-
Campioni internazionali

Chris 'America', la wonder woman di Fed Cup

Miss Evert attraversa più epoche della storia della Fed Cup, costellata dalle sue vittorie col team americano. Ecco il racconto di quegli anni 70 e 80, che oggi (grazie alla nuova formula) stanno per tornare...

di | 08 febbraio 2020

L'eleganza innata di Chris Evert

L'eleganza innata di Chris Evert, la prima giocatrice a vincere 1000 partite in singolare

La Fed Cup guarda avanti, e per farlo si volta un po' indietro verso il passato. Si tornerà a giocare in sede unica e in una settimana, come nelle prime edizioni, anche se fino al 1994 il tabellone prevedeva l'eliminazione diretta (ottavi, quarti, semifinali e finale), non i quattro gironi da tre come nelle Finals di Budapest.

Gli Stati Uniti, che hanno vinto la prima edizione, hanno dominato quelle stagioni. Ma niente lasciava intuire la rivoluzione che stava per scoppiare quando Chris Evert debuttò contro l'austriaca Sabine Bernegger nel primo turno del 1977 a Eastbourne, in Gran Bretagna.

Ha vinto i primi sei Slam, a novembre del 1975 è diventata la prima numero 1 del mondo nell'era del ranking computerizzato e ci resterà, con solo due settimane di pausa, riconosciute trent'anni dopo all'australiana Evonne Goolagong, fino al 9 luglio del 1978.

Evert si annuncia in nazionale con lo stile ferocemente competitivo per cui la rivista Tennis Magazine ha iniziato a chiamarla 'la ragazza di ghiaccio'. Il 6-0 6-0 inaugura la più lunga striscia di vittorie consecutive in singolare nella storia della Fed Cup. Evert, che giustifica appieno l'altro e più celebre soprannome di 'Chris America', non perde un singolare fino al 1986.

LA STORIA DI CHRIS EVERT IN IMMAGINI

La regina di ghiaccio

Nell'edizione 1977, perde nove game prima della finale, poi va sotto 0-3 contro Kerry Reid, che a dicembre avrebbe vinto l'Australian Open, il suo unico Slam. Evert, però, cerca le righe, viene avanti, soffoca ogni sua speranza, ogni traccia di ambizione: 7-5 6-4, il punto decisivo per il titolo, dopo il successo di Billie Jean King su Dianne Fromholz.

“Quando ero giovane, ero un robot: dai la carica e lei gioca a tennis” diceva. Il pubblico, che l'ha amata, perde interesse per i suoi risultati. “Ero la regina di ghiaccio, e volevano vedere quando mi sarei sciolta. Aspettavano che piangessi, che mostrassi un'emozione. Ma tenevo tutto dentro” ha spiegato, come scrive Larry Schwartz su ESPN.

Cambia qualcosa nell'estate del 1978: la rivalità con Martina Navratilova prende un'altra direzione. Evert ha vinto 21 delle prime 25 sfide, ne perderà 14 su 23 tra l'estate del 1978, quando Martina la batte in finale conquistando il suo primo Slam in singolare, e l'Australian Open del 1982. “Che ci piaccia o no, saremo sempre legate”, ha detto.

Il trionfo in Fed Cup di quel 1978, che è anche l'anno della sua vittoria nel primo US Open a Flushing Meadows, lo condivide con Billie Jean King. Anche allora ha il pubblico contro, ma il suo carattere non c'entra: la finale si gioca a Melbourne contro l'Australia. Evert ha vinto il suo singolare su Wendy Turnbull, portando l'incontro sull'1-1, poi con King trionfa in doppio. Gli Usa diventano la prima nazione a vincere la Fed Cup per tre anni di fila.

Chris e Martina

Il legame con Billie Jean King è forte. Tra il 1977 e il 1978, quando ha vinto 18 tornei su 25 e 126 partite su 133, non ha giocato il Roland Garros in quanto prendeva parte al World Team Tennis, l'esibizione a squadre miste della presidentessa della WTA: e all'epoca chi si iscriveva al WTT veniva “punito” ed escluso da Parigi.

Nemmeno la vita privata interrompe la marcia per la gloria. Sedici giorni dopo il matrimonio con il tennista britannico John Lloyd, nel 1979, è a Madrid per guidare gli Usa verso un nuovo trionfo. Lo scenario non cambia nel 1980 (finale vinta sull'Australia), né nel 1981 (sulla Gran Bretagna). L'anno successivo, per la prima volta dopo la richiesta di asilo politico, nella nazionale Usa c'è anche Martina Navratilova.

Si dividono le finali Slam, Martina vince Wimbledon, Chris l'Australian Open. Nella ventesima edizione della Federation Cup, però, giocano in doppio insieme. E di nuovo non c'è storia, se non nella sofferta, sentita, semifinale contro la Cecoslovacchia. Navratilova, nata vicino Praga, per quasi tutto il secondo set sembra impotente contro Hana Mandlikova, ma vince 6-1 al terzo. Il resto è storia: vinceranno ancora il titolo, il settimo consecutivo, in finale contro la Germania Ovest.

Uno scatto recente di Chris Evert con Martina Navratilova

L'ultima Fed

Non ci sono Chris e Martina, nel 1983: che si veda la prima finale senza almeno una tra Usa e Australia da undici anni, non può essere un caso. Evert tornerà in nazionale solo a Praga nel 1986, l'anno dell'ultimo Slam in singolare, il Roland Garros in finale su Navratilova, e della prima sconfitta in singolare in Federation Cup, contro l'azzurra Sandra Cecchini.

“Il mio grande difetto è la discontinuità”, raccontava allora la Cecchini a Vincenzo Martucci per la Gazzetta dello Sport. Ma contro una delle leggende del tennis, sfrutta il rovescio in back che le riesce così naturale. "Sapevo che non dovevo darle ritmo, se no mi prendeva a pallate. E poi, strada facendo mi sono resa conto che giocavo alla pari con Chris. Non pensavo veramente alla vittoria - aggiunge -, ci ho creduto davvero sul 3-1 nel terzo set, quando ho avuto la sensazione che avesse paura di perdere. E poi non sapeva mai che fare con quella palla lenta che le arrivava sempre sul rovescio". Gli Usa comunque passano il turno e vincono ancora il titolo.

All'orizzonte si sta affacciando una nuova stella, una diciottenne di Mannheim che nel 1987 batte Chris a Miami poi si prende di forza il Roland Garros in finale su Navratilova. Si chiama Steffi Graf, e spezzerà anche i sogni degli Usa in finale di Fed Cup: Evert non riuscirà più a sconfiggerla fino all'addio al tennis.

«Già a 25 anni avevo iniziato a chiedermi quale sarebbe stato il momento giusto per ritirarmi e come avrei fatto a capirlo. Sapevo che nessuno avrebbe potuto dirmelo, che questa decisione l'avrei potuta prendere soltanto io - diceva -, anche se mi piaceva l'idea di finire con una grande vittoria». Capisce che il suo ultimo anno sarà il 1989. E la Fed Cup le offre l'occasione per quell'ultima grande vittoria.

Il team americano di Federation Cup 1986: Martina Navratilova, Pam Shriver, Chris Evert and Zina Garrison

Un ritiro rilassante

Chris America, la prima giocatrice a vincere 1000 partite in singolare, capace di chiudere la carriera con la miglior percentuale di vittorie di sempre (1309-146) e la più lunga serie di successi su una sola superficie (125 di fila sul rosso), la campionessa da quasi 9 milioni di dollari di montepremi in carriera, rappresenta gli Usa a Tokyo.

Evert, che lascia il tennis con 42 sfide tra nazioni e un bilancio complessivo di 57 vittorie e 4 sconfitte tra singolare e doppio, racconta la sua ultima Federation Cup in una sorta di articolo-diario per World Tennis Magazine. È arrivata la notte prima di scendere in campo contro la greca Christine Papadaki, perché ha giocato una serie di esibizioni con Navratilova, presente anche lei in finale. Scontato il successo, come il giorno dopo contro la danese sedicenne Karin Ptasek: la pioggia ritarda l'inizio dei match, si gioca sul campo 1 che, dice, è più lento del 4 su cui ha esordito.

Nel giorno di riposo si allena con Pam Shriver e Zina Garrison, numero 5 del mondo che l'ha battuta allo US Open ma a Tokyo sarà poco più di una spettatrice. Nei quarti Evert e Navratilova superano le austriache Judith Wiesner e Barbara Paulus. La semifinale contro la Cecoslovacchia è una sorta di finale anticipata. Evert non molla un centimetro e lascia cinque game a Jana Novotna; Navratilova rimonta un set a una super-offensiva Helena Sukova.

In finale faranno valere la forza dell'esperienza contro la Spagna, che allinea due diciassettenni destinate a segnare gli anni '90, Arantxa Sanchez e Conchita Martinez. Evert, durante la premiazione, trattiene le lacrime di fronte a suo padre, l'uomo per cui ha iniziato a giocare e di cui a lungo ha cercato approvazione. Piange in spogliatoio, è felice e triste insieme. “Quando penso all'adrenalina che ho sentito, o a come ho giocato questa settimana, ritirarmi mi sembra difficile”, scrive. “Ma se poi considero tutto il lavoro duro, l'intensa concentrazione, i muscoli che fanno male, l'impegno totale, le sconfitte che spezzano il cuore, allora il ritiro diventa all'improvviso molto rilassante”.
Loading...

Altri articoli che potrebbero piacerti