una leggera debolezza sulle superfici indoor, soprattutto nel torneo-tabù del Masters, ufficialmente ATP Finals, coi migliori 8 del mondo, che vanno in passerella per l’ultima edizione alla O2 Arena di Londra prima di trasferirsi nel 2021 al PalaAlpitour di Torino.
Ancor meno deludente è perdere contro Dominic Thiem, il primo allievo della scuola del lavoro, la Rafa Nadal Academy con sede ufficiale a Maiorca ma che il miglior agonista del tennis porta in tournée tutto l’anno sull’ATP Tour. Infatti il primo a fargli apertamente, sentitamente i complimenti è proprio il più famoso campione di Spagna nel post-gara. Perché Dominic è cresciuto enormemente, da sei anni in qua, non s’è eclissato come i talenti Tomas Berdych e Grigor Dimitrov, ha guardato, ha studiato, ha lavorato.
E così, cammin facendo, ingoiando bocconi amari in due finali consecutive del Roland Garros, è passato dagli appena sette games che ha racimolato nel primo confronto col suo idolo, nel secondo turno 2014, sulla terra di Parigi, a batterlo quattro volte sulla superficie preferita da entrambe, e poi una quinta volta a gennaio sul cemento degli Australian Open e una sesta adesso, al Masters, riscattando il bruciate ko di due anni fa al quinto set agli Us Open.
Dai punteggi, come dai turni della storia della loro sfida si nota la crescita costante dell’erede di Thomas Muster. Certo, ha pagato dazio 9 volte contro il grandissimo mancino che non sbaglia mai scelta ma che, soprattutto indoor, sconta qualche limite sul rovescio, sulle palle particolarmente alte e su quelle troppo tese e basse. Perché, fondamentalmente, non riesce d imporre il proprio ritmo e le proprie scelte e, spesso, deve subire, le saette che gli impone l’avversario. Portandolo fuori ritmo, in una situazione di disagio. Che è tecnica e mentale, e quindi tattica e di fiducia.
Non è una distanza incolmabile, come ha tenuto a specificare Rafa, anche per non buttarsi troppo giù in vista dell’ultimo, decisivo match contro Tsitsipas per qualificarsi alle semifinali, ma che tutti gli avversari captano.
Mentre altri apprendisti stregoni non sono riusciti a farsi davvero accettare dai magnifici quattro, Federer, Nadal, Djokovic e Murray, il giovane austriaco, è stato accolto dal super clan con simpatia, a cominciare da Federer che ha scherzato sul suo Schwarzenegger-esque accento (un po’ tedesco e un po’ inglese), per poi raggiungere, agli ultimi Us Open, Del Potro, Wawrinka e Cilic, nel ristrettissimo gruppetto di guastafeste dei soliti noti negli Slam. Soprattutto Rafa ha da subito riconosciuto le qualità giuste a Thiem, spingendolo a insistere, anche se lui stesso si occupava di rimetterlo sistematicamente dietro la lavagna: “Dominic arriverà in poco tempo e avrà le sue chance di diventare una star al vertice”.
I media storcevano il naso e ironizzavano, ma Rafa sapeva che quello che raccontava il ragazzo era vero: si allenava con tre tronchi d’albero sulla schiena, faceva lunghe sedute di jogging notturne nei boschi e nuotava nei gelidi fiumi freddi. “Si allena e gioca troppo”, si diceva, contestando anche una programmazione da stakanovista che gli impediva di avere benzina in serbatoio nei grandi tornei. Mastro-Bresnik voleva che si facesse le ossa nei tornei più piccoli, che imparasse risolvere i problemi più facili e che prendesse l’abitudine con le vittorie, senza strappi ai livelli alti. Anche se lui ci sperava eccome. E l’anno scorso si è sentito finalmente pronto per dirlo pure: “Penso che nel 2020 vedremo un nuovo campione Slam, spero di essere io, ma ci sono tanti altri ragazzi forti, giovani, che possono farcela. A cominciare da Tsitsipas a Zverev. La nostra sfida alle leggende è partita ufficialmente”.
Così, il trionfo a New York non ha sorpreso, è apparso anzi ineluttabile. “E’ un gran lavoratore, e un bravo ragazzo, sono stra-felice di vederlo vincere il suo primo torneo dello Slam, se lo merita. E’ uno dei giovani che si merita di più i suoi successi perché lavora duro, e migliora di anno in anno”, l’ha battezzato proprio Rafa a New York.
Che ha saggiato sulla propria pelle anche la capacita di Thiem di vincere i tie-break, tre agli Australia Open, due al Masters di Londra: “In quei momenti gioca meglio di me, non c’è una spiegazione più chiara di questa”. Mentre Thiem ha puntualizzato: “Leggendo il libro di Djokovic, quando gioco un tie-break, cerco di andare sul semplice. E funziona”.
Arrivando a Londra, Domi aveva più successi di tutti negli Slam stagionali (17), ma ha continuato a dimostrare quel rispetto che i big apprezzano tanto: “Il livello è molto alto, ma Rafa e Nole sono su un gradino superiore rispetto a noi altri sei”.
Arrivando a Londra, finalmente col serbatoio carico, dopo aver rinunciato a Parigi-Bercy, Domi sapeva di essere un valido candidato alle semifinali e quindi alla seconda finale consecutiva al Masters e magari al riscatto della sconfitta sotto il traguardo di dodici mesi fa contro Tsitsipas.
Sempre seguendo la politica dei piccoli passi che gli è stata imposta anche dal nuovo coach, Nicolas Massu, l’ex pro cileno col record del doppio oro olimpico di singolare e doppio, e la capacità di trovare le soluzioni a dispetto di un potenziale non eccelso.
Variare il gioco e le superfici, spingendosi sempre di più sul cemento e i campi indoor, senza di certo abbandonare il, feudo terra rossa, migliorare tutti i colpi, ma soprattutto il servizio costituiscono il mantra del tecnico. Che, a marzo, sulla scia della terza finale Slam persa (dopo Roland Garros 2018 e 19 e Australian Open 2020), ha accompagnato Thiem nella scalata al numero 3 del mondo. Aggiungendo al suo reopertorio uno slice molto profondo, che gli permette di rifiatare e insieme di variare e di cercare nuove soluzioni. Liberandogli un po’ di tensione sul rovescio a una mano, bellissimo ed efficacissimo, ma anche vulnerabile.
Al di là della tecnica, Thiem ha lavorato sempre tantissimo con l’ex fisioterapista ATP, lo straordinario e fedelissimo, Alex Stoberg: “Sono sempre più flessibile e reattivo, in generale mi muovo sempre meglio, e sopporto di più la fatica, trovo brillantezza anche dopo ore di gioco e sotto pressione. Vivo meglio col mio corpo”.
Al resto, anche mentalmente, ci ha pensato “El Vampiro”, coi suoi occhi spiritati e il suo credo. “Io sono un vincente, Domi è un vincente, le nostre famiglie sono famiglie vincenti”.
Basta?