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La Williams, che si ferma di nuovo per il mal di schiena, non ha più quell'aurea di imbattibilità che le permetteva di riuscire a vincere anche quando giocava male, anche quando la condizione fisica era appena decente. La "responsabilità" è tutta di... Roberta Vinci
di Vincenzo Martucci | 13 agosto 2019
Il problema è che non fa più paura. Dal settembre 2015, Serena Williams non possiede più il vantaggio psicologico su tutte le avversarie, quel 20-30% di importantissima percentuale mentale che l’accompagnava prima del via, l’aurea di chi riaggiustava le situazioni più disperate, di chi non perdeva mai contro le più lontane in classifica, di chi non mollava sulla ribalta più importante nelle partite più importanti.
Ma quel giorno, quell’indimenticabile 11 settembre, la pantera del tennis ha cominciato a lamentarsi, ha chiesto aiuto al fisioterapista, ha accampato scuse, ha smarrito le sue certezze, ha tremato, è crollata. Quel giorno, si è arresa a Roberta Vinci, il braccio d’oro del tennis donne italiano, ha perso una partita che non poteva perdere, peraltro nei suoi Us Open, ribadendo che il fioretto può sempre piegare la clava, rinnovando la favola di Davide e Golia.
Con la piccola tarantina, allora appena numero 43 del mondo, che i bookmaker davano vincente addirittura 300 a 1, è fu invece capace di rimontare, dal 2-6 iniziale, il totem Serena, dando spettacolo e trascinandosi dietro tutte le peones della racchetta. Cui ha aperto gli occhi sulle evidenti difficoltà della grande atleta afroamericana.