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Campioni internazionali

Il tennis di domani? Allenalo con il 'codice Djokovic'

Craig O'Shannessy, coach australiano conosciuto per essere il "match analist" migliore del mondo, da quest'anno nello staff del n.1 del mondo, racconta attraverso i numeri come sta evolvendo il gioco. "Gli scambi sono sempre più brevi e la risposta conta più del servizio"

di | 10 giugno 2019

Novak Djokovic

“I numeri sono il linguaggio del tennis. Quello che gli occhi vedono non basta. Se chiediamo a 20 coach perché Novak Djokovic è numero 1 avranno 20 opinioni diverse. Ma la chiave è l'efficienza in risposta”. Craig O'Shannessy, coach australiano e mago delle statistiche (in chiave di match strategy) entrato come collaboratore nello staff del serbo nel 2018, si è scontrato per tanti anni con un pregiudizio radicato e ha cambiato orizzonti e modi di vedere. Dopo la laurea in giornalismo e un anno e mezzo di pratica in Australia al Border Mail di Albury, per vent'anni si è dedicato all'attività di allenatore. Ha lavorato con il sudafricano Kevin Anderson, che con lui è entrato nei top 50 del mondo, con Milos Raonic, dal 2016 ha iniziato a collaborare anche con la Federtennis, tenendo lezioni e corsi nei centri tecnici per aiutare i coach a sviluppare metodi di allenamento più produttivi.

Dal 2005 ha cambiato il suo metodo. Ha applicato Dartfish, un sistema integrato di video-analisi usato anche dalla nazionale Usa di Davis nel 2011. Dal 2015 l'analisi ha preso sistematicamente in considerazione la lunghezza degli scambi. “Oggi il 70% degli scambi nel tennis di oggi si chiude entro quattro colpi. È una di quelle cose che può farci capire meglio l'organizzazione del nostro sport, che dovrebbe orientarsi anche nell'allenamento verso gli scambi brevi”.
Questo andamento non risente del passaggio da una superficie all'altra. “Rispetto al duro, sulla terra il piede interagisce diversamente con la superficie. Sulla terra si scivola di più, poi i granuli hanno un effetto sulla palla che rimbalza più alta. Le traiettorie sono più alte, il gioco è più lento. Per questo, pensiamo che gli scambi sulla terra siano più lunghi” spiega. “In realtà, quando sono andato allo Us Open e ho toccato la superficie, ho sentito la sabbia sotto lo strato pitturato. Negli ultimi tre anni, dal 2016 al 2018, ci sono stati più scambi brevi, sotto i quattro colpi, al Roland Garros che allo Us Open. E non c'è nemmeno differenza tra uomini e donne. E non l'avremmo mai pensato”. I punti brevi sono i più frequenti, spiega, “ma passiamo il 90% ad allenare quello che in partita succede nel 10% dei casi”.

 

Il linguaggio dei numeri dice che il 30% dei punti nel tennis moderno si chiude con una risposta sbagliata. Ma la risposta conta molto più del servizio. “Perché Isner e Karlovic non sono numeri 1? Perché si concentrano tanto sul servizio. Tra il 1995 e il 2000 i numeri uno del mondo erano i grandi battitori. Oggi premia la consistenza in risposta. Djokovic non è eccezionale al servizio, ma mette in campo un'enorme quantità di risposte”.

O'Shannessy suggerisce un cambio di paradigma, perché la percezione non basta. “Abbiamo spesso l'impressione che il giocatore migliore sia il più solido, il più consistente. Invece nel 90-95% dei casi chi vince è chi fa meglio nei punti sotto i quattro colpi. Ma noi siamo ossessionati anche in allenamento nella solidità. Perché gli scambi brevi li dimentichi, svaniscono nella memoria a breve termine quando guardi una partita. Pensiamo siano quasi un'occasione mancata e ci ricordiamo, invece di quelli lunghi, più spettacolari, memorabili. Non è così. Molti giocatori si chiedono: in allenamento so tenere lo scambio bene, a lungo, sono solido, perché non riesco a vincere partite? Perché non hai tempo di entrare nello scambio, perché magari non hai un buon servizio o una buona risposta”. Conta più arrivare a due colpi che andare più in là.

 

Per spiegare la differenza, usa un'analogia che ha più a che fare con la fisica. “In allenamento, la palla si muove come in un'onda radio, sale e scende. In partita è come l'onda d'urto di un terremoto: una grande energia iniziale, uno shock che poi si dissipa velocemente. Il lavoro del giocatore è sopravvivere all'onda d'urto. Quando servi la prima cerchi di chiudere il punto, con la risposta alla seconda provi a indurre un errore col primo colpo dopo il servizio dell'avversario. Nelle altre situazioni cerchi soprattutto di reggere all'iniziale quantità di potenza che ti arriva addosso”.

 

Passiamo il 90% ad allenare quello che in partita succede nel 10% dei casi

Saperlo permette di guardare al tennis con occhi diversi da almeno due punti di vista: la valutazione dell'efficienza dei colpi e l'attenzione agli schemi di servizio. “A volte non comprendi del tutto la strategia di un giocatore finché non vedi i numeri. Quando si guarda all'efficienza di un colpo, i numeri sono importanti. Se un giocatore di rovescio fa tre vincenti e dieci errori, e di diritto dieci vincenti e 25 errori, la sua debolezza è il diritto. Ma non sempre lo si capisce, perché si guarda più ai vincenti. Ma di rovescio non sbaglia tanto. L'efficienza sta nel differenziale vincenti/errori, ma comprenderlo non è immediato”.

 

Molte delle sue analisi recenti per il sito dell'ATP si concentrano sulla percentuale di game di servizio tenuti in particolari situazioni di punteggio. Non è un caso, sottolinea, che i top player subiscano meno del 50% di break quando si trovano sotto 0-30 o 30-40.

Questo, spiega, influisce sulla strategia, “perché sai di poter essere più aggressivo. I top 10 tengono più del 90% dei turni di battuta in cui si trovano sul 40-0 o sul 40-15. In queste situazioni, dice, “quando sei avanti e non corri grandi rischi, fa bene cambiare strategia, passare a un piano alternativo, allo schema secondario, che confonde l'avversario. Ma quando hai bisogno di fare il punto, allora non dovresti deviare dal piano primario. Guardare questi numeri, verificare quando e quanto un giocatore ricorre al piano secondario ci permette di capire come i giocatori si sentono, che livello di fiducia hanno in se stessi in un determinato momento”.

 

Il suo obiettivo, spiega, è aumentare la conoscenza dello sport e incidere sull'allenamento anche dei giovani perché possano arrivare ad eccellere. Per questo, dice, vorrebbe superare la metrica degli errori gratuiti, un dato “fuorviante, perché comunica il messaggio che non bisognerebbe sbagliare mai. Invece il 70% dei punti oggi finiscono con un errore forzato. Soprattutto, oggi i coach non dovrebbero concentrarsi troppo sulla solidità, sulla consistenza, ma replicare quanto più possibile quel che succede in partita. E per farlo non bastano gli occhi. Servono i numeri per capire perché uno vince e uno perde”.

 

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