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Campioni next gen

Sinner: ”Perché non mi piacevano i tornei junior”

Al meeting del Team Head Jannik racconta il suo percorso di crescita, spiega il suo modo di intendere il tennis e le sue scelte, anche per quanto riguarda la racchetta e l’incordatura, che ancora fa da sé, con la sua macchina, quando si allena a Bordighera

di | 30 novembre 2019

Jannik Sinner volee

Ormai si può dire che sia in silenzio-stampa. Dopo l’apparizione su Rai2 a Che Tempo Che fa, con oltre due milioni di spettatori davanti ai teleschermi, Jannik Sinner deve parlare poco e lavorare molto per prepararsi alla stagione 2020. Anche se tutti lo vogliono, tutti lo cercano, il suo team, coach Riccardo Piatti in testa, con la moglie Gaia a fare da press-agent, ha chiuso i rubinetti delle interviste perché, come dicono nel loro gergo pragmatico, “bisogna stare sul lavoro”.

Così all’ultima uscita programmata, quella del meeting annuale del Team Head, all’Aspria Harbour Club di Milano, si va e si torna in giornata, alla svelta, perché non si può saltare una giornata intera di allenamento. Sveglia all’alba, l’auto è pronta davanti al cancello del Piatti tennis Center di Bordighera per essere prima delle 10.00 a Milano. Formazione: Jannik e Gaia Piatti, il tecnico Luigi Bertino e Lorenzo Forti, under 16 di belle speranze, anche lui del Team Head, che si era fatto notare come sparring di Sinner (insieme a Rocco Piatti) alle Next Gen Atp Finals e poi come compagno di doppio di Jannik al Challenger di Ortisei. Obbiettivo ripartire subito dopo pranzo per essere di nuovo a Bordighera in tempo per… lavorare.

A Milano, il management di Head, Corrado Macciò in testa, coadiuvato da Stefano Cavuto, Fabio Rossi e Valentina Mortello, ha allestito un mini talk-show per un pubblico selezionatissimo: l’élite dei giocatori sponsorizzati, dall’under 12 in su, accompagnati dai loro allenatori. Una platea super-qualificata che finisce inevitabilmente per pendere dalle labbra di quelli che parlano dal mini-palco, con Laura Golarsa a fare da conduttrice. Perché dopo un’annata così, ascoltare in presa diretta i racconti e i punti di vista di Vincenzo Santopadre, coach storico di Matteo Berrettini, e Jannik Sinner è un’opportunità che sarebbe ghiotta per un audience mondiale.

Jannik Sinner al meeting del Team Head a Milano

Tutto il mondo vorrebbe infatti sapere come si fa ad accompagnare un giocatore dai primi passi agonistici al n.8 del mondo, fino a qualificarsi per le Atp Finals. Oppure come ci si sente a essere il più forte 18enne del mondo, già n.78 assoluto e già vincitore del titolo più importante a livello under 21, le Next Gen Atp Finals.

Sinner a certe situazioni ha fatto velocemente il callo e non si fa pregare.

“Ormai mi fanno sempre le stesse domande- scherza sorridendo- E’ stata una stagione fantastica con tanti momenti significativi, più alti che bassi, un fatto che, credo, a un giocatore non capiti tante volte. E’ partita quando ho vinto Bergamo e da lì ho sempre cercato di migliorare, insieme al mio team. Alla fine la cosa più importante è sempre quella: cercare di migliorarsi, come giocatore ma anche come persona. Imparare a essere maturi in campo. Mi sono reso conto che tante volte si vince anche solo riuscendo a stare calmi. La testa è fondamentale. E’ la cosa che tu puoi sempre controllare durante il match. Qualche volta non puoi controllare il tuo gioco, o quello dell’altro, ma la tua testa, sì. E credo di aver fatto bene quest’anno sotto questo aspetto”.

Inevitabile, in un contesto di giovanissimi aspiranti tennisti, e di relativi maestri, essere curiosi degli inizi e del percorso di chi è arrivato (o sta arrivando) in alto. In particolare la storia di Sinner, tra i più forti sciatori a livello nazionale tra gli 8 e i 12 anni, è significativa.

“Non è tanto facile soprattutto quando sei tanto giovane concentrarsi su un unico sport. Non credo vada bene. Io sono fortunato grazie alla famiglia che mi ha concesso tanta libertà e mi ha sempre dato quello che desideravo. Per loro era importante che io fossi felice. E anche ora loro sono felici quando mi vedono star bene in campo, vedono che mi diverto. Ovviamente vogliono che io dia il massimo; ma quello per me è ovvio, ci mancherebbe... Oggi credo che da piccoli sia giusto provare a fare tanti sport, messi insieme”.

Ancora inevitabile, e delicato, il tema dell’agonismo nelle categorie giovanile: un passaggio ineludibile che però si presta a interpretazioni diverse. Più o meno utili in prospettiva di una crescita a tutto tondo e con grandi ambizioni.

“Da piccolo facevo pochi tornei junior. Un bel giorno siamo partiti per l’Egitto, a Sharm el Sheikh, per giocare il primo Futures Itf. E ho perso subito ovviamente. In quei tornei perdevo perché gli altri erano più forti di me. Però abbiamo deciso, con il mio team, di andare in quella direzione. Di andare a confrontarsi ad un livello in cui mi sentivo sotto pressione perché dovevo fare qualcosa in più durante il gioco. Questo percorso sicuramente mi ha aiutato. Perdevo tanto. Non vincevo mai. O comunque vincevo poco. Però alla fine siamo sempre ‘stati sul lavoro’, come dice Riccardo, il mio coach. Che significa che ogni volta che abbiamo perso siamo sempre rimasti lì, ci siamo allenati con gente più forte di me. La stessa cosa che stiamo facendo anche oggi. Farlo da piccoli è molto importante perché se giochi sempre con avversari di pari livello, o di livello inferiore al tuo, vinci però non ti rendi conto se migliori o no. E alla fine ho scelto di puntare a migliorarmi. Qualche volta devi avere anche un po’ di fortuna. A Bergamo, quest’anno, quando ho vinto il mio primo Challenger, ho avuto un po’ di fortuna. Sono arrivato dal Kazakistan il giorno prima, mi sono allenato mezz’ora, poi la sera ho giocato subito un ottimo match. E’ andata bene. Qualche volta basta una partita per farti venir fuori. A me è successo un po’ così”.

L’approccio al tennis giovanile è legato, per Sinner, anche un modo di interpretare il tennis e la competizione

“Non mi piaceva giocare i tornei juniores. Per me è una questione di mentalità: a quel livello non sei sempre tu che devi vincere la partita, spesso sono gli altri che te la regalano. Io ho un modo di vedere il tennis per cui mi piace sempre andare avanti, provare a fare gioco. Per questo mi interessava cercare di confrontarmi con quelli più forti, più grandi di me”.

Impossibile, in un contesto tecnico come quello del Team Head, non essere curiosi delle scelte di Jannik Sinner anche in termini di attrezzo e della sua taratura.

“Ho sempre giocato con la Speed, sin da piccolo. Non ho mai cambiato, neanche la corda (Hawk Touch n.d.r.). E non mi passa per la testa neanche lontanamente l’idea di cambiare perché penso che un giocatore abbia già tanti problemi da risolvere in campo. Se cominci a pensare alla racchetta, magari poi finisci, in certi momenti, per darle la colpa dei tuoi errori. Non fa per me. Io credo che si debba trovare la racchetta che va bene per te e poi magari metterla punto nel peso, personalizzarla ma cambiando pochi dettagli. La stessa cosa vale per la corda. Io ho sempre usato il monofilo Head Hawk Touch. Ho cambiato solo il calibro: fino all’anno scorso usavo 1,25 mm, ora sono passato all’1,30. Perché altrimenti dovevo incordare troppe volte. L’ho capito proprio qui all’Harbour Club lo scorso anno, quando ho giocato il mio primo Atp Challenger. Si giocava sempre con palle nuove e io rompevo sempre le corde. Mi sono detto: non posso incordare cinque racchette al giorno. E ho cambiato. Adesso nei tornei non me le incordo più da solo ma ho mantenuto quel calibro. Comunque quando sono a Bordighera le racchette continuo a incordarle da me, con la macchina che mi sono comprato qualche tempo fa”.

Dall’attrezzo alla sua personalizzazione, il passo è breve. E aiuta a cogliere i gusti tennistici di Sinner scendendo nel dettaglio

“Mi sono sempre trovato bene con la Speed perché secondo me è la racchetta più semplice. Una racchetta con cui puoi far di tutto: la palla ti esce molto facile. Appena la tocchi, va e il piatto corde è fermo. A me dà questa sensazione e mi piace. La sento bene. Uso manico n.2, piccolo, anche se ho le mani grandi, e 300 grammi di peso. Se dovessi aumentare un po’ di peso sarebbero solo pochi grammi perché di muscoli ancora non ne ho tanti e rischio di spaccarmi. Il bilanciamento è 32 cm. Per quanto riguarda la tensione, tiro le corde a 28 chili. Adesso, col calibro 1,30, l’incordatura finisce per essere abbastanza rigida, dura e mi piace. La voglio così perché non mi piace perdere la palla in lunghezza. Così posso provare a spingere sempre un po’ di più”.

E più su, verso i piani alti del tennis mondiale. Perché quando Jannik spinge, è difficile stargli dietro, per chiunque. E la sensazione è che abbia intenzione di farlo a lungo e sempre più forte.

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