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Soderling, da giocatore, è arrivato a toccare il numero 4 del ranking mondiale, con due finali al Roland Garros. Adesso, da capitano di Davis, prova a rilanciare un movimento svedese in crisi di fiducia e risultati da troppo tempo
di Alessandro Mastroluca | 06 marzo 2020
Il tennis svedese si affida a Robin Soderling, l'ultimo top player nazionale, per uscire dalla periferia del gioco. Soderling, il primo uomo capace di far tramontare il sole sul regno incontrastato di Rafa Nadal al Roland Garros, debutta contro il Cile da capitano di Coppa Davis. “Guidare i migliori giocatori del paese è un onore, è un’eccellente occasione per me, e credo di poter dare un contributo alla crescita del tennis svedese”, ha detto Soderling, che è stato per qualche tempo anche coach di Elias Ymer. Oggi però al centro dell'attenzione c'è suo fratello Mikael, il primo top 100 svedese dopo Soderling.
Cresciuto fra due grandi laghi a Tibro, come il sette volte campione del mondo enduro Anders Eriksson, di sport ne pratica tanti da giovane. Al tennis arriva attraverso il padre, avvocato. A 10 anni, già lo batte sistematicamente. Non ha grandi idoli. “Mi piace il gioco più dei giocatori”, diceva nel 2003 ai giornalisti in conferenza stampa a Wimbledon. Non nega l'importanza dei modelli positivi nella storia del tennis svedese, ma è un lupo solitario che sviluppa la sua strada verso la grandezza.
È determinato, e già da piccolo estremamente competitivo. Va e torna da casa al circolo tennis in bicicletta, vince quasi tutte le sfide contro i tre-quattro migliori under 12 e under 13. “Robin vive per la competizione, fa di tutto per vincere una partita”, ha detto Peter Carlsson, che l'ha seguito da junior e l'ha portato in top 50, in un lungo articolo del 2010 per “Deuce”, l'allora magazine ufficiale dell'ATP.