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Djokovic: "Quando pressione e stress aumentano do il meglio"

Rivalità vecchie e nuove, un futuro che per ora non prevede l'ingresso in politica, la forza mentale alla base dei suoi successi e le considerazioni su un circuito in cui in molto faticano a sbocciare. "La battaglia interiore è sempre quella più grande da affrontare"

11 dicembre 2023

Intervistato da Jon Wertheim per la trasmissione "60 Minutes", Novak Djokovic è tornato a riflettere su diversi aspetti e momenti della sua carriera: dalla rivalità con Federer e Nadal fino alla nuova generazione di giocatori capace di far tirar fuori lui il meglio di sé, dalla forza mentale intesa come risultato di un lavoro e non un semplice dono, fino alla precisione che giunto ai 36 anni il serbo continua a curare con maniacale cura.

"I giovani presenti ora sul circuito sono molto affamati e ispisrati nel provare a giocare il loro  miglior tennis contro di me, e questa per me è una motivazione extra. Penso che risveglino la parte migliore di me", ha esordito Nole riferendosi ai suoi avversari odierni, la cui età è più vicina a quella dei suoi figli che alle sue trentasei primavere.

"(Alcaraz, Ndr) è il giocatore più completo che abbia mai visto alla sua età - ha poi ancora aggiunto Djokovic rievocando la sconfitta patita dallo spagnolo nell'ultimo torneo di WImbledon, una sconfitta che secondo Wertheim fece arrabbiare così tanto il serbo al punto di diventare una sorta di nuovo impulso per la sua carriera - Quella sconfitta mi fece arrabbiare così tanto che ho dovuto poi vincere tutto quel che c'era da vincere su suolo americano (ridendo, Ndr). Ma il suo arrivo è stata una grande opportunità per reinventare me stesso e spingermi a lavorare ancora più duramente" 

"Anche se non c'è alcun contatto fisico nel tennis, ci si osserva molto: quando cambiamo campo, quando siamo seduti, e poi ci sono i maxi schermi che ti fanno vedere come il tuo avversario sta bevendo la sua acqua, se sta sudando più del dovuto, il modo in cui respira, come comunica con il suo team. Sono tutti elementi che influiscono sulla performance - ha sottolineato Djokovic parlando di forza mentale e di come negli anni abbia imparato a costruirla - Ci sono diverse tecniche, la respirazione goca un ruolo importante specialmente nei momenti in cui più si avverte la tensione".

"Dentro di te c'è una tempesta ed è sempre quella la battaglia più grande da affrontare. Hai i tuoi dubbi e le tue paure, li avverto in ogni singola partita. E non mi piace quel tipo di approccio che sento ripetere spesso nello sport: pensa positivo, sii ottimista, non dar spazio ai tuoi dubbi, fallire non è un'opzione". E' impossibile".

La memoria di Djokovic è poi corsa al 2019 e alla finale di WImbledon vinta contro Roger Federer dopo esser riuscito ad annullare due match point: "L'ho battuto 13-12 al quinto set. I miei set li ho tutti vinti al tie-break e in generale, se si guarda alle statistiche, lui è stato il miglior giocaore quel giorno in campo in ogni aspetto. Ma fui io a vincere il match. E questo vuol dire che si può vincere anche scegliendo i momenti giusti in cui alzare il tuo livello e giocare il tuo miglior tennis quando più conta".

E poi lo stress, la rincorsa ai titoli che i suoi due rivali andavano sommando, il tutto in condizioni decisamente diverse rispetto a quelle offerte a Federer e Nadal: "Pressione e stress aumentano quando  hai il pubblico contro di te - ha ammesso Djokovic - per la maggior parte della mia carriera ho giocato in ambienti davvero ostili, ma ho imparato a tirar fuori il meglio in quelle condizioni".

Un sentimento che durante la pandemia andò ben oltre il perimetro del rettangolo di gioco: "Sì, fui dichiarato il cattivo e in pratica avevo tutto il mondo contro di me. In campo avevo già provato quel tipo di sensazione, l'avere un pubblico che non tifasse per me, ma in vita mia non avevo mai provato nulla di simile. La gente mi etichettò come No-Vax, ma io non sono né No-Vax né Pro-Vax. Sono per la libertà di scelta".

Infine le ultime riflessioni Djokovic le ha condivise su alcuni aspetti del suo sport che a suo dire potrebbero essere gestiti meglio e sull'influenza sempre maggiore che il serbo sta riscuotendo sul circuito, un antipasto di un futuro che potrebbe vederlo coinvolto sullo scenario politico del suo paese: "Ho molto più di ciò di cui ho bisogno. Ma i colleghi e le colleghe intorno al n.200 del mondo faticano davvero tanto: non possono permettersi un coach, non possono permettersi di viaggiare, sono costretti a saltare dei tornei e molti di loro sono atleti ricchi di talento e, chissà, capaci un giorno di conseguire grandi traguardi. Solo che non ce la fanno".

"Io non ho alcuna ambizione politica al momento - ha dichiarato ancora il nativo di Belgrado - non penso sia un ambiente in cui io possa fare una differenza. Penso però che la mia popolarità nel paese possa essere usata in modi diversi così da poter dare il mio contributo alla società". 

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