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Sia Djokovic che Federer rientrano a Cincinnati dopo la finale che li ha visti protagonisti a Wimbledon. C’è da capire come RF ha ‘digerito’ quelle due occasioni di conquistare Londra. Che Roger rivedremo in campo sul cemento americano?
di Marco Mazzoni | 11 agosto 2019
Una cosa è certa: Roger in passato ha dimostrato più volte di sapersi riprendere da dure sconfitte, buttando giù bocconi amarissimi e ripartendo più forte di prima.
Qualche esempio? La finale di Wimbledon 2008 persa contro Rafa, match che segnò il sorpasso nel ranking ATP e fece perdere a Federer quell'aura di invincibilità sul Centre Court che durava da cinque stagioni. Agli US Open 2008 Roger si riscattò, vincendo il torneo.
A Flushing Meadows Federer ha patito cocenti delusioni. Come dimenticare le semifinali del 2010 e 2011, perse entrambe contro Novak Djokovic dopo aver avuto match point; e pure la finale 2009 contro Del Potro, una partita che stava dominando totalmente prima del rientro clamoroso dell'argentino, la lunga battaglia, la sconfitta. Ma nel primo Slam del 2010 fu Roger vincere. Sconfitto sì, “abbattuto” mai.
La logica lascia pensare che anche stavolta, forte della maturità da neo 38enne, sarà capace di rialzarsi, prendere in mano la racchetta e incantare il pubblico con le sue giocate da Maestro. Oppure... no?
Quella dello scorso 14 luglio sui prati di Church Road è assai differente da tutte le altre. Anche a Wimbledon 2018 contro Kevin Anderson Roger perse con match point a favore, ma erano i quarti di finale. La strada verso il successo era ancora lunga, e Federer obiettivamente non stava incantando col suo tennis. Stavolta lo svizzero si era presentato a Londra tirato a lucido, con una condizione clamorosa per la sua età.
Fisicamente stava benissimo: veloce, continuo, tutti i colpi erano fluidi, precisi, come i dati della finale hanno certificato. Ai numeri, avrebbe vinto lui. Ma qualcosa è girato male.
I tie-break, giocati troppo in difesa, rinnegando la tattica offensiva che aveva funzionato alla grande nel resto del match; i due match point. Due scambi probabilmente rivissuti mille volte nelle notti (insonni?) di Roger... Perché non è arrivato un ace salvifico? Perché quel dritto d'attacco è atterrato un metro più corto, dando il tempo a Nole di caricare il passante e trovare il vincente?
Chissà quanti dubbi saranno passati per la testa di Federer. Non sarà mai arrivato a pensare “odio il tennis”, ma forse un filo di disgusto per racchette & company lo avrà anche sfiorato…
Djokovic e Federer al cambio di campo durante la finale