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A colloquio con il professor Giovani Di Giacomo, da trent'anni responsabile medico atleti per l’Atp e per la Wta durante gli Internazionali d’Italia e le Nitto Atp Finals: "Le genetica gioca un ruolo decisivo negli infortuni, ma limitarne la frequenza si può"
di Ronald Giammò | 12 gennaio 2024
“I frequenti cambi di palle nei tornei non c'entrano niente con i frequenti infortuni a polso, gomito e spalla dei tennisti. Sono problemi che derivano da un sovraccarico funzionale”. Parola del professor Giovanni Di Giacomo, responsabile del reparto di Ortopedia e Traumatologia presso il Concordia Hospital di Roma, dal 1995 Responsabile medico atleti per l’Atp e per la Wta durante gli Internazionali d’Italia e le Nitto Atp Finals.
“Ci sono stati tennisti che più di altri si sono avvicinati alla perfezione meccanica del gesto. Tanto più un giocatore gioca in modo biomeccanicamente corretto, tanto più tardi si manifesteranno in lui le sindromi da sovraccarico funzionale. Se il gesto invece non è perfetto lo si dovrà compensare, giocando molto quel giocatore subirà un sovraccarico e problemi alle articolazioni si manifesteranno prima”.
Quale allora la soluzione?
“Allenarsi in resistenza, conoscere le caratteristiche del proprio corpo e gestire la frequenza dei tornei. Poi il business e lo spettacolo andranno comunque avanti, con uno scenario che in futuro sarà però diverso: meno atleti in grado di rimanere ai primi posti per tanto tempo, e un turnover più rapido al vertice. Lo svantaggio potrebbe essere individuare una figura capace di occupare la vetta per due o tre anni consecutivi, ma dall'altro lato così si offrono ai giovani più possibilità di scalare quella classifica.
Esistono però anche giovani che recentemente sono stati vittima di frequenti infortuni dovuti a un sovraccarico di lavoro svolto in palestra per costruire in fretta un fisico in grado di competere ad alti livelli.
"Sono ragazzi che iniziano a sovraccaricare a 15-16 anni, quando le cartilagini non sono ancora chiuse e con lo sviluppo miotendineo e osseo-articolare non ancora completato. Vanno così incontro a dei sovraccarichi in fase di crescita destinati a cronicizzarsi rappresentando per il soggetto un elemento di disturbo".
E’ una regola che vale per tutti?
"No. Esistono soggetti più predisposti e altri meno. C'è un fattore genetico che rappresenta il 60-70% di incidenza. Esistono atleti che geneticamente nascono con caratteristiche ‘forti’ e anche se giocano biomeccanicamente male hanno tendini forti, un controllo neuro muscolare propriocettivo talmente sviluppato che sono dei carrarmati. Se la formula la si applica a un atleta con tendini più deboli il risultato è diverso".
Trent’anni di attività sul circuito le hanno però offerto una fotografia tale da poter capire quali sono gli errori più frequenti in cui si incappa.
"Sono la persona meno adatta per dirlo. Io vedo il risultato finale di chi paga il prezzo di una preparazione sbagliata e troppo intensa. Da chirurgo cerco di correggere i danni dovuti al sovraccarico, non ne seguo la preparazione. La foto è comunque sempre la stessa: esistono soggetti più predisposti geneticamente di altri. In trent'anni mi è capitato di vedere alcuni giocatori solo un paio di volte e altri una ventina. E lo stesso discorso vale anche per le donne".
Le organizzazioni del tennis hanno provato in questi anni a prendere iniziative globali in tema di prevenzione infortunistica?
"Atp e Wta da ormai quasi trent'anni hanno creato un network di medici a livello internazionale che comunicano settimanalmente aggiornandosi sullo stato di salute dei giocatori. Abbiamo dei protocolli preventivi, riabilitativi e terapeutici tesi ad armonizzare le azioni da intraprendere e lo scambio di informazioni in questo senso è molto importante. E anche la recente decisione presta di concerto da Atp e Wta di ridurre il numero di partite da giocare durante le sessioni serali va in questa direzione".
Agire sulle superfici da gioco aiuterebbe?
"No. Modificare superfici o palle da gioco non avrebbe senso perché se dovessero cambiare cambierebbe anche tutta la statistica storica. Cambiare la composizione delle superfici in terra o in cemento avvantaggerebbe alcuni giocatori piuttosto che altri e si creerebbero altre problematiche. Se ne parla da tempo ma ricordo che quando si vararono le NextGen Finals a Milano con l'intento di sperimentare alcune regole l'esperimento non andò bene. In sintesi, eliminare completamente gli infortuni non si può, ma cercare di avvicinarsi a un equilibrio di concerto con il proprio team che tenga presente caratteristiche genetiche del soggetto, qualità tecnico del gesto atletico e numero di partite giocate aiuta a ridurne la frequenza".