Non è esploso subito come tutti pensavano. E’ uscito, felice dalla luce dei riflettori, s’è scucito, felice, tutte le etichette, a cominciare dal ragazzo bello, ricco e fortunato con la faccia pulita e, quindi, secondo i peggiori stereotipi, senza cattiveria agonistica. S’è rintanato, felice, nel circuito Challenger e, quest’anno, con la finale di Noumea, in Nuova Caledonia ed il successo di casa, a Newport Beach, è risalito al numero 76 della classifica, appena venti posti lontano dal miglior piazzamento in carriera, il 53, del 29 agosto 2016. I quattro ko d’acchito fra Delray Beach, Indian Wells, Miami e Houston non l’hanno demoralizzato. Curiosamente, ha ripreso coraggio sulla terra europea, caso davvero insolito per un giocatore di scuola Usa, nato e cresciuto sul cemento ma posato, calmo, meticoloso, serio: ha passato due turni a Montecarlo (battendo Schwartzman), ne ha superati tre con l’aiuto dell’altitudine di Madrid (battendo Dimitrov), ha eliminato Berrettini (Jacopo) e Baldi nelle qualificazioni di Roma, e poi anche Pella in tabellone, ha toccato le semifinali di Lione (domando Bautista Agut). Quindi, quando s’è gettato sull’erba, era carico a mille. Come ha detto ad Eastbourne schiantando anche Edmund e Querrey. E Malgrado a Wimbledon sia incocciato in quel cagnaccio di Struff, è salito alla classifica-record di 30 del mondo (oggi 32). E, quand’ha ritrovato il cemento, ad Atlanta, ha infilato King, Kecmanovic e Norrie, e sfida con molta più fiducia il 20enne Alex De Minaur, il più giovane finalista del torneo, nel duello che hanno già vissuto a novembre alle Next Gen di Milano, e che ha segnato il netto successo dell’allievo di Lleyton Hewitt. Proprio come nel Challenger di Surbiton sull’erba.
Ma questo Fritz ha completato o no la sua maturazione sulla strada di un super Us Open?