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Campioni next gen

"Demon" tra il “diavoletto rosso” e… il paradiso

Alex De Minaur, n. 18 del ranking mondiale e con tre trofei conquistati nel 2019, affronta Jannik Sinner nella sua seconda finale consecutiva alle Next Gen ATP Finals senza aver perso un match: “Questo è un bel torneo, ci sono premi in palio e mi alleno per la Coppa Davis”

di | 09 novembre 2019

Alex De Minaur

Lo chiamano Demon, Demonio, giocando sul cognome de Minaur, e sintetizzando la demoniaca capacità di Alex l’australiano di dribblare gli ostacoli come un canguro, di trovare soluzioni, di chiudere spazi, di ottenere il massimo nei momenti importanti, di clonarsi nell’idolo e allenatore Lleyton Hewitt, con lucidità e freddezza, piedi velocissimi e prima di servizio scaccia-guai. Gli avversari lo temono tutti, perché lui rispetta e teme tutti, senza colpi davvero decisivi, ma con tutti i colpi che diventano decisivi proprio quando è sotto pressione.

“Bel torneo, e mi preparo per la Davis”

Il bigliettino da visita di Alex de Minaur nasconde una caratteristica ugualmente decisiva: il 20enne di Sydney è particolarmente intelligente e, come tanti atleti che non ha il pugno del ko o il tocco geniale del talento tecnico, deve industriarsi e pensare di più. Così, quando gli chiedono perché sia presente al Palalido di Milano alle Next Gen ATP Finals dopo aver perso contro Tsitsipas proprio sotto il traguardo l’anno scorso, lui che, da numero 18 del mondo, è nettamente più avanti rispetto agli altri migliori under 21 mondiali, sfodera il suo sorrisino mefistofelico erisponde, nell’ordine: “Questo è un bel torneo, ci sono premi in palio e mi alleno per la Coppa Davis”. I cui allenamenti ufficiali della nazionale australiana, peraltro, si terranno la prossima settimana allo Sporting Milano 3 in vista dell’evento di Madrid del 18-24 novembre.

Tre titoli Atp vinti nel 2019

Alex e compagni sanno che l’allievo dell’ex numero 1 del mondo, Lleyton Hewitt, non è imperfetto come i coetanei, non è in via di rifinitura e quantomeno in via di crescita, non è immaturo e non è in crisi. Anzi. Ha tutti gli ingredienti giusti per un risotto perfetto come avrebbe fatto papà Anibal, uruguagio che gestisce un ristorante a Sydney insieme a mamma Ester, spagnola.
Alex è allenato da sempre ad arrangiarsi, a convivere con le tante anime che ha dentro, dopo aver vissuto i primi cinque anni della sua vita in Australia e i successivi dieci ad Alicante, per abbracciare la bandiera spagnola nel tennis nei tornei giovanili, ma poi tornare a Sydney e sposare definitivamente quella australiana aggiudicandosi gli Australian Open juniores 2016. Poi, ha sprintato subito fra i professionisti. E, dopo un 2017 di assestamento e un 2018 di esperienza per entrare nei “top 50”, quest’anno è esploso e ha vinto tre tornei: il primo, anche in carriera, battendo in finale Andreas Seppi nella sua Sydney, il secondo ad Atlanta, dopo due mesi di stop per la pubalgia, il terzo a Zhuhai a settembre. Mentre in finale a Basilea s’è inchinato al campione di casa, Federer, ma ha incassato la classifica-record di 18 del mondo.

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​Che ragnatela da sbrogliare per Sinner

Contro un tipetto così, Frances Tiafoe sapeva di non avere scampo al Palalido Milano: ci aveva già perso nelle qualificazioni di Brisbane 2017 e l’anno scorso agli Us Open, rimediando anche un 6-0 davanti alla sua gente. Infatti, ha lottato, ma è stato infilato come un toro furioso dalle mille banderillas dell’australiano. E, in finale, Jannik Sinner, il diavoletto rosso di casa Italia che continua a sorprendere per la sua maturità a dispetto dei 18 anni appena compiuti, teme giustamente il test col “demonio” ufficiale del circuito.
Lui, il diavoletto rosso che faceva impazzire i genitori da piccolo, “Sono stati bravi con me”, sta continuando anche da tennista. Lui che si adatta all’avversario a match in corso, “dopo qualche dritta di Piatti su dove serve il mio avversario nei momenti importanti e qualche dettaglio in più”, lui che sconcerta col servizio più incisivo del torneo di Milano, lui che continua a bypassare tutti i livelli come uno studente geniale a scuola, lui che vola in finale con la maglietta della wild card da neo “top 100”, dovrà sbrogliare una ragnatela ben complicata. La più complicata della sua giovane carriera.

Diavoletto rosso contro demonio: in palio il paradiso

Giocare profondo - “la lunghezza è una caratteristica decisiva nel tennis moderno” - che gli ha fatto cambiare faccia alla semifinale in rimonta contro Kecmanovic, così come “fare il mio gioco” che gli ha fatto infilare Tiafoe ed Ymer non gli basterà. Dovrà, anzi, aumentare i cambi di ritmo, dovrà variare, dovrà chiamare il demonio australiano a rete. Perché a spaccare De Minaur da dietro ci hanno provato in tanti ma ci sono riusciti in pochi. Anche se a questo strabiliante Jannik Sinner tutto sembra essere consentito, tutto sembra facile, tutto sembra già naturale. Mentre semplice e naturale non è, almeno per i tennisti umani che l’Italia aveva sempre conosciuto. Matteo Berrettini compreso. Quindi, viviamo l’ennesimo dilemma: demonio contro demonio, con in palio il paradiso.

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