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Campioni internazionali

"Demon" l'intoccabile

Alex De Minaur ha vinto il titolo ad Atlanta senza concedere nemmeno una palla break in tutto il torneo. E' il terzo a riuscirci nel circuito ATP dal 1991. Sconfitto Taylor Fritz in finale. L'australiano conferma di sfuggire alla categorizzazioni facili

di | 29 luglio 2019

Alex De Minaur

Servizio slice a uscire, volée di rovescio in campo aperto. Alex De Minaur ha chiuso così ad Atlanta la finale che lo riporta più vicino al centro della scena. Il 63 76 a Taylor Fritz misura una settimana insolita. Perché De Minaur, tra i primi dieci per punti vinti in risposta contro la seconda nel circuito ATP nelle ultime 52 settimane, ha vinto soprattutto col servizio. Ha perso sette punti con la prima in tutto il torneo. Ha vinto il titolo senza concedere una palla break nella settimana: dal 1991 ci erano riusciti solo Tommy Haas a Memphis nel 2007 e John Isner a Newport dieci anni dopo.
Sfugge alle facili definizioni, alle categorizzazioni chiare. Diabolico abbastanza da interpretare lo sport del diavolo e moltiplicare i possibili ruoli in commedia. In perenne movimento, non si lascia afferrare, non si riesce a racchiudere né facilmente a contenere.

In questo sì che rispecchia quel soprannome, "Demon", che al di là del gioco di parole con il cognome continua la tradizione australiana di etichette date più per contrappasso. Non era certo un fulmine Rod Laver, che per questo Harry Hopman iniziò a chiamare "Razzo" (Rocket). Non era certo imponente Ken Rosewall, inquadrato nell'etichetta di “Muscles”.

"Prendo il meglio di Australia e Spagna"

Minuto, capelli cortissimi con accenno di riga di lato, un'ombra di baffi che appena si nota mentre solleva l'esteticamente discutibile trofeo di Atlanta, non ha niente di diabolico all'apparenza. Poi entra in campo e lo vedi rimandare di là tutto il possibile, lo vedi trasformarsi in un battitore senza macchia, e qualche dubbio viene.

E' multiplo, quantomeno duale. Ha due anime e due nazioni che può chiamare casa. Si è diviso fra Sydney dove è nato, figlio di un padre uruguayano e una madre spagnola, e Alicante dove si è trasferito a cinque anni. Ha studiato in Spagna, è tornato in Australia a 13 anni. Qui ha messo le basi del suo tennis ma quando il ristorante dei genitori ha chiuso, è rientrato in Europa. Ora si divide tra le due nazioni. 
 

"Passo metà della mia vita in Australia e metà in Spagna" ha detto al sito dell'ATP. "Ho cercato di prendere il meglio delle due nazioni, l'etica del lavoro australiana e l'approccio più rilassato degli spagnoli". Ma dentro, dice, si sente solo e profondamente "Aussie". E in casa, a Sydney, ha giocato la prima partita nel 2017 e vinto il primo titolo ATP nel 2018. Un successo arrivato dopo la semifinale di Brisbane, che certifica un doppio primato. E' il più giovane a giocare due semifinali in due tornei consecutivi dopo Rafa Nadal nel 2005 (Montecarlo e Barcellona), e il più giovane campione nella storia del torneo dopo Lleyton Hewitt. E di Rusty è l'erede designato.
Ogni partita è una guerra. Devi dimostrare al tuo avversario che non mollerai un punto, che sei più duro di lui

L'erede di Hewitt

Si sono conosciuti durante il Roland Garros junior del 2016. Hewitt gli ha promesso che lo avrebbe aiutato se ne avesse avuto bisogno. E' diventato il suo ispiratore, il suo mentore. Hanno passato insieme la preparazione invernale, Hewitt è rimasto con lui nei primi tornei della stagione prima del suo debutto in uno Slam, con tanto di rimonta vincente su Gerald Melzer all'Australian Open 2017.

“Da Lleyton imparo qualcosa ogni giorno. Mi ha aiutato a credere in me stesso, mi ha fatto ricordare come rimanere concentrato sul momento e come lasciar passare la tempesta quando arriva. Mi ha insegnato a dare tutto su ogni punto ed è per questo che vorrei essere conosciuto” ha detto.

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Poi è arrivato l'infortunio all'anca, che ha invano tentato di contrastare con gli anti-infiammatori. Fermarsi e restare a guardare gli altri giocare non è facile per uno spirito competitivo come il suo. Rientrare e vincere solo tre partite su dieci prima di Atlanta lo è ancora meno.

Ma il gusto antico per la battaglia non l'ha perso, anzi. Ha alzato il tiro della pressione da ogni zona del campo quando contava di più in finale. Dal 3-3 del primo set, con Fritz impotente, chiamato a colpire senza poter pensare, a osare, rischiare, sbagliare di più, anche in altezza. E di nuovo, dopo una successione di turni di battuta agevoli, nel tiebreak del secondo set. "In campo è come una guerra, devi dimostrare di essere più duro del tuo avversario, devi fargli capire che non mollerai un punto” spiega. Con la sicurezza non boriosa di chi ha conosciuto quasi tutte le strade del mondo, Alex De Minaur ha disegnato la sua. Ha chiari obiettivo e percorso. Va per la sua strada. Sa che è solo questione di tempo. 
 
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