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Campioni internazionali

L'urlo di Townsend, la star dell'eccesso

Dopo la vittoria su Halep, ha postato la foto della sua esultanza sui social con un verso del rapper Drake: "Sto comprando la casa di tutti quelli che mi hanno chiuso la porta in faccia".

di | 30 agosto 2019

taylor townsend

“Sto comprando la casa di tutti quelli che mi hanno chiuso la porta in faccia”. Taylor Townsend ha usato un verso del rapper Drake, e l'ha anche ringraziato per le sagge parole, dopo lo storico successo su Simona Halep allo Us Open. Un successo arrivato con 105 discese a rete, una ogni due punti giocati. Una tattica lontana dai canoni del tennis corri e tira a cui siamo abituati. Una ripetizione costante di una diversità portata come stile, come manifesto. 

Ha celebrato la prima vittoria in carriera su una top 10 sfogando un desiderio di riscatto cullato da tempo. È stato come sciogliere i nodi che la tenevano legata e partire verso un mare di possibilità. “Te lo sei meritato, il tuo viaggio è appena iniziato” le ha scritto via Twitter Chris Evert.

Contro Halep, sostenuta ad ogni punto da una leggenda dello sport come Nadia Comaneci, ha squadernato un tennis da piccolo mondo antico, normale nell'era delle racchette di legno e oggi così unico da costituire una lampante eccezione alla norma. “Figo! Mi stai dicendo che la prossima volta mi basterà venire 105 volte a rete? Ok, ricevuto” ha scherzato sempre via Twitter Nicole Gibbs, battuta da Halep al primo turno.

Il consiglio di Halep

Halep, campionessa a Wimbledon, aveva vinto tutti i tre precedenti incontri contro Townsend senza mai perdere un set. “Taylor ha un tennis un po' strano” ha detto dopo la partita, “onestamente non avevo mai giocato contro un'avversaria che viene a rete così spesso”. Stavolta qualcosa è cambiato, però. Stavolta, per la prima volta, ha affrontato Halep convinta davvero di poter vincere.

 

Non era andata certo così a Miami quest'anno. Halep aveva vinto nettamente, in due set, e Townsend, col cuore in gola, le aveva chiesto un consiglio. “Me ne ha dati di buoni. Non mi ha detto niente che non sapessi già, però mi ha fatto bene sentire certe cose da qualcuno che ha ottenuto così tanto nel tennis. Non so perché l'ho fatto” ha spiegato in conferenza stampa a Flushing Meadows, “però mi è servito. È rimasto in un angolo della mia testa, mi è servito a non dimenticare cosa mi avesse spinto a farle quella domanda, a non perdere il desiderio di migliorare. Mi ha fatto guardare quella sconfitta in positivo. Come dire, puoi continuare a imparare e a crescere”.

 

Lontana dai canoni, punita dalla USTA

Lontana dai canoni della bellezza da mannequin, nel 2012 si è vista rifiutata una wild card per lo Us Open. Era numero 1 junior all'epoca, ma la USTA non le ha garantito un invito nemmeno per le qualificazioni. Perché? Era troppo grassa. “Ci preoccupiamo del suo sviluppo e della sua salute nel lungo periodo” disse Patrick McEnroe, allora responsabile del settore sviluppo giocatori della USTA, la federazione Usa. Scoppiò una polemica, Serena Williams e Lindsay Davenport difesero Townsend, che allo Us Open ci andò per giocare il torneo junior.Anche se la USTA non le avrebbe rimborsato nemmeno le spese di viaggio, le dissero. Scattò una raccolta fondi via web e alla fine la federazione ripagò la famiglia almeno dei soldi spesi per la trasferta. Ma, come scrive Jerry Bembry su espnW, “il danno ormai era fatto. Una sedicenne che dominava il suo sport era stata abbandonata da chi governa il suo sport perché non rispecchiava un determinato canone. Quelle ferite le resteranno per tutta la vita”.

La allena il padre di Donald Young

Sentiva un marchio, come una lettera scarlatta. Per qualche tempo ha lavorato con Zina Garrison, che ha incontrato i suoi stessi problemi da giocatrice. Poi è tornata con il coach che la conosce meglio, che ha forgiato il suo tennis anni Settanta, Donald Young senior, il padre della promessa mancata un tempo definita “la miglior mano sinistra del tennis Usa dai tempi di John McEnroe”.

 

Quando è tornato da lui, Townsend aveva toccato il fondo. Dopo aver raggiunto il terzo turno al Roland Garros 2014 e debuttato in top 100 l'anno successivo, la sua carriera precipita. Finisce la stagione 2015 fuori dalle prime 300 del mondo. Ad aprile del 2016 si ritrova a giocare in un ITF da 25 mila dollari contro Gail Falkenburg, best ranking di numero 360, che tre anni prima aveva perso in due set da una quindicenne dal nome esotico di cui avremmo sentito parlare: una certa Naomi Osaka. Cosa c'è di strano di strano in questa partita? Semplice, Falkenburg di anni ne ha 69, e il suo best ranking è datato 1987.

“Era completamente distrutta” ha detto Young, sempre molto diretto con lei a proposito del suo peso e della sua preparazione atletica. “L'ho riportata a giocare il tennis che le avevo insegnato da bambina. In un certo senso, aveva bisogno che qualcosa di simile le succedesse”.

Da tre anni è cambiato tutto. Ha cancellato dalla sua vita chi aveva un effetto negativo, si è riscoperta felice, anche in allenamento. Si è data obiettivi piccoli da raggiungere ogni giorno per arrivare a quelli grandi. Ha deciso di essere se stessa, succeda quel che succeda, e per un anno si è allontanata dai social. “Mi sono presa un anno sabbatico” ha spiegato.

 

Così ha ridisegnato i confini di un tennis “selvaggio”, “savage”, un marchio che si è fatta stampare anche sulla maglietta arancione con cui si è presentata in conferenza stampa dopo la partita. Un tennis che ti prende alla gola, a cui le avversarie non sono più abituate.

 

Gioca come se avesse davanti non solo la sua avversaria, ma tutti quelli che hanno dubitato di lei, che le hanno detto almeno una volta: “Non ce la farai mai”. Gioca con una missione, dimostrare che si sbagliavano. E per una sera, ha convinto anche Kobe Bryant. 

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