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Campioni next gen

Cobolli, nel nome del padre

Flavio è il talento che promette di ottenere buoni risultati tra i pro. Stefano è il padre che lo allena, e che ha un passato da giocatore di ottimo livello. Ecco le loro speranze e le loro ambizioni, in un'intervista a 360 gradi

di | 11 dicembre 2019

Stefano e Flavio Cobolli

Sinceri, schietti, senza peli sulla lingua. Burberi (solo all’apparenza) dal cuore d’oro, Stefano e Flavio Cobolli inseguono un sogno chiamato circuito Atp. Stefano, 42 anni, numero 236 Atp nel 2003, è il padre. Flavio, 17 anni, promessa del futuro, il figlio. Gli obiettivi, ambiziosi, nascono al Tennis Club Parioli, dove Flavio è cresciuto da bambino, e si concretizzano alla Rome Tennis Academy, attuale base di allenamento. Un rapporto intenso il loro, a volte complicato, ma ricco di gioie, soddisfazioni e obiettivi comuni. Flavio, numero 20 under 18 e già entrato nel ranking Atp (n.907), vanta un tennis brillante e dall’ottimo timing, che gli ha permesso di confrontarsi al meglio anche nelle prime sfide a livello professionistico.

Quartofinalista al Roland Garros junior (dove ha raggiunto anche la finale in doppio), finalista nell'Itf di Santa Margherita di Pula, il diciassettenne romano si sta preparando al meglio per la prossima stagione. “In questi mesi invernali Flavio svolgerà una lunga e importante preparazione fisica e tennistica – racconta il padre-coach Stefano – che dovrà rappresentare la base per i suoi primi anni di carriera. Lavorerà qui alla Rome Tennis Academy per tre mesi e mezzo prima di confrontarsi con i primi match ufficiali. Nel 2020 vorrei che giocasse un numero di tornei decisamente inferiore rispetto all’anno appena terminato, dando priorità alla crescita a trecentosessanta gradi”.

A proposito di 2019, qual è il bilancio sull’annata di Flavio?
“Molto positivo. Flavio ha vissuto nuove esperienze, si è confrontato con realtà, come quella Futures, che non conosceva affatto, e ha imparato davvero molto sotto tutti i punti di vista. Ha viaggiato tanto, spesso insieme a me, e il nostro rapporto coach-allievo nonostante le comprensibili difficoltà è migliorato molto. Inoltre confrontarsi con i primi Slam, seppur junior, della carriera, è stato un elemento fondamentale di crescita”.

Perché?
“Vivere gli Slam è formativo in ogni istante. La pressione che ti mette sulle spalle un torneo di quel livello, seppur giovanile, ti insegna più di ogni altro evento. Flavio solitamente è molto freddo e sa gestire la tensione, ma imparare a farlo in uno Slam rappresenta un grande allenamento per quella che, si spera, sarà la carriera professionistica. Anche per me, personalmente, svolgere il ruolo di coach a Parigi, Wimbledon e New York è stato altamente formativo”.
All’inizio del prossimo anno Flavio sarà a ridosso della Top 10 under 18. Che tipo di programmazione avete impostato?
“Sicuramente saremo presenti nei primi tre Slam della stagione che, come detto, ritengo importantissimi. L’attività sarà però mista: tornei junior di grado alto, Futures e, se avrà dimostrato di avere un buon livello, arriveranno anche le prime vere esperienze Challenger. Ho già parlato con la Fit e ci è stato confermato che potremo usufruire di qualche wild card”.

Oltre agli Slam, quali nuove esperienze hanno segnato il 2019 di Flavio?
“La trasferta in Sudamerica di inizio anno è stata molto importante, soprattutto per il nostro rapporto. Può sembrare strano, ma ci ha permesso di conoscerci meglio sotto il profilo prettamente professionale. Flavio si fida molto della mia preparazione tattica dei match e della gestione complessiva dei match. Sotto questo aspetto sono davvero molto contento. I problemi sono altri”.

Quali?
“I lunghi periodi di allenamento a Roma, durante i quali si possono verificare, ogni tanto, momenti di tensione: a volte sono costretto ad allontanarlo dal campo o a lasciare io stesso l’allenamento perché entrano in ballo normali dinamiche familiari non sempre facilmente gestibili. In alcune situazioni mio figlio è ancora un po’ piccolo, ma non sono preoccupato, maturerà anche sotto questo aspetto”.

È in questi dettagli che deve migliorare maggiormente?
“Flavio fa fatica a tenere alte l’intensità e l’attenzione per due ore consecutive di allenamento o di partita. Ultimamente sto analizzando i match, punto per punto, mettendo in risalto i momenti in cui regala o si assenta mentalmente. Stiamo lavorando, ci sono tante cose da migliorare, ma per velocità di palla e timing il livello è già molto buono”.

Jannik Sinner, Giulio Zeppieri e Lorenzo Musetti. La nouvelle vague del tennis azzurro sta volando. Quanto e come incide su tuo figlio?
“Questi tre ragazzi, paradossalmente, ci stanno abituando male. Il percorso di Flavio, fortunatamente abbastanza lontano dai riflettori, è reso mediaticamente ‘normale’ da ciò che Jannik, Lorenzo e Giulio stanno facendo nel circuito, ma non credo che possa rientrare nella definizione di ‘normalità’. E ci sono tanti altri ragazzi che potranno seguire le orme di Sinner & company”.

Puoi farci qualche nome ‘next gen’, sia italiano che straniero?
“Tra gli italiani voglio citare Francesco Maestrelli, Giorgio Tabacco, che abbiamo anche ammirato su Supertennis durante le finali di Serie A1, e Matteo Gigante, che ho la fortuna di allenare alla Rome Tennis Academy insieme a Flavio. Sono tutti ragazzi estremamente interessanti. Tra gli stranieri, quello che mi fa impazzire è Martin Damm: mancino, statunitense, già vicino ai due metri di altezza e figlio d’arte (il padre, suo omonimo, fu n.42 Atp nel 1997), ha un tennis stupendo e allo stesso tempo molto moderno. Mi piace anche il ceco Jonas Forejtek, che vanta un diritto impressionante. Di questi due ragazzi credo sentiremo parlare in futuro a livelli molto alti. Non mi fanno impazzire i più reclamizzati Rune e Mochizuki, che hanno ancora qualche importante lacuna nel dritto e nel servizio, i colpi fondamentali nel tennis d’oggi”.
C’è competizione in famiglia?
“In modo molto giocoso, ma assolutamente sì. Flavio spesso fa paragoni tra i suoi risultati e i miei dell’epoca, ma tutto in maniera scherzosa e divertente. Il nostro rapporto padre-figlio in campo, che inizialmente è stato difficile, sta migliorando sensibilmente nel corso del tempo”.

Flavio era una promessa anche dal calcio, tant’è vero che era uno dei pupilli di Bruno Conti nelle giovanili della Roma. La maglia giallorossa vi unisce?
“È una passione viscerale che ci accomuna e ci unisce. Anche quando siamo in giro per i tornei riusciamo sempre a vedere le partite della Roma. Come? Ormai le televisioni di molti alberghi, tramite satellite, consentono di guardare la Serie A anche dall’altra parte del mondo. E anche quando siamo in difficoltà, Flavio trova sempre il modo di seguire la partita su internet. Non chiedetemi come perché non lo so…”.

Quanto è importante la Rome Tennis Academy come base di allenamento?
“Abbiamo la fortuna di poter giocare su veloce indoor, outdoor e su terra battuta. Sapere di tornare alla base e potersi allenare con giocatori di qualità come Gigante, ma anche Turchetti e altri, è importantissimo. Alla ‘Rta’ (di cui Stefano è co-fondatore insieme a Vincenzo Santopadre e Massimiliano Meschini, ndr) cerco spesso di far giocare Flavio su diverse superfici anche nella stessa giornata. L’abitudine ad adattarsi è un altro fondamentale elemento di ogni professionista”.

Matteo Berrettini oggi si allena a Montecarlo, ma nei primi mesi dell’Academy è stato molto presente. È stato un esempio importante per Flavio?
“Flavio ha avuto spesso la possibilità di allenarsi con Matteo e, ogni tanto, nelle rare circostanze in cui Berrettini è a Roma, capita ancora. Per mio figlio è ovviamente fonte di grande ispirazione”.

Quanto è cambiata la maniera di vivere il circuito, tra tornei, viaggi e allenamenti in giro per il globo, tra gli anni in cui eri un giocatore professionista e oggi? Come ti rapporti, da coach, con un mondo, non solo tennistico, che è cambiato totalmente?
“Bisogna essere bravi a trovare il giusto equilibrio, perché l’obiettivo numero uno del coach deve essere quello di entrare in simbiosi con i giocatori. Serve mediare tra passato e presente. Insisto molto sul fatto che il cervello debba essere sempre stimolato e allenato a risolvere le problematiche, perché il tennis è uno sport di situazione. A volte tolgo ai ragazzi il telefono perché voglio che leggano o che, semplicemente, giochino a carte. Poi, però, lo riconsegno loro, perché si deve comprendere il momento storico in cui stiamo vivendo e in cui, soprattutto, i ragazzi stanno crescendo. Mi sono adattato al presente, ma cercando sempre di portare qualcosa del passato e delle mie esperienze nella quotidianità tennistica dei miei allievi”.
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