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Djokovic è sempre più il primo della classe. Trita vittorie e avversari, può battere anche i record di Nadal e Federer ma il mondo continua a volere più bene ai suoi avversari. Lui è disposto a tutto per essere benvoluto: proverà a realizzare quello che non è riuscito agli altri: il Grande Slam
di Vincenzo Martucci | 13 maggio 2019
Ma non basta. Novak è anche campione della corretta alimentazione, campione della meditazione, campione di letture, campione di pensiero in un ambiente che si distrae coi videogame e i filmini. E, ultimamente è anche campione-politico. Per come si è tuffato nelle rivendicazioni della seconda fascia di colleghi che chiede più soldi, e deve districarsi nelle beghe dietro le quinte per la successione del numero 1 Atp, Chris Kermode. Col dubbio che forse sarebbe meglio confermarlo per un altro anno ancora.
Se non li domasse davanti allo specchio, i capelli di Nole sarebbero come i suoi pensieri, irti come un porcospino: li reprime, li soffoca, li doma come fa con le emozioni. Anche se poi, umanissimo come tutti noi, a tratti, si blocca di botto, inspiegabilmente per i più, ma come qualsiasi serbatoio dalle mille riserve di energia. Gli è successo più volte al Roland Garros, indispettito da quel pubblico giacobino. Che in passato ha già ghigliottinato campioni (ricordate Martina Hingis?) e ne ha eletti altri, portandoli da tribuni della plebe ad imperatori (ricordate Guga Kuerten?).
Gli è successo tre anni fa, quando accusò un vero e proprio corto circuito degno di un trattato di psicologia, compreso il problema - con operazione chirurgica - al gomito e la corsa dal guru. E gli è accaduto ancora domenica, quando il povero Tsitsipas, vinto da quello jo-jo da fondocampo che gli faceva fare Nole, autentico supplizio per gli avversari, sognava soltanto la doccia. D’incanto, gli occhi del numero 1 del mondo si sono accesi di rabbia, i suoi gesti da perfetti sono diventati arruffati, il suo body language si è scomposto trasformandolo in un burattino senza fili, il dritto bilanciato al centimetro ha sballato, uno, due, addirittura tre match point. Anche se è stato un attimo, uno squarcio nella gestione perfetta di se stesso, poi il primo della classe è tornato lui, e ha chiuso, giustamente, il discorso. Rimettendosi in sella dopo la lunga vacanza con il successo che s’era preso dal finale di Melbourne contro Rafa.
Chissà Dante dove lo avrebbe collocato nell’aldilà. Il suo inferno è in terra: il suo premio è sempre meno grande di quello degli altri, costretto com’è a rimettersi subito in caccia, braccato da tutti, con gli ostacoli che si susseguono agli ostacoli in un bolero esaltante ma anche sconvolgente, opprimente, terribile. Subito dopo la montagna-Madrid, c’è la vetta-Roma, una tappa fondamentale verso la conquista del Roland Garros di Parigi. Che è importante, è la seconda tappa stagionale dello Slam, è quella che Novak ha sfatato solo nel 2016 - unico dei Major dove ha messo una sola tacca, contro i 7 Australian Open, i 4 Wimbledon e i 3 Us Open - ma non è l’ultima meta. Perché poi, il primo della classe deve vincere Wimbledon e dopo ancora anche New York. E quindi, forse, finalmente, chiudere le sue scalate verso il cielo, cioè firmare il Grande Slam. Com’è riuscito nella, storia soltanto a Don Budge e, due volte, a Rod Laver. Perché se gli esami non finiscono mai per nessuno, per Novak Djokovic la trafila è ancor più lunga, e difficile, e dura.