
Chiudi
Felix è stato il protagonista assoluto del primo trionfo dei nordamericani a Malaga. Da papà del Togo e mamma francese del Quebec, al “gemello” Shapovalov, la sua storia può ricolleggarsi l’anno prossimo con gli amici italiani…
di Vincenzo Martucci | 29 novembre 2022
AAA Cercasi disperatamente Nina Ghaibi. Forse solo la fidanzata dell’eroe del giorno, la bella e intelligente amazzone croata, o magari papà Sam del Togo, o mamma Marie, francese del Quebec, possono svelare la formula segreta del cocktail Felix Auger-Aliassime: targato Canada, figlio a tal punto della multietnicità da aggiungere un pizzico di pepe, con un super-tecnico di Maiorca dal passato Doc come Toni Nadal, più una data di nascita - 8 agosto - che coincide con quella del mitico Roger Federer e un finale di stagione da raccontare ai nipotini, con tre finali ATP Tour vinte di fila e la prima, storica, coppa Davis per il suo paese.
CUORE MATTO
La gente non immagina neppure che storia ci possa essere dietro il ragazzo compassato ed educato che, domenica a Malaga, dopo l’ultimo e decisivo uno-due, servizio-dritto, del suo gioco schematico ed essenziale ma estremamente produttivo, si accascia in terra e viene sommerso dall’abbraccio dei compagni mentre l’Australia piange a capo chino. La gente non può capire quanti sacrifici facciano i genitori in uno sport comunque troppo caro come il tennis per portare avanti il sogno dei figli, e quanta fatica facciano poi per lasciarlo libero di percorrere da solo la sua strada del successo.
Papà Aliassime, cresciuto a Lomé ed emigrato nell’Eldorado del Quebec, da calciatore/tennista, a 4 anni ha messo la racchetta in mano al suo ragazzo. Ma ha temuto più volte che la storia si troncasse bruscamente. Ricordiamo che dopo l’esplosione da junior, col titolo di doppio agli US Open 2015 insieme al “gemello” Shapovalov - 16 mesi più “vecchio” - , e quindi il successo agli US Open e la finale al Roland Garros 2016, di lui si parlava solo per i problemi.
Ricordiamo bene, infatti, Denis Shapovalov che sorregge il compagno di sogni tennistici, colpito in campo dall’ennesimo blocco cardiaco agli US Open 2018, tanto da essere costretto al ritiro nel primo testa a testa sull’ATP Tour con l’amico e, quindi, subito dopo, all’intervento chirurgico per spostare il nervo che gli ostruiva il flusso del sangue.
A 18 anni, da più giovane “top 25” da Lleyton Hewitt nel 1999, da finalista più giovane negli ATP 500, a Rio de Janeiro (dal 2009) e da semifinalista più giovane di sempre a Miami (dal 1985) non poteva fermarsi lì. Eppure ricordiamo ancora le 8 finali ATP consecutive perse dal talento della grande potenza e dal notevole bagaglio tecnico che non sbocciava mai.
Ha dovuto aspettare con chissà quante ansie e frustrazioni fino a febbraio di quest’anno a Rotterdam, quand’ha superato Tsitsipas, ha sfatato il tabù e s’è liberato: “Non è stata la strada più liscia possibile, dalla prima finale di tre anni. Ma è un giorno fantastico per prendermi il primo titolo, il più felice della mia carriera, spero di averne tanti altri così”.
In realtà poi ci ha messo ancora un altro po’, finché a ottobre ha azzeccato il filotto Firenze-Anversa-Basilea che gli ha dato fiducia, continuità, stabilità e credibilità. Facendogli fare il salto di qualità che tutti gli pronosticavano ma che tardava e rischiava di non arrivare più.
BABY DAVIS
Quanti pensieri hanno affollato la testa del 22enne mentre il match point contro il guerriero Alex De Minaur fluttuava nell’aria e lui stava per entrare nella storia dello sport canadese col sottotitolo Canada-Australia 2-0?
“Ho visto che c’era spazio per spingere e ho tirato a tutta e quando ho visto la palla che stava uscendo e galleggiava in aria sono stati momenti incredibili, vedevo che stava uscendo e aspettavo il momento che cadesse: è stato un momento speciale. Uno gioca parecchi match ma questo me lo ricorderò senz’altro. Rispetto alla Baby Davis del 2015 questa è certamente un’altra cosa, ma per noi che avevamo 15-16 anni all’epoca è stata speciale anche quella. Ed è stato il momento in cui abbiamo cominciato a mirare al bersaglio della Coppa vera”.
E quand’è stato sommerso dai compagni? “Le gambe mi hanno abbandonato, mi sono caduti tutti addosso, dal capitano agli altri, è stato fantastico, sono momenti davvero speciali, negli anni giochi tanti match ma giorni così te li ricordi per sempre”.
La promessa è una minaccia: “E’ figo essere i campioni, ed è come se si fosse chiuso un circolo. Vasek (Pospisil) ha fatto parte della nazionale per tanti anni, me lo ricordo da bambino quando lo vedevo giocare, ha vinto tanti match importanti. E ora ci sono i giovani che vengono su e giocano bene, siamo amici, siamo cresciuti assieme, siamo abituati a convivere e questa è un’arma in più molto importante, che va oltre il tennis. La nostra è una squadra davvero speciale, speriamo di portare avanti ili progetto molto lontano con questa generazione. Anche se ci sono tante squadre forti”.
PSICOLOGIA
Come ha fatto Felix a trasformarsi fino a salire al numero 6 del mondo diventando l’uomo affidabile, il leader, di questo Canada? Sicuramente zio Toni Nadal (alla cui porta ha bussato l’anno scorso) e Rafa stesso hanno avuto un’importanza fondamentale.
“Ho una immensa stima per la famiglia Nadal”, precisa il canadese. “Qualche volta i nervi prendono comunque il sopravvento, succede, ma miglioro sempre più e con la squadra al fianco tutto diventa più facile perché mi toglie la pressione: mi sembra quasi che sul campo non sono proprio solo ma siamo tutti assieme. E così, nello sforzo di restare positivo e di dare il meglio di me, riesco ad evitare che i nervi trovino troppo spazio nel mio corpo”.
I Fab Four fanno scuola, così come ci sono gli emuli di Djokovic, da Sinner a Rune, così ci sono quelli di Rafa, come Ruud ed Alcaraz. Mentre Auger-Aliassime è una via di mezzo, il suo idolo resta Federer, come gioco s’avvicina di più al campione di gomma, come attitudine s’ispira di certo all’Extraterrestre del tennis: “E’ stato un lungo inseguimento… Con Rafa ci ho perso netto la prima volta, a Madrid 2019, ci ho lottato tanto all’ultimo Roland Garros - battuto solo al quinto set e dopo oltre 4 ore di battaglia - e l’ho finalmente superato alle Nitto ATP Finals di Torino”.
Chissà se poi, come spesso gli accade, s’è chiuso in camera a suonare il pianoforte per volare chissà dove con la mente. Bisognerebbe chiederlo alla famosa Nina Ghaibi, la cugina dell’australiana, naturalizzata, Ajla Tomljanovic, l’ex fidanzata di Matteo Berrettini. Di cui Felix è grande amico. Ma lega anche tanto con Sinner e Musetti. Magari li ritroverà di fronte come avversari il prossimo anno nei match decisivi della Davis. Tutt’e due a caccia di un secondo trionfo della Coppa che all’Italia manca dal 1976 e il Canada ha appena conquistato con un pizzico di fortuna, da ripescata come wild card dopo l’espulsione a tavolino della Russia. Aveva perso 4-0 contro l’Olanda, anche se era il Canada B, una specie di formazione Primavera di calcio, senza i gioielli Auger-Aliassime e Shapovalov e senza il veterano Pospisil.