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Auger-Aliassime, talento di precocità, dopo aver dovuto saltare il Roland Garros per uno stiramento inguinale è tornato a brillare sui prati di Stoccarda raggiungendo la finale dove contende il titolo a Matteo Berrettini. Su una superficie che affronta per la prima volta nel tour maggiore il canadese ha ripreso la sua corsa verso i vertici
di Vincenzo Martucci | 15 giugno 2019
AUGER-ALIASSIME ANNULLA MATCH POINT A BROWN - Felix Auger Aliassime continua a regalare al tennis belle novità su di sé. Oltre l’etichetta di stella delle Next Gen e prossimo protagonista a novembre alle Finals della Fiera di Rho. A Stoccarda, sull’erba che l’anno scorso i suoi allenatori (gli ex pro francesi Marx e Fontang) gli hanno fatto saltare per consolidare il gioco e rilanciarsi sul cemento americano, il canadese ha giocato la prima partita di tre tie-break della carriera, ha salvato un match point, ha realizzato l’83% di punti con la prima di servizio centrando l’ace nel 46.9% delle occasioni, mettendone giù 30.
Così, ha domato il veterano Dustin Brown e, a fine partita, l’ha anche consolato amabilmente come avrebbe fatto Roger Federer. Che è il suo idolo, col quale non condivide solo la data di nascita, l’8 agosto di anni molto lontani (2000 contro 1981), ma evidentemente anche la grande sensibilità umana. Mentre, in prospettiva psico-tecnica, è più a un incrocio fra Djokovic e Nadal, un giocatore a tutto campo, capace di imporre alti ritmi di palleggio da fondo (a partire dal dritto), ma anche di trovare punti importanti al servizio e alla volée.
"FA2" o anche “Ogr”, come si fa chiamare, ha preso la racchetta in mano ad appena 5 anni, per amore di papà Sam, maestro di tennis, del Togo, di cui ha preso il fisico, mentre da mamma Marie Auger, maestra canadese di Quebec City, ha preso la freddezza. Precocissimo, più giovane a vincere, ad appena 14 anni, un match in tabellone in un torneo Challenger nel luglio 2015 (a Granby, in Canada, arrivò ai quarti), finalista al Roland Garros e campione agli Us Open under 18 nel 2016, più giovane campione Challenger a 16 anni a Lione (otto anni dopo Tomic), più giovane a doppiarlo (a Siviglia) e quindi più giovane “top 200” (quattordici stagioni dopo Nadal) nel 2017, più giovane “top 100” oggi, da numero 21, Felix aspira da sempre all’eccellenza. In tutto, tanto che alla festa dei giocatori di Montecarlo ha incantato tutti per come suona il pianoforte.
Dopo aver commosso tutti, ugualmente, per come aveva reagito, in campo, davanti all’amico del cuore, Denis Shapovalov, quando, per il gran caldo, era stato colpito all’ultimo attacco di tachicardia agli Us Open di settembre, dove aveva superato le qualificazioni e, al primo turno del tabellone, si era ritirato sul 5–7 7–5 4–1. Il suo tallone d’Achille che sembra sistemato con la crescita che sta ultimando. Era stata una frenata brusca e dolorosa nella sua crescita graduale, al primo anno sul circuito Atp Tour con l’esordio in tabellone a Rotterdam, la prima promozione dalle qualificazioni in un Masters 1000 a Indian Wells, la prima conferma di un Challenger, a Lione.
Ma a gennaio ha cominciato a correre ancor più veloce: a Rio, è diventato il più giovane finalista di un “500” (battuto da Djere), a Indian Wells, ha superato il primo “top ten”, Tsitsipas, a Miami, è diventato il più giovane semifinalista della storia del torneo, a Lione, ha raggiunto la seconda finale Atp (fermato da Paire). E’ stata brusca anche la frenata al Roland Garros, il torneo dello Slam sulla superficie preferita, che Felix ha dovuto saltare per uno stiramento inguinale. Per ripresentarsi sull’erba di Stoccarda e ricominciare a correre, con la terza finale Atp. Verso la vetta. Insieme agli altri Next Gen, così diversi e insieme così simili alla rincorsa del successo.