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La Via Crucis di re Alcaraz è la preparazione ideale agli US Open?

Da Djokovic a Djokovic: dalla trionfale finale di Wimbledon a quella di Cincinnati, il numero 1 vince soffrendo, salvando anche match point contro Hurkacz. Ma il suo morale cresce…

di | 20 agosto 2023

L'esultanza di Carlos Alcaraz a Cincinnati (Getty Images)

L'esultanza di Carlos Alcaraz a Cincinnati (Getty Images)

Il bello del tennis è che ti dà sempre un’altra possibilità, già da domani, con un altro torneo, altre partite, altre situazioni. Peccato che sia anche il brutto del tennis. Così, Carlos Alcaraz, il bambino d’oro che ha abbattuto a sorpresa anche i record di precocità dell’idolo e connazionale, il mitico Rafa Nadal, mettendosi la corona di numero 1 del mondo da più giovane di sempre e conquistando già, 20 anni, due Slam in due finali, sta scoprendo giorno dopo giorno che anche gli altri gladiatori dell’ATP Tour cercano proprio contro di lui quell’altra possibilità, quell’altro torneo, quelle altre situazioni per rilanciarsi.

E il formidabile atleta di Murcia, a sua volta, sperimenta sula propria pelle i loro sacrifici, i loro sforzi, i loro studi al video tape e poi in allenamento per neutralizzarlo in partita. Così, dopo la memorabile finale di Wimbledon, dov’ha disarcionato l’ultimo dei Fab Four, Novak Djokovic, proprio dal suo feudo e sulla prediletta distanza dei 5 set, sta lottando con le unghie e coi denti per imporsi contro praticamente tutti. A cominciare con se stesso. Nella lunga rincorsa verso il bis agli US Open dell’anno scorso.

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MACCHINA DA GUERRA

Dopo aver scartato come allievo anche un talento di prima qualità come il viziato e negligente Sasha Zverev, coach Juan Carlos Ferrero ha trovato in Carlitos un soggetto sicuramente predisposto sia di fisico che di testa dai geni di papà Carlos Alcaraz González, che nel 1990 è arrivato al numero 963 del ranking ATP ed era fra i top 40 di Spagna.

Ma, inserendo sempre elementi nuovi nella sua strabiliante macchina da guerra del tennis, nell’esaltarne la pericolosità, ha aumentato anche il coefficiente di difficoltà della sua governabilità. Soprattutto dell’esatta scelta del bottone da premere nelle varie situazioni tattiche.

 

Così, fors’anche per essersi appesantito ultimamente di altri muscoli, il ragazzo ha perso un po’ di fluidità e quel pizzico di reattività. O forse, semplicemente, è diventato meno imprevedibile nei suoi schemi-base e, nel pescare fra le mille frecce della sua magica faretra, qualche volta sbaglia dardo, qualche volta ci mette un attimo di troppo a tirarlo fuori, e qualche altra volta non lo trova proprio.

E, sempre più disperato, si rivolge continuamente allo scienziato che l’ha creato, istaurando prima e dopo a ogni colpo un indispensabile e ininterrotto rapporto telepatico con la tribuna. Tanto che Juan Carlos, a sua volta ex numero 1 del mondo e campione Slam, ha anche tentato di alleggerire se non tagliare il cordone ombelicale, lasciandolo nelle sapienti mani di Antonio Martínez Cascales, la sua guida di sempre insieme quand’era giocatore e tuttora nella conduzione della sua Academy. Ma i risultati, al rientro sul Tour, a Toronto, dopo la sbornia di Wimbledon, non sono stati eccezionali, anzi, Carlitos si è incartato ed ha avuto anche le prime reazioni rabbiose di sempre sul campo.

IL PERCORSO DIFFICILE DI ALCARAZ A CINCINNATI

Come tutti, più di tutti, viste le percentuali di successo, Alcaraz vuole imporre il proprio gioco, vuole scegliersi i tempi e vuole decidere quando e dove spingere. A Toronto, contro il potente uno-due, servizio-dritto, sommato al continuo attacco della rete per chiudere la volée del coetaneo Ben Shelton, Carlitos è rimasto basito: “Non mi dava ritmo e colpiva davvero forte”.

E l’ha spuntata soffrendo con l’ausilio di un tie-break. Subito dopo, contro il gran battitore Hubert Hurkacz, che già aveva superato a malapena a Miami con due tie-break, ha dovuto vincere due volte il terzo set, prima di concludere la rimonta per 3-6 7-6 7-6. E quindi contro Tommy Paul che tanto gli dà fastidio come incontrista che gli rimanda come un boomerang le sue portentose pallate, s’è arreso già ai quarti, peraltro per il secondo anno di fila nel Masters 1000 canadese contro l’americano recuperato da coach Stine.

 

Djokovic vs Alcaraz, la grande sfida in immagini

DJOKOVIC, L'ESAME DA BRIVIDO PER ALCARAZ

Subito dopo, a Cincinnati, vuoi per il vento, vuoi per la velocità della superficie che mal si combina con le palle particolarmente molli, vuoi per le cause che si concede, il numero 1 del mondo non è mai riuscito ad imporsi in due set. Ha perso il secondo d’acchito con Jordan Thompson, s’è riscattato contro Paul, ma dopo aver recuperato 4 volte il break nel primo set, dopo aver mancato 3 match point nel secondo, perso al tie-break a zero, avvantaggiandosi poi decisamente forse solo grazie a uno stop per pioggia.

Come con Shelton la settimana scorsa in Canada, anche in Ohio ha quindi accusato la oppressione dell’attaccante classico Max Purcell, cui ha concesso il primo parziale. E contro Hurkacz, dopo aver perso netto il primo set (abbandonato dal servizio e con le idee confuse), ha patito le pene dell’inferno, salvando un match point sul 2-6 4-5, mancando bel 10 palle break e poi infilando 6 punti consecutivi sull’1-4 del tre-break, prima di diventare finalmente padrone del campo e imporsi per 2-6 7-6 6-3. Il bicchiere è mezzo pieno, considerando che in 4 partite è rimasto in campo ben 10 ore e 39 minuti ma è comunque riuscito a cavarsela? Psicologicamente s’è rafforzato: l’ottava finale stagionale gli garantisce di rimanere numero 1 del mondo a prescindere dall’esito del match decisivo contro Novak Djokovic. Che, a sua volta, si presenta ben più fresco e sicuro alla rivincita di Wimbledon ma non ha affrontato ostacoli davvero impegnativi .

ASSO NELLA MANICA

Forte del lavorìo anche mentale del suo coach/mentore, Carlitos si sente comunque più forte dopo le tante battaglie mentali di questa settimana: “Sono molto cresciuto proprio grazie a queste partite”. Almeno, contro Nole I di Serbia sa esattamente che cosa attendersi e sa che non può concedersi le distrazioni e i cali di intensità che si concede contro avversario di altra caratura, che ha già battuto. E magari, a ben guardare, questa Via Crucis verso gli US Open di New York al via lunedì 28 è la preparazione ideale per le battaglie che l’attendono lì dove sarà sempre più il bersaglio di tutti.

 

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