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Campioni internazionali

"Demon" mette gli occhi sull'erba

Alex De Minaur, nei quarti a 's-Hertogenbosch, ha sempre avuto un feeling speciale con questa superficie. Finalista junior a Wimbledon nel 2016, l'anno scorso perse da Nadal al terzo turno dei Champions. "Una tappa del percorso di apprendimento" ha detto l'erede di Hewitt

di | 12 giugno 2019

Alex De Minaur

“Mi piacerebbe che si giocasse di più sull'erba. È una gioia tornarci ogni volta”. Alex De Minaur, cresciuto tra la Spagna e l'Australia, matricola dell'anno 2018, sui prati verdi dove nascono speranze si sente come a casa. Finalista junior a Wimbledon nel 2016, sconfitto da Denis Shapovalov, si è qualificato per i quarti a 's-Hertogenbosch grazie al successo su Andreas Seppi. La prospettiva di battere il connazionale Jordan Thompson per la terza volta in tre confronti diretti, potrebbe invertire il trend di una stagione ancora frenata. Costretto a saltare Miami, Montecarlo e Barcellona per un infortunio all'anca, ha vinto 13 partite su 21 quest'anno tra ATP e Slam.

Lo chiamano “Demon”, un soprannome che continua la tradizione australiana di assegnare nickname per contrappasso: come Rod Laver, che Harry Hopman definì” Rocket”, “Razzo” perché non proprio atletico da piccolo; o Ken Rosewall, il meno imponente di tutti, per sempre imprigionato nell'etichetta di “Muscles”.

 

A guardarlo, questo ragazzo minuto, mingherlino, con l'accurata riga di lato, il diavolo non è certo la prima associazione che viene alla mente. Anche se, al di là della contrazione del cognome, qualcosa di diabolico nella sua capacità di rimandare di là ogni palla o quasi, anche quelle impossibili, deve esserci.

 

È nato in Australia e cresciuto in Spagna dove la famiglia si è trasferita quando aveva cinque anni, salvo tornare a Sydney negli ultimi tre anni per le conseguenze della crisi economica. “Ho avuto questo onore e ho cercato di prendere il meglio da queste due nazioni, dalle diverse culture e dai diversi modi di vivere” ha detto al sito dell'ATP. “Sono un mix dello stile di vita spagnolo più rilassato e del modo di essere più energico, lavoratore, degli australiani. E questo mi ha aiutato ad essere la persona e il giocatore che sono”.

 

Numero 208 del mondo alla fine del 2017, l'anno scorso ha vinto 28 partite. Semifinalista a Brisbane e finalista a Sydney a gennaio 2018, primo teenager dopo Rafa Nadal nel 2005 a giocare due semifinali ATP in tornei consecutivi, si allena ad Alicante con Adolfo Gutierrez e ha trovato in Lleyton Hewitt un mentore d'eccezione.

 

Contrariamente a Hewitt, ha scritto Steve Tignor su Tennis.com lo scorso gennaio, “De Minaur non è solo un giocatore di difesa. Si trova bene anche quando viene avanti, cerca sempre il modo di invertire l'inerzia del punto e attaccare. Trasuda una passione antica e genuina per la battaglia ma è un giovane uomo di questo tempo globalizzato”. Perfino Andy Murray ne ammira la maturità in campo.

 

C'era con lui anche Hewitt. “Mi è sempre stato vicino” ha detto dopo la finale. “Da lui imparo qualcosa ogni giorno. Mi ha aiutato a credere in me stesso, mi ha fatto ricordare come rimanere concentrato sul momento e come lasciar passare la tempesta quando arriva. Mi ha insegnato a dare tutto su ogni punto ed è per questo che vorrei essere conosciuto”.

 

A Nottingham, una settimana dopo, fa ancora meglio e diventa il primo teenager a vincere un Challenger sull'erba dopo Nick Kyrgios nel 2014. “E' una bella sensazione” ha detto dopo la vittoria in finale su Dan Evans, “sono state due belle settimane su una superficie che adoro. Non potrei essere più fiero di me. Anche prima di metterci piede per la prima volta, sapevo che l'erba mi sarebbe piaciuta. Il rimbalzo basso si adatta al mio gioco, poi mi piace colpire piatto”.

 

La finale contro Evans è un'esibizione di agilità, di leggerezza nella copertura del campo, di back di rovescio e attacchi in controtempo. La velocità gli consente di andare facilmente attraverso la palla. L'abitudine a staccarsi dal centro per servire la prima lo aiuta nelle traiettorie esterne e nella presa di campo col colpo successivo.

 

Impara, De Minaur. Da ogni partita, ogni avversario, ogni torneo. Impara anche dalla severa lezione contro Rafa Nadal al terzo turno a Wimbledon. “Giocare sul Centrale è straordinario. È qui che voglio essere, su campi importanti contro grandi avversari. Ma devo lavorare ancora di più. Sono sicuro che la prossima volta andrà meglio” dice. “E' solo una questione di apprendimento” dice. Anche Hewitt, con i lunghi capelli biondi che sbucavano da sotto la visiera del cappellino, già rigorosamente indossata all'indietro, aveva perso in tre set al terzo turno la sua prima partita sul Centrale, nel 1999: vinse Boris Becker, anche se Hewitt salvò un match point con una risposta di puro istinto, di dritto sulla riga, sul serve and volley da destra. Rusty gli consiglia di abbracciare ogni sensazione di quel momento. Perché poi non sarà più una prima volta, non sarà più qualcosa di nuovo da governare, ma qualcosa di conosciuto da assecondare.

 

Durante il torneo, anche la star di Hollywood Hugh Jackman, Wolverine nel ciclo degli X-Man, dimostra di apprezzarlo. “Devo molto di tutto questo a mio padre, che mi ha spinto a credere in me stesso, a convincermi che appartenessi a questo mondo. E quando sei giovane devi credere di meritare di essere dove sei per continuare a mettere pressione ai grandi campioni”.

 

Persa la finale di Washington lo scorso agosto contro Sascha Zverev, la più giovane nel circuito ATP nel 2007, De Minaur ha iniziato il 2019 con il primo titolo a Sydney: è il più precoce camoione nella storia del torneo dai tempi di Hewitt

 

Trentaduesimo per rendimento in risposta, trentanovesimo nelle situazioni di pressione, quarantacinquesimo al servizio nelle ultime 52 settimane secondo gli indicatori dell'ATP, il “demone” ha il potere della velocità. “Eppure fino ai 15 anni avevo i piedi grandi e non ero certo così rapido” ha confessato. Ma non vuole mai arrendersi, mai regalare un colpo o un punto. E allora rincorre ogni palla, prima la tocca e basta, poi arriva meglio e gioca veri colpi difensivi. Vince e impara, attraversa situazioni non facili, sente uno psicologo dello sport prima di ogni partita e lo incontra di persona in Spagna se si trova a gestire sensazioni che non gli piacciono, che siano troppo negative o troppo positive poco importa. Cerca comunque di fare errori nuovi, non ripetere gli stessi. Perché il tennis è uno sport duro e questa è una qualità che si allena, si affina. Dietro il “c'mon” urlato alla Hewitt c'è la vita, c'è l'amore, c'è la febbre del dolore.

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