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L'azzurro conquista il prestigioso titolo ATP 500 del Queen's Club con una prestazione solida ma non eccezionale, basata sui suoi colpi forti, servizio e diritto: è la qualità dei campioni
di Enzo Anderloni | 20 giugno 2021
Servizio forte, molto forte, e ben piazzato. Se l’altro risponde, vai col diritto: forte, molto forte, e ben piazzato. La gran parte dei “quindici” si risolvono così quando alla battuta c’è Matteo Berrettini.
Succede un po’ su tutti i tipi di campi del mondo, terra battuta compresa. Figuriamoci sull’erba.
Il successo sui verdi prati del Queen’s Club è di prestigio assoluto e colloca il n.1 d’Italia, a soli 25 anni, già nella bacheca nobile del tennis, insieme ai Doherty e ai Tilden, ai Rosewall e Laver, McEnroe e Sampras. E Murray.
L’aspetto però più interessante di questa sua quinta vittoria da professionista è la modalità, per così dire, facile con cui l’ha ottenuta. Così come ottiene praticamente tutte le sue vittorie.
La grande forza di Matteo, la prerogativa che ne fa uno dei grandi protagonisti del tennis odierno (e ragionevolmente dei prossimi 5/6 anni almeno) è che possiede soluzioni semplici ma di straordinaria efficacia; colpi che padroneggia con assoluta naturalezza, che gioca tutti i giorni con la sicurezza di un artigiano che ripete il suo gesto più tipico ma che per gli altri costituiscono problemi di complessità straordinaria, difficilissimi da risolvere.
Questa è la caratteristica di campioni. Non devono fare ogni giorno qualcosa di eccezionale (per loro) per vincere. La differenza con la gran massa degli avversari non si crea quando loro stanno sprintando: viaggiano a velocità di crociera.
Un po’ come quando Novak Djokovic inchioda il suo antagonista sulla diagonale del rovescio e spinge profondo. Come quando Nadal piazza nell’angolo il suo dirittone uncinato carico di top spin.
Per loro è un gesto normale, come schiacciare l’acceleratore per aumentare la velocità in automobile; per gli altri, l’inizio di un incubo.
Solo così però i campioni riescono ad arrivare lucidi, e al meglio delle loro possibilità, a giocarsi i grandi titoli: devono poter scavallare i primi turni senza dover combattere su ogni “quindici” sciorinando tutto il repertorio. Devono avere una “semplice” marcia in più che basta a fare la differenza fino a quando dall’altra parte della rete non si presenta un altro campione, un altro che, come loro, sa come vincere facile. Lì si vengono a creare le condizioni per partite e prestazioni davvero eccezionali.
Matteo Berrettini ha ancora tanti margini di miglioramento ma è in grado di arrivare a sollevare la grande coppa del Queen’s Club facendo semplicemente bene “il suo”, senza inutili stress, senza dover inventare nulla. Gli basta servire e tirare il diritto, con la lucidità che gli è consentita dal grande lavoro sul campo, in palestra e con il mental coach che c’è dietro al suo livello di top 10 e dalla chiarezza delle idee di persona intelligente e sensibile qual è.
“E’ incredibile – ha commentato a caldo - vedere il mio nome tra questi nomi sulla coppa è un sogno che diventa realtà”.
E a chi gli faceva rimarcare il suo rendimento alla battuta ha commentato sorridendo: “Non conosco ancora quali siano stati i miei numeri al servizio ma so che sono buoni. Per vincere una finale così bisognava avere un buon rendimento”.
Wimbledon si avvicina. La fiducia è tanta, l'atteggiamento sempre quello di chi ha la testa sul collo e i piedi ben pinattai per terra. Come festeggerai? gli chiedono.
"Di questi tempi, room service e acqua minerale frizzante, mi sa". Sorride ancora e fa bene. Tempo per le altre bollicine ce n'è quanto ne vorrà.