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Campioni internazionali

All’inferno e ritorno: nell’Happy Slam la favola di Vika avrà un happy end?

A 33 anni Azarenka torna in semifinale nel Major che ha vinto due volte oramai 10 anni fa. La bielorussa gioca meglio di allora ma dopo esperienze di sport e di vita molto dure

di | 24 gennaio 2023

Il saluto a fine match tra Victoria Azarenka e Jessica Pegula (foto Getty Images)

Il saluto a fine match tra Victoria Azarenka e Jessica Pegula (foto Getty Images)

A volte ritornano. A volte, rivedi un vecchio nome di atleta e ti viene da dire come prima cosa: “Ma gioca ancora?”. Anche se poi, stupito e affascinato, applaudi: “Che brava!”. Vika Azarenka, sì, quella stessa Vika Azarenka che nel gennaio 2012 era salita al numero 1 del mondo, e ha vinto 21 titoli WTA, torna in una semifinale Slam: non a New York, dove perse la terza finale su tre nel 2020, ma nella sua Melbourne, dove ha alzato i due trofei dell’immortalità tennistica, nel 2012 e 2013. Dieci anni dopo, si ripresenta più libera, concreta e decisa che mai da più anziana (33 anni) fra le le ultime 4 in gara agli Australian Open, facendo valere l’enorme vantaggio d’esperienza negli Slam, 152 vittorie contro 155 sconfitte.

Victoria Azarenka saluta il pubblico (foto Getty Images)

PACE INTERIORE
Con l’età, Vika sembra essersi finalmente liberata dei suoi demoni. All’inizio, da ragazza prodigio transfuga dalla Bielorussia nell’Eldorado del tennis, in America, era il clone di Maria Sharapova, poi è rimasta nell’ombra di Serena Williams all’acme, quindi ha avuto enormi problemi fuori campo nella gestione del figlioletto, Leo, che il marito voleva strapparle, quindi si è trovata spiazzata, da atleta molto fisica contro le nuove virago, infine, come ha raccontato in tv: “Quando raggiungi il successo tendi a diventare conservativa, ti accontenti, cerchi di restare a galla e vai un po’ col pilota automatico seguendo vecchi schemi, vecchie abitudini. L’anno scorso sentivo che il mio gioco era tornato, ma non avevo la testa libera per rischiare, per prendere l’iniziativa, per decidere il mio destino sul campo. Invece adesso ho provato cose e strade nuove”.

Così dice fiera dopo aver piegato Jessica Pegula la monocorde che ha imparato a conoscere in ore e ore di allenamento in California, dove entrambe risiedono, e quindi a neutralizzare con le parole magiche: fantasia & varietà. Così, nettamente contro pronostico, nei quarti di Melbourne, le ha spezzato il ritmo dalla prima palla, dettando lo scambio con dritti mai uguali, alzando spesso la palla per poi giocare il più veloce possibile proprio per costringere la numero 1 americana a pensare e a uscire dagli schemi di regolarità da fondocampo e dal suo tempo di impatto.

Victoria Azarenka colpisce di rovescio (foto Getty Images)

DEMONI
All’inseguimento del perfezionismo, molti atleti tendono ad autodistruggersi in un’impossibile sfide. Vika l’ha fatto fin troppo e troppo a lungo: “Sono molto dura con me stessa, ultimamente ho imparato ad essere un po’ più gentile, cerco di guardare più obiettivamente al quadro più ampio piuttosto che concentrarmi solo su quello che è successo ora o allora, o altre questioni. Per non perdere di mira gli autentici obiettivi”.

Gli stimoli sono importantissimi sempre, ancor di più dopo tante battaglie, quelle che combatte Vika da professionista della racchetta dal 2003, con momenti di grande pressione come il quinquennio 2009-2013 da top 5: ”Prendo ispirazione da qualsiasi cosa. Rispetto davvero Andy Murray e la sua grinta: è impressionante vedere quanto lavori duro per quello che è. A volte mi chiedo anche perché lo faccia: 'Hai tutto. Hai figli a casa. Perché, come l’anno scorso, vai ancora ai Challenger?'”. 

Servono motivazioni, serve il lavoro, ma serve anche il relax, per raggiungere l’equilibrio che aiuta la prestazione. Melbourne sta aiutando tanto la Azarenka che si ritrova nei posti più felici della carriera e sorride ogni volta che incrocia il proprio nome nell’albo d’oro.

Figurarsi quando lo vede spiccare nel corridoio che porta i giocatori sulla Rod Laver Arena: “È qualcosa di cui posso essere orgogliosa di me stessa per il resto della mia vita. Il mio nome sarà radicato nella storia. Mi sembra che a volte, quando forse non ti senti sicuro di te stesso, e i risultati non arrivano, ti dimentichi di quello che hai fatto”.

TURBOLENTO STOP
Nel dicembre 2016, Vika è diventata madre di Leo, ma poco dopo si è allontanata dal fidanzato, Billy McKeague, e ha dovuto impegnarsi nella durissima battaglia legale per la custodia del bambino intentata dal compagno. Ha staccato la spina dal tennis, e l’ha avuta vinta solo due anni dopo. E solo nel 2019 si è davvero reinserita nel suo mondo, è tornata nelle top 50 e quindi pian pianino è tornata davvero lei, coi primi titolo WTA del 2020 (dal 2016) e il rientro anche fra le prime 15 della classifica.

Anche se poi l’anno scorso ha avuto nuovi problemi personali, con ritiri clamoroso, come quello di Miami contro Linda Fruhvirtova quando ha lasciato il campo mentre il giudice di sedia le diceva che il trainer stava arrivando in campo. “Troppo stress”, ha spiegato lei. “La cosa più irrispettosa per l’avversaria e per il pubblico è il modo in cui è uscita dal campo senza spiegazioni. Se continua così si ritroverà presto fuori”, l’ha bacchettata l’ex numero 5 del mondo, Daniela Hantuchova, ora talent tv. Sei mesi dopo, l’ex numero 2, Aga Radwanska, ha  contestato anche lei l’attitudine della collega: ”Fa più teatro di prima, ha finto infortuni... Io dico, 'Ragazza mia, hai 33 anni, hai vinto tutto sul campo sei madre e fai cose così'. Per me è totalmente incomprensibile”.

La grinta di Victoria Azarenka (foto Getty Images)

RINASCITA
Accettare se stessi è un passo decisivo verso la maturità. Vika ha accettato anche di poter perdere pur di continuare a recuperare le sue armi e, possibilmente, a migliorarle: “Guardo la nuova generazione e penso a che cosa devo fare per batterla. Cerco di ricordare com’ero quando avevo io 16, 17, 18 anni. Anch’io non avevo paura ed ero convinta che potevo battere tutte. E questo è un piccolo vantaggio mentre studio come adeguarmi e migliorarmi”. L’importante è non avere fretta: “Devo andare avanti passo dietro passo, devo accettare la paura e l’ansia, devo semplificare, non essere positiva a tutti i costi, ma essere neutrale, sicuramente mai negativa”. Il processo di crescita non finisce mai: “Ma oggi sono felice di dove sono: più aperta, più ben disposta, più compassionevole. Ecco, questa era una parola che un tempo mi veniva molto difficile”.

FANTASMI
Peccato che i media americani proprio non le perdonino la storiaccia della semifinale degli Australian Open 2013 contro Sloane Stephens. Quando la bielorussa/statunitense, mancò 5 match point sul 6-1 5-4 e al cambio campo chiese un medical time-out: attacco di panico. “Non riuscivo a respirare perché avevo una costola bloccata”. Il trainer la portò fuori dal campo per 10 minuti. Troppi per i nervi dell’inesperta Stephens che, alla ripresa, perse il game e il match per 6-4. “Avrei potuto chiamare il trainer prima, ma non sono stata scorretta”.

Tutto il tennis, da Hewitt alla solita Radwanska la criticò pesantemente, bollandola con la lettera scarlatta dell’imbrogliona. Vika ne ha molto sofferto e nel giorno del primo grande successo, contro un’altra statunitense, Pegula, si toglie il classico sassolino dalla scarpa: “E’ stata una delle cose peggiori che abbia mai passato nella carriera, il modo in cui sono stato trattato dopo quel momento, il modo in cui ho dovuto spiegarmi fino alle 10.30 di sera, perché la gente non voleva credermi….”.

Curiosamente, l’amico Djokovic le ha dato una mano nella sua difesa dei fattacci No Vax in Australia del 2022: “Come ha detto Novak, non siamo furfanti e non siamo eroi, siamo esseri umani. Io ho impiegato 10 anni per uscire da quella storia. Oggi sono più sicura e in pace con me stessa, e non mi interessano più certi commenti e di certi giudizi”. Oggi gioca meglio di ieri. E, nell’Happy Slam, la sua favola può avere un incredibile happy end.

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