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L'attrezzatura del campione

I bolidi di Matteo e Hubi ai box: ecco le racchette della sfida

Grazie a Marco Rossani, primo incordatore italiano a Wimbledon, siamo entrati nelle “station” di Apollo Leisure, stringer ufficiale dei Championships e abbiamo potuto vedere da vicino gli attrezzi preparati per la semifinale tra Berrettini e Hurkacz

di | 09 luglio 2021

Marco Rossani a Wimbledon con le racchette di Matteo Berrettini

Marco Rossani a Wimbledon con le racchette di Matteo Berrettini

Matteo Berrettini contro Hubert Hurkacz, semifinale dei Championships di Wimbledon 2021: una grande sfida tra uomini con la racchetta. Uomini grandi, tra l’altro: entrambi alti un metro e 96 centimetri, entrambi molto potenti (Matteo ha un peso forma di 95 kg, “Hubi” è più sottile, 81 kg).

Le loro racchette, che sono il terminale tra il gesto e l’impatto con la palla, devono supportare (e sopportare) tanto scarico di energia trasferendolo alla palla e possibilmente valorizzandolo, in termini di potenza, velocità e precisione.

Telai e corde sono un po’ come telai e gomme delle vetture di F.1: studiati e tarati per rendere al massimo su ogni tipo di percorso, in questo caso l’erba di Wimbledon.

Andiamo allora nei box a osservarli da vicino questi “bolidi” cui entrambi i giganti che oggi si disputano un posto nella finale più prestigiosa del tennis si affideranno per vincere la corsa.

A farci da guida è anche quest’anno Marco Rossani, il primo italiano ad essere stato inserito ufficialmente nel team di Apollo Leisure, incordatore ufficiale del torneo di Wimbledon, oggi accompagnato dai colleghi Giancarlo Sparla e Paolo Facci. Rossani, che è anche il responsabile del team degli stringer agli Internazionali BNL d’Italia, quest’anno ha la “station n.8” all’interno della grande struttura riservata agli incordatori (18 in tutto), un’inedita stanzetta tutta sua, con le pareti trasperenti, creata per le regolamentazioni anti-Covid.

E da lì si è occupato per tutto il torneo delle Head Extreme Pro di Matteo Berrettini, che Vincenzo Santopadre gli ha consegnato con cadenza quotidiana a gruppi di 3 per volta.

La racchetta, che avevamo avuto modo di studiare da vicino già agli Internazionali d’Italia e al Sardegna Open, customizzata per lui pesa finita 352 grammi, con bilanciamento a 33 cm e rigidità elevata: 72 RA. L’inerzia, cioè l’attitudine alla spinta, è: 327 kgcm2. Il piatto è da 100 pollici quadrati e il profilo varia, a seconda della zona dell’ovale, da 22 a 26 a 20mm. Il pattern d’incordatura è un 16x19 e Matteo la fa incordare con sintetico monofilamento Signum Pro Firestorm, calibro 1,30 a quattro nodi (cioè con due spezzoni di corda).

Quello che cambia di volta in volta, a seconda della superficie di gioco, del tipo di palla utilizzata e delle condizioni climatiche è la tensione: per i tre telai che Marco Rossani ha preparato per le 10.00 di stamattina la richiesta è stata di 22kg sia per le verticali che per le orizzontali, un valore medio-basso.

Interessante notare infatti che sulla terra battuta di Cagliari, al suo rientro (in doppio) dopo l’infortunio agli Open d’Australia Matteo chiedeva 24 per le verticali e 23 per le orizzontali. Un piatto più “duro”, dunque più votato al controllo. Ora evidentemente vuole enfatizzare la spinta e lo fa anche rispetto a due anni orsono, quando sull’erba di Wimbledon faceva tensionare il suo piatto a 23/22kg. Un chilogrammo in più sulle verticali.

Di fatto, con queste caratteristiche, la sua Exteme Pro è un bel cannone. Matteo è un gran bomber ma ha scelto anche un attrezzo che aggiunge potenza a quella già elevatissima del suo utilizzatore.

Può essere interessante notare che Berrettini usa la stessa racchetta che ha portato al successo il suo attuale manager, il croato Ivan Ljubicic. “Ljubo “ è stato addirittura protagonista dello sviluppo di questo attrezzo in collaborazione con gli ingegneri del laboratorio Head a Kennelbach, in Austria. Quando venne ingaggiato nel team (per sostituire Andre Agassi che andava in pensione…) chiese che venisse sviluppata per lui la racchetta più potente possibile e lavorò per mesi fino all’ottenimento del risultato. Con quell’attrezzo raggiunse nel 2006 il suo best ranking: n.3 del mondo alle spalle di Roger Federer e Rafael Nadal.

Veniamo ora al bolide di Huber Hurkacz, 24 anni da Wroclaw. L’incordatore è nella “station n.6” e si chiama Mark Goodman, da anni riferimento di Yonex nel team di Apollo Leisure.

Il “pacchetto” che “Hubi” (questa è la serigrafia che il polacco ha chiesto nel cuore delle racchette) è da 6 telai, che il polacco vuole pronti per le 11.00.

La racchetta è una Yonex VCore Pro 97 330 (quest’ultimo dato sono i grammi del telaio di serie senza le corde). Il piatto corde è da 97 pollici quadrati (dunque un po’ più piccolo rispetto a quello di Berrettini), il pattern d’incordatura 16 per 19.

L’inerzia, 332 punti, è di poco superiore a quella della Head di Berrettini (dunque anche questo attrezzo ha buona attitudine alla spinta) ma il profilo molto più sottile (20 mm, costante) e la minor rigidità (65 punti RA contro 72 RA), dicono che la racchetta è molto più votata al controllo rispetto a quella dell’azzurro.

Molta attenzione, come ovvio, all’incordatura che è un ibrido: sintetico monofilamento Solinco Tour Bite sulle verticali e budello naturale Babolat VS Touch sulle orizzontali. Hurkacz è talmente attento alla taratura della sua racchetta che chiede un Pre-Stretching di entrambi gli spezzoni di corda, del 10%. Detto con parole più semplici: chiede all’incordatore di dare una tiratina alla corda, pre-stirarla appena appena, prima del montaggio in modo da limitare al minimo il naturale calo di tensione che i filamenti hanno nelle ore successive al montaggio, anche senza giocare.

La tensione richiesta è di 22,5 kg sia per le verticali che per le orizzontale, il che rende il piatto (ricordiamo, più piccolo di quello della Head di Berrettini) un po’ meno flessibile di quello dell’italiano, dunque più “controlloso”.

Per finire, la scelta comune: sia Matteo che Hubi utilizzano un overgrip (nastro sottile che il giocatore avvolge sopra il grip montato di serie) particolare, molto assorbente e dal feeling unico: lo si riconosce dal colore blu ed è il Tournagrip, portato al successo dallo statunitense Pete Sampras, 7 vittorie a Wimbledon tra il 1993 e il 2000. Un altro campione dal servizio devastante. Forse, quindi, l’analogia non è casuale.

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