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Djokovic, la chiave per rimanere in vetta è nel servizio

Il servizio è sempre più un aspetto fondamentale del gioco di Novak Djokovic. C’è stato qualche anni di crisi, poi il serbo ha migliorato il movimento, riuscendo a ricostruire un colpo robusto e che gli permette di prendere subito l’iniziativa. All’alba dei 33 anni può essere un fattore fondamentale per restare al top.

di | 23 marzo 2020

Novak Djokovic

Nel 2019 Djokovic è stato il quinto giocatore al mondo per game vinti al servizio. L’efficacia del suo colpo sembra ulteriormente migliorata grazie alla collaborazione con Ivanisevic.

Prima dello stop forzato al circuito mondiale, la stagione era iniziata nel segno di Novak Djokovic. Il serbo ha vinto le ultime 21 partite disputate, con il suo record stagionale che lo ha visto registrare un incredibile 18-0. Da tantissimi anni, quando si riflette sul suo tennis e sui fattori legati ai suoi successi, si pensa soprattutto all’elasticità, alla risposta o all’incredibile completezza nel gioco da fondocampo. Si parla meno, invece, di un servizio che ha subito diverse evoluzioni nel corso della sua carriera.

I cambiamenti nel corso degli anni

Nei primi anni trascorsi ai vertici della classifica mondiale – ovvero il biennio 2007-2008 – il servizio è stato un punto di riferimento fondamentale per il suo gioco, e lo ha aiutato moltissimo in diversi momenti importanti. Si pensi ad alcuni match chiave del 2007, come le maratone contro Hewitt e Baghdatis a Wimbledon, la finale di Montréal vinta contro Federer e la splendida battaglia contro Stepanek agli Us Open. Non a caso, quell’anno Novak chiuse al dodicesimo posto per efficienza al servizio, salendo fino all’ottava posizione alla fine del 2008, in cui vinse gli Australian Open e le ATP Finals.

Nei due anni successivi, influenzati dal cambio di racchetta (dalla Wilson alla Head), Djokovic ha poi registrato una pericolosa involuzione, scendendo al 22° posto nel serve rating nel 2009 e addirittura al 37° nel 2010. Quell’anno la percentuale di game vinti al servizio scese all’82,2%, dopo che nel 2008 era arrivata all’87%, anche a causa di una media di 3,9 doppi falli a partita (solamente sette giocatori registrarono numeri peggiori dei suoi).

Nel 2009 e nel 2010, stagioni influenzate dal passaggio da Wilson a Head, Djokovic ha poi registrato una pericolosa involuzione, scendendo nel 2009 al 22° posto nel serve rating (classifica dei giocatori più efficaci al servizio) e nel 2010 e addirittura al 37°

La crisi fu particolarmente acuta nel primo semestre del 2010, con la collaborazione con Todd Martin, nata proprio per migliorare il servizio di Novak ma finita per aumentarne l’insicurezza, soprattutto nei mesi finali. In quel periodo, Djokovic aveva un movimento del servizio molto poco fluido, con la racchetta che, al momento dell’inizio dello swing, si ritrovava orizzontale, parallela al terreno e rivolta verso l’alto. Un dettaglio che lo induceva a ricadere male verso sinistra alla fine del movimento, non riuscendo a trasferire bene il peso del corpo sulla palla, oltre ad avere meno controllo.

Nel corso del tempo riuscì a risolvere il problema, con il movimento che divenne sempre più compatto, con una maggiore centralità dell’asse di equilibrio nella fase finale dell’esecuzione e la racchetta sempre rivolta in avanti. Quest’evoluzione è stata decisiva per lo sviluppo della sua carriera, al punto che – fatta eccezione per il complicatissimo 2017 – negli ultimi nove anni Djokovic è sempre stato tra i primi 12 giocatori al mondo per efficienza al servizio, toccando il terzo posto nel 2013 (dati ATP).

Dal giugno 2018 in poi il servizio di Djokovic è tornato ad essere più efficace che mai, facendo nuovamente scendere la testa della racchetta sotto l’altezza del gomito in fase di caricamento.

Dopo i sei mesi di stop a causa dei problemi al gomito, all’inizio del 2018 Novak ha dovuto cambiare nuovamente il movimento, seppur in modo marginale rispetto a quanto fatto in precedenza, cercando di sollecitare il meno possibile l’articolazione del gomito, senza però cambiare in alcun modo la fase dello swing. Dopo una piccola operazione chirurgica, dal giugno 2018 in poi il servizio di Djokovic è tornato ad essere più efficace che mai, facendo nuovamente scendere la testa della racchetta sotto l’altezza del gomito in fase di caricamento.

Non a caso, anche i risultati sono tornati ad essere eccezionali, con la vittoria di Wimbledon che fu legata anche a questo colpo, specialmente nel corso della splendida semifinale vinta contro Rafael Nadal per 10-8 al quinto set.

IL SERVIZIO DI NOVAK DJOKOVIC: GUARDA LA GALLERY

L’ultima evoluzione con Ivanisevic

Non deve dunque sorprendere il fatto che, nel 2019, Djokovic sia stato il quinto giocatore al mondo per game vinti al servizio (88%), con l’efficacia che sembra essere ulteriormente migliorata grazie alla collaborazione con Goran Ivanisevic. Infatti, in questo inizio di 2020 “Nole” ha tenuto addirittura il 90% dei suoi turni di servizio – il suo record personale per una stagione è l’89%, registrato nel 2015 – mostrando progressi sul piano della potenza, della varietà e dell’efficacia.

Nei primi due mesi del 2020 la sua media di ace a partita è salita a 7,2, quasi il doppio rispetto al 2016 (3,8), mentre nel 2019 si è fermato a 5,7. All’alba dei 33 anni, avere un colpo che gli consenta di vincere tanti punti gratuitamente risparmiando energie si sta rivelando cruciale, proprio come avviene per Nadal.

Inoltre, nel tennis degli ultimi anni la capacità di fare la differenza negli scambi brevi ha acquisito un’importanza capitale. Questa variabile per Djokovic è stata importante nella conquista dell’ultimo Australian Open, nel quale ha registrato un saldo di +115 nei punti conclusi entro i quattro colpi, mentre in quelli medi e lunghi la differenza è stata molto meno marcata. Nella finale vinta al quinto set contro Thiem, Djokovic ha conquistato solo un punto in più negli scambi che si sono protratti oltre il quarto colpo, mentre negli altri ha avuto la meglio nove volte in più rispetto all’austriaco.

Grazie all'aumento del numero di ace a partita, è migliorato il rendimento di Djokovic nei punti da 1 a 4 colpi. Una variabile importante nella conquista dell’ultimo Australian Open: ha registrato un saldo di +115 nei punti conclusi entro i quattro colpi.

Una componente cruciale è stata il rendimento della sua seconda di servizio: nei due set vinti da Thiem il serbo ha raccolto solamente il 42% dei punti, mentre nei tre parziali vinti la media è stata del 61%. In questo incontro, Nole non ha solamente mantenuto un’elevata velocità con la prima palla (188 km/h di media), ma ha anche giocato più volte una seconda rischiosa, oltre a provare il serve and volley in alcuni momenti cruciali della partita. L’ha fatto quattro volte, due delle quali in passaggi cruciali del match: il primo sulla palla break nel terzo game del quarto set; il secondo per annullare la seconda chance del controbreak dell’austriaco nel quarto game del set decisivo.

Djokovic è stato fenomenale anche nei punti importanti giocati prima della finale, riuscendo ad abbreviare gli scambi quando era al servizio e allungandoli in fase di risposta. In tal senso, è importante notare che, nei primi sei incontri, quando Djokovic ha dovuto fronteggiare una palla break la durata media degli scambi è stata pari a 2,83, mentre quando è stato lui ad avere delle chance a disposizione si è arrivati a 4,62. Infine, la media complessiva di tutti i punti giocati in queste partite è stata di 4,07 scambi per ciascun punto.

La capacità di decidere l’andamento dei punti importanti, stabilendo il più possibile la loro inclinazione è una caratteristica degna dei più grandi giocatori di sempre, motivo per cui in queste situazioni giocatori come Djokovic, Nadal, Federer e Sampras hanno marcato una differenza rispetto a tutti gli altri tennisti degli ultimi 30 anni. Quando finalmente il circuito riprenderà la sua attività, uno snodo cruciale per capire se la concorrenza riuscirà ad assottigliare il gap con i Big Three sarà proprio questo.

Nei primi due mesi del 2020, la media di ace a partita di Djokovic è salita a 7,2, quasi il doppio rispetto al 2016 (3,8).

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