La Kenin che supera Muguruza nella finale di Melbourne, senza alcuna esperienza specifica a questi livelli, ad appena 21 anni, con l’enorme pressione delle aspettative della grande America, con tutti quei filmati di quand’era bambina e si faceva coccolare da Kim Clijsters nei tornei, filmati che minacciavano di tornarle contro come un boomerang sgonfiando la sua presunzione, dimostra di possedere freddezza e personalità da prima della classe. Inoltre, come sintetizza un ex come Todd Woodbridge: “Rifiuta la sconfitta”. Che è un’altra dote che non s’insegna. Così come l’attitudine alla battaglia, a prescindere dall’avversaria, esprimendo il meglio di sé. In campo, è proprio una “zanzara”, fastidiosa, insistente, ostinata, fortissima a dispetto delle dimensioni, come la chiamava il primo coach, quel Rick Macci che ha forgiato tante altre bambine prodigio, a cominciare da Jennifer Capriati, per continuare con Mari Sharapova e le due Williams. “Sofia è la più piccola creatura senza paura che abbia mai visto”, diceva anche il super-coach delle terribili teenagers yankee, lasciando intuire che le venisse dall’esperienza personale di immigrata. Dal viaggio della speranza dei genitori proprio per darle un futuro migliore, dalle similitudini con la storia dell’altra figlia della disgregata Unione Sovietica, Maria Sharapova, il cui papà, Yuri, era sbarcato nella terra promessa tenendo con una mano la piccola Masha e stringendo in tasca con l’altra quell’unico pugno di dollari di capitale, esattamente come è successo a papà Alexander con la sua Sofia 11enne che è sbarcato a New York con 287 dollari contati. Regalando entrambe alle figlie una rabbia e una determinazione decisive.