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Campioni internazionali

Murray spera: in singolare a Cincinnati?

Lo scozzese ipotizza un suo rientro in Ohio. "Se non fosse così, aspetterò dopo lo Us Open" ha detto. Intanto, disputerà il doppio a Washington con il fratello Jamie

di | 30 luglio 2019

Andy Murray

Manca un ultimo passo, perché il rientro sia completo. Perché i fili lasciati a metà si possano riannodare e segnare una nuova partenza, un altro giro di giostra. E quel passo è più vicino del previsto. È un'evoluzione, sarebbe una rivoluzione. Andy Murray potrebbe tornare in singolare già a Cincinnati, ha detto. Un esercizio di ottimismo della volontà che non si alimenta di facili illusioni. Perché nessuno è mai rientrato, se non in doppio, dopo un intervento di ricostruzione dell'anca come quello cui si è sottoposto all'inizio di quest'anno.

“Tornare a Cincinnati è lo scenario migliore possibile” ha detto. “Se così non fosse, aspetterò dopo lo Us Open. Non voglio che il mio primo torneo in singolare dopo l'Australian Open sia uno Slam, non vorrei giocare subito al meglio dei cinque set”.

 

Mentre la Gran Bretagna si divide sulla Brexit, con un nuovo primo ministro come Boris Johnson sulla linea dell'intransigenza più dura e il leader laburista a fatica convinto dell'opportunità di un secondo referemdum, Andy accelera i tempi del “Murray-in”. Il doppio misto con Serena Williams ha riacceso scintille sopite, emozioni dimenticate ma non certo cancellate alla prova del tempo. Forse mai prima d'ora un doppio misto, specialità tradizionalmente alla periferia dell'attenzione pubblica nei major, aveva scatenato intense reazioni e vibranti passioni. Invece nei loro incontri si respirava l'aria elettrica dei grandi duetti del rock: come vedere Bob Dylan e Bruce Springsteen che cantano insieme Forever Young.

“Dal punto di vista fisico, non sono lontano dal livello di condizione sufficiente per tornare in singolare” ha spiegato. “Ma per arrivare dove voglio essere mi servirà giocare diverse partite e lavorare un po' di più in palestra per aumentare la resistenza”.

 

Il doppio gli ha già dato soddisfazioni. È passato dall'abbraccio di una nazione, all'Australian Open dopo la sconfitta contro Roberto Bautista Agut che avrebbe potuto essere la sua ultima partita, a quello con Feliciano Lopez per il titolo al Queen's. Murray "è quello che è sempre stato: un avversario contro cui è meglio non giocare" ha commentato Andrew Castle che ha seguito il torneo per la BBC. "Il suo tennis ha qualcosa di speciale, è grandioso poterlo ammirare ancora. L'aspetto chiave è il suo entusiasmo. Ha una voglia matta di essere là fuori, in campo, e si vede. Personalmente, non vedo ragioni per cui non possa tornare a giocare in singolare".

 

Durante Wimbledon, Murray ha spiegato la sua routine di allenamento nella sua rubrica sul sito della BBC. “Faccio molto lavoro con i pesi, con il bilanciere esagonale, con quegli attrezzi che trovate nella palestra sotto casa per gli squat e per gli esercizi sulla forza. Ho sempre trovato psicologicamente facile il sollevamento pesi, perché o arrivi ad alzarli o no. L'allenamento cardiovascolare è diverso, perché se non sei abbastanza forte puoi fermarti e abbandonare. È questo che mi piace, devi spingerti un po' più in là, devi convincerti a far sempre meglio, a correre un po' più forte, un po' di più”. Ed è sempre la testa che guida il corpo, quella stessa testa che, per sua ammissione, l'ha portato a chiedere al suo fisico anche troppo per amor della competizione, desiderio di rivalsa, ricerca di quel numero 1 che gli ha cambiato le prospettive di carriera.

 

Non rivedrà, almeno a breve, le strade di Philadelphia: non gli dovrebbe più servire il lavoro atletico di mantenimento che lì aveva fatto l'anno scorso prima dell'intervento di ricostruzione dell'anca. Un intervento che l'ha avvicinato a Bob Bryan, passato per l'identica procedura e rientrato in doppio col gemello Mike. “Gli ho mandato due o tre messaggi a settimana almeno. Gli chiedevo come stava andando, volevo capire se avrei avuto possibilità di rientrare o se invece dovevo contemplare l'idea di abbandonare il tennis. Non è diventato il mio migliore amico, ma abbiamo comunicato molto in quel periodo” ha scritto lo scozzese.

 

Ma come potrebbe giocare il nuovo Murray? Rivedremo lo stile, sentiremo lo stesso suono che l'impatto della sua racchetta generava sulla palla? O sarà un Murray 2.0, più in sintonia con un fisico che può richiedere movimenti e accortezze differenti?

Quando gliel'hanno chiesto, dopo la sconfitta contro Soares e Melichar in doppio misto ai Championships, il contrasto tra l'incertezza dell'adattamento e la sicurezza nel replicare quel che è stato, pur nella diversità dei tempi, si è palesato nell'impossibilità di trovare il centro di gravità di permanente. Il punto di equilibrio per mascherare i dubbi non sradicabili ad ogni nuova partenza.

 

“Vorrei giocare come ho sempre giocato, perché mi ha portato successi” diceva. “Potrei anche pensare di fare serve and volley su ogni punto, certo per il mio fisico sarebbe anche meglio accorciare gli scambi il più possibile, ma poi mi ucciderebbe se dovessi perdere sempre al primo turno. Si tratta di trovare il gioco giusto per il fisico, ma che allo stesso tempo ti consenta di essere competitivo, di vincere partite. Ci sono sicuramente cose che dovrò cambiare, in cui dovrò adattarmi. Ci sono più giocatori che tirano forte, e questo aiuta a rendere i punti più brevi, ma le superfici sono un po' più lente. Di fatto, saprò come devo giocare solo quando sarò tornato in campo”. E potrebbe succedere molto presto. Poi, comunque vada, esserci sarà già un successo.

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