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Campioni internazionali

Rublev & Shapovalov, sconfitti e vincenti

Il 22enne Andrey ed il 20enne Denis non sono due nomi nuovi, sono due talenti annunciati da tempo, ma bisognosi di ritocchi continui ai box. Condannati dalla loro qualità più eccitante, l’imprevedibilità, e dal difetto più pericoloso, la discontinuità

di | 25 novembre 2019

Davis Cup Finals Madrid 2019

Madrid conferma il numero 1 di Rafa Nadal nel tennis mondiale, un primato di successi e di personalità, di tennis ma soprattutto di capacità assoluta di dominare e vincere i punti importanti piegando qualsiasi resistenza. Ma la nuova Coppa Davis targata Spagna, tv e Gerard Piqué ha avuto altri due vincitori morali, due Next Gen figli della madre terra russa, il neo 22enne Andrey Rublev e il 20enne Denis Shapovalov. Non sono “top ten” ma non sono due nomi nuovi, sono due talenti annunciati da tempo, ma bisognosi, ieri, oggi e anche domani, di ritocchi continui ai box. Condannati dalla loro qualità più eccitante, l’imprevedibilità, dal difetto più pericoloso, la discontinuità. Ma capaci di guizzi assolutamente geniali, di scintille che accendono qualsiasi applauso e lasciano a bocca aperta qualsiasi avversario. Così, come tutti gli attaccanti, sono già delicati, più legati all’estro e alle lune, più insicuri e altalenanti dei più affermati coetanei Medvedev, Tsitsipas, Khachanov e Zverev.
A Madrid, Rublev il rosso, numero 23 Atp che s’è fatto male spesso nel fisico e nel morale nella sua crescita psico-fisica da flessuoso giunco di 1.88 per 70 chili appena a potente protagonista del tennis moderno, è stato finalmente perentorio, recitando al meglio il ruolo di secondo singolarista della Russia. Così ha infilato il croato Gojo, lo spagnolo Bautista Agut, il serbo Krajinovic e il canadese Pospisil. Ma è stato se possibile ancora più importante in doppio, come anima e trascinatore del binomio con Khachanov che ha domato nei quarti Djokovic/Troicki e che ha lottato col coltello fra i denti fino al tie-break decisivo nella semifinale contro Pospisil/Shapovalov. Dimostrandosi finalmente un picchiatore micidiale ma anche un atleta capace di minimizzare gli errori del suo gioco di rischi e anche di calmare quella sua anima virulenta, se non addirittura feroce che gli brucia nelle viscere.

Denis Shapovalov, 15 della classifica, è andato anche oltre, mettendosi sulle spalle il Canada, orfano dell’amico degli infortunati Raonic ed Auger Aliassime, e riproponendosi come il nuovo John McEnroe, fenomeno mancino dalle soluzioni imprevedibili, difficili, uniche, e insieme appassionanti e travolgenti. Così, il canadese dalla mamma russa, ha domato in tre tie-break l’azzurro Matteo Berrettini, s’è dimostrato più bravo degli altri ex Next Gen, l’americano Fritz e il russo Khachanov, e ha ceduto contro i leoni De Minaur e Nadal. Ma l’ha fatto a testa alta, senza accusare i vistosi cali che l’hanno accompagnato nell’ultimo anno, battendosi fino alla fine e capendo quanti siano ancora i suoi punti deboli. Come quell’altro pazzerello di Rublev, si è esaltato anche lui in doppio, accanto al ritrovato Pospisil, battendo gli australiani e i russi.
Sia Rublev che Shapovalov devono ringraziare i loro allenatori, lo spagnolo Fernando Vicente, talento tennistico bruciato da un carattere che mal si sposava con la dura vita di un atleta professionista, e Mikhail Youzhny, puledro russo di qualità talmente testardo che è rimasto famoso per essersi sbattuto la racchetta sulla fronte così violentemente aprirsi una vistosa ferita che colava vistosamente sangue sul campo. Andrey e Denis stanno approfittando degli errori di gioventù dei loro maestri in un processo di identificazione e di espiazione da spiegare sul lettino dello psicanalista che li sta facendo uomini, prima ancora che giocatori. Per la felicità del tennis mondiale.

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