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Campioni internazionali

Piccolo chi? Quante rivincite per Pollicino-Shwartzman… - Video

Malgrado sia alto appena 1.70, l’argentino sale fino al numero 8 (oggi 9) del mondo dopo una corsa durissima, da simbolo del lavoro e della volontà. Il tennista argentino protagonista anche dell'appuntamento con “2020 Reloaded” su SuperTennis

di | 14 dicembre 2020

La grinta di Diego Schwartzman (foto Getty Images)

La grinta di Diego Schwartzman (foto Getty Images)

“Quello che hai fatto quest’anno è pazzesco: quattro mesi in viaggio senza tornare a casa, passare da una 'bolla' all’altra, fare un test ogni quattro giorni e ti sei qualificato al miglior torneo dell’anno, sei entrato nella top ten, hai realizzato mille sogni”. Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. O almeno, la dedica di Eugenia De Martino, la fidanzata bionda che conturba qualsiasi sguardo maschile dai 5 ai 90 anni, aumenta ancor di più l’ego del piccolo-grande Diego Schwartzman, la rivelazione del 2020.

Che, per arrivare in alto, a una compagna così, parte dalle sedute yoga e dalla abilità come cuoco (dicono), e per assurgere al vertice del tennis, parte da molto in basso, da un metro e 70 scarsi d’altezza, costruendosi pezzo a pezzo, seminando sulla madre terra (rossa) dedizione e umiltà, per crescere, pian pianino, più servizio, più continuità, più spinta, più soluzioni, più fiducia dentro di sé, più considerazione fuori. Sempre a piccoli passi da Pollicino, Schwartzman ha scalato la classifica, dai top 100 del 2014 al record di numero 8 del 12 ottobre (oggi 9), è stato l’unico a battere quest’anno Rafa Nadal sulla terra battuta, ha raggiunto la prima finale “1000” e la prima semifinale Slam, s’è strappato di dosso l’etichetta di terraiolo dimostrandosi giocatore ogni superficie, è diventato il primo tennista d’Argentina, complici i soliti guai fisici di Juan Martin del Potro (del grande 2020 di Schwartzman si è parlato anche nella 15esima puntata di “2020 Reloaded” su SuperTennis).

Addio nomignolo dispregiativo - El Peque, Il Piccolo - che sminuisce e distoglie, che degrada al ruolo di nano nel tennis dei giganti, che sa di bocciatura come gli disse serissimo quel medico a 13 anni diagnosticandogli: "Non crescerai oltre il metro e 70, come farai a giocare a tennis ad alto livello?”.

Dopo il 2020 da favola, con tre finali perse su tre, compensate da orgoglio, forza di volontà, cuore, coraggio e selvaggio istinto di volersi migliorare costantemente per essere la miglior versione di se stessi, Diego che porta quel nome “al 99% per Maradona”,  ha zittito finalmente tutti i suoi denigratori. 

Un selfie Diego con la fidanzata Eugenia De Martino

Chi ha il sangue da sopravvissuto del bisnonno materno, ebreo polacco che sfuggì al campo di concentramento scappando dal treno che deragliò, strada facendo. Chi è nato a Villa Crespo, uno dei più grandi e popolosi quartieri di Buenos Aires (dove tuttora risiede). Chi ha saputo rialzarsi dopo la crisi e la svalutazione del “peso” che ha messo in ginocchio la sua famiglia benestante nel 2001. Chi ha dato ragione ai sacrifici di mamma Silvana che l’ha scorrazzato in auto per tutti i tornei del paese per aiutarlo a realizzare i suoi sogni auto-finanziandos realizzando braccialetti di gomma e vendendoli alle sue partite. Chi ha saputo vincere i demoni che aveva dentro, non conosce limiti, non ha limiti. Diego lo grida subito al mondo, dalle gare juniores a quelle di primo livello ATP: gli altri sono sempre più alti e potenti, il mondo lo irride per le sue misure, e lui fa leva su umiltà e sacrifici. Ti guarda sfrontato e ti dice: “Ho anch’io le mie armi”. Ieri, come oggi. 

Così, l’1 maggio 2016 firma il primo torneo il “250” sulla terra di Istanbul contro Grigor Dimitrov, rimontando un set e un break di svantaggio e schiantando il bulgaro per 6-0 al terzo, anche se tutti parlano piuttosto di “Baby Fed” e dei gesti di rabbia del piccolo argentino.

“Una volta lanciò le forbici verso la faccia del fratello”, ricorda la madre. “Verso i compagni lanciava di tutto, dalle bottiglie alle racchette alle sedie”, raccontano al Nautico Hacoaj. Rabbia pura da frustrazione, vulcano in ebollizione. Diego si carica, si auto-determina.

Potrebbe accontentarsi del numero 60-70 del mondo, ma vuole di più, molto di più: assolda come coach l’ex pro Juan Ignatio Chela e come preparatore atletico Martiniano Orazi (ex di Del Potro). Deve migliorare dove può: resistenza e reattività, concentrazione e intensità, strategia e percezione. Prende un po’ coraggio coi successi Challenger a Barranquilla e Montevideo, e lo scalpo di Goffin sulla strada della finale “250” di Anversa.

Nel 2017, gioca molto di più, ma vince pochissimo, fino alle semifinali degli Us Open dove infila Cilic e Pouille fermandosi contro Carreno Busta; poi tocca le semifinali a Tokyo e la finale ad Anversa battendo il vecchio Ferrer e il giovane Tsitsipas.

Nel 2018, cresce ancora un po’: vince il “500” di Rio e al Roland Garros si ferma ai quarti contro l’idolo Rafa Nadal, ma poi non brilla sul veloce. Nel 2019, batte Thiem nella sua Baires ma cede in finale a Matteo Berrettini, che però regola a Roma, arrivando alle semifinali contro Djokovic, mettendo un sigillo importante col titolo sul cemento di Los Cabos e i quarti agli US Open dove castiga Zverev e viene stoppato dal solito Rafa, per poi esaltarsi ancora con la finale sul veloce indoor di Vienna. Che perde solo al terzo set contro il beniamino di casa Thiem, 5 del mondo. 

Diego Schwartzman con il trofeo di Los Cabos 2019

Diego Schwartzman in relax con i suoi cani

Il potente austriaco è il nuovo Nadal, un esempio di abnegazione come lui, un amico: Diego ci perde tanto e ci vince poco, ma ci si allena più che può. Per imparare a uscire dai pesanti scambi da fondocampo, soprattutto sulla delicata diagonale di rovescio, per alzare il livello della risposta, per inventare qualche fuga a rete.

Gli serve, eccome se gli serve: quest’anno, a Brisbane lo batte prima di cedere  nei quarti a Medvedev, quindi, agli Australian Open, s’arrende solo a Djokovic. A Cordoba, cede in finale al potente Garin, e a Baires, paga a caro prezzo la maratona di quattro ore e quattro match point salvati contro Cuevas: si strappa un adduttore e rinuncia alle semifinali.

E’ il suo primo grave infortunio, che gli fa saltare gli altri tornei sudamericani e la Davis. E, al rientro dopo il lockdown, sul cemento di New York, va in crisi: perde al secondo turno al torneo mascherato da Cincinnati e poi all’esordio agli Us Open contro Norrie, facendosi rimontare da due set a zero.

La tv americana lo riprende in tribuna, con aria sconsolata, mentre osserva, assente, un match. “Mi sono seduto con Juan (coach Chela) e Marti (Orazi), e abbiamo corretto tutto ciò che doveva essere corretto, dove non mi sentivo a mio agio. Io sono migliorato molto anno dopo anno, a poco a poco, in gran parte grazie al mio team di lavoro, che trova sempre un modo per motivarmi e incorporare cose nuove”. 

Così, a Roma sorprende nei quarti Rafa, indietro di preparazione, sfruttando i campi umidi e lenti del Foro Italico, boccia Shapovalov e poi cede in finale al “Cannibale" Djokovic e, al Roland Garros vince il braccio di ferro contro Thiem, di forza, di nervi, di cuore, con un 6-2 al quinto set dopo cinque ore epiche. Anche se poi nella semifinale contro Rafa non trova scampo.

E, coi punti ATP guadagnati con la finale sul veloce indoor di Colonia, battendo i ben più quotati Fokina ed Aliassime, e i quarti a Parigi-Bercy, superando Gasquet e ancora Fokina, si auto-promuove alle ATP Finals. Dove non vince una partita nel girone di ferro contro Djokovic, Zverev e Medvedev ma sfodera un sorriso aperto da un orecchio all’altro di chi ha comunque già vinto molto, molto di più della vil pecunia, che pure ammonta a un milione e mezzo di dollari in un anno solo. 

Diego Schwartzman alle Nitto ATP FInals 2020

"Schwartzy" entra nella storia della sua Argentina come simbolo positivo del grande lavoratore che realizza i sogni senza il talento fisico o tecnico dei famosi predecessori, come rivalsa di un’intera nazione che, con tanti problemi economici, non può aiutare i suoi amatissimi figli, li abbandona ognuno al suo destino, alla loro forza di volontà, a rimanere a lungo lontano nel mondo a trovare le soluzioni, a essere più forti.

Come il polso e il cuore del piccolo-grande Diego. Che quando il suo Maradona ha ornai le ore contate gli manda struggenti messaggi di coraggio, in nome della squadra del cuore, il Boca Juniors, e del calcio. Che adora.

2020 RELOADED - GUARDA LA QUINDICESIMA PUNTATA: Schwartzman, El Peque diventa grande

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IL TEMA DEL GIORNO

"2020 Reloaded" vi consentirà di ripercorrere con cadenza quotidiana i momenti chiave della stagione appena conclusa: dalle imprese azzurre ai record di Djokovic e Nadal, dal ritorno di Azarenka alle sfide di Osaka, dall’assenza di Federer alla crescita di Sinner.

Trentadue racconti testuali al mattino sul nostro sito, trentadue appuntamenti televisivi, ogni sera alle 21 a partire da lunedì 30 novembre per approfondire, riflettere, rivivere con SuperTennis le grandi emozioni di questo anno unico e, a suo modo, indimenticabile.

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