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Secondo successo stagionale di Jelena Ostapenko che a gennaio è tornata fra le top 10 dopo cinque anni. Litigiosa e dal gioco a una dimensione, sta davvero imparando a perdonarsi dopo un errore?
di Vincenzo Martucci | 07 febbraio 2024
Troppo precoce, troppo veloce, troppo estroversa, troppo offensiva, troppo prepotente, troppo scorbutica, troppo individualista, troppo totale. Troppo. Jelena Ostapenko si riassume in un avverbio di quantità. Dall’immensa esplosione, col mega trionfo al Roland Garros 2017, col corollario di tanti record: obiettivo raggiunto ad appena 19 anni, prima atleta della Latvia ad entrare nell’Olimpo del tennis e prima non testa di serie ad espugnare la sacra terra rossa di Francia dal 1933.
Che poi in realtà tanti l’attendevano anche a livello WTA Tour dopo il titolo a Wimbledon juniores 2014. Dalla grande scalata in classifica, subito top 10, fino al numero 5-record del 2018, alla consistente ed eclatante discontinuità di risultati, con qualche acuto e tante cadute, con la costante di troppi litigi e polemiche con le avversarie. Fino alla nuova esplosione di gennaio col ritorno dopo 5 anni fra le prime 10, grazie al successo di Adelaide che ha appena doppiato a Linz, ottavo urrà della collezione, cui aggiungerne altri 7 di doppio (con due finali Slam, una di misto).
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Jelena da Riga, figlia un calciatore e di una tennista, ha praticato tanti sport deviando all’ultimo sulla racchetta quando sembrava avviata verso il ballo da sala, in realtà è per tutti Alona. Ma quel nome non era riconosciuto all’anagrafe del suo paese.
Con quel piglio da maschiaccio impertinente e incorreggibile, quei modi spesso bruschi e irriverenti, a 26 anni, alla premiazione in campo, ha mostrato fiera il tabellone del torneo austriaco col netto 6-2 6-3 in appena 70 minuti sulla numero 2 del torneo, la ostica Ekaterina Alexandrova.
Mirando e rimirando estasiata il singolare trofeo tempestato di 8,100 cristalli di Swarovski. “Cinque anni fa in finale avevo perso, il premio di quest’anno è molto più carino”.
Molti, vedendola ondeggiare fra set regalati e reazioni smodate, l’avevano etichettata come “one Slam wonder”, la vincitrice di un solo Slam. Figura comune nel tennis donne. Con quel gioco a una sola dimensione, tutta velocità ed attacco, colpi che baciano le righe o atterrano appena oltre, l’anno scorso aveva comunque dato segni importanti di ripresa toccando i quarti Slam sul cemento di Melbourne e New York.
“Sto lavorando molto sul controllo delle emozioni. Mi arrabbio troppo con me stessa quando sbaglio o manco le occasioni. Devo perdonarmi e sostenermi di più, dimenticare l’ultimo punto e pensare subito al prossimo”. Spiegava al via della stagione, sempre intransigente - alla Camila Giorgi - sulla strada tattica preferita. “Non devo cercare un piano B, devo tirare e tirare anche più forte e più ancora, se posso. Piuttosto devo essere più leggera e determinata, mai frenata”.
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Pazzerella com’è, Alona litiga spesso con l’Occhio di falco. “Anche lui sbaglia, se potessi decidere tornerei al vecchio sistema di arbitraggio. Il campo è più bello se è pieno di gente, e così si toglie il lavoro ai giudici di linea”. Ma litiga spesso anche coi giudici di sedia, per qualche chiamata dubbia, per qualche intervento impreciso degli arbitri, ma più spesso per i propri atteggiamenti discutibili.
A gennaio a Brisbane nei quarti contro la bielorussa Azarenka sul 4-4 del terzo set ha perso la testa per quello che aveva visto come un doppio rimbalzo - e in realtà si sbagliava - e ha urlato all’arbitro di sedia, la norvegese Julie Kjendal: “Sei cieca. E’ impossibile giocare con te perché commetti tanti errori. Non ti voglio più vedere a un mio match”. Poco amata dalla classe arbitrale, non è amatissima nello spogliatoio.
Anche una giocatrice notoriamente corrette come l’australiana Ajla Tomljanovic, a Wimbledon 2021, l’accusò di aver finto un infortunio, sotto 4-0 al terzo set, dopo aver perso 7 game di fila, quand’aveva chiamato un indispensabile - ma infruttuoso - medical time-out. ”Ha comportamenti vergognosi per un campione del Grande Slam”. Spesso non accetta la sconfitta come dovrebbe: “Sono orgogliosa, voglio sempre vincere”.
E invece di complimentarsi con la vincitrice, sottolinea più spesso che ha regalato lei il match o accusa gli organizzatori di aver favorito la rivale (Coco Gauff agli ultimi US Open). Di certo non indietreggia davanti al pubblico ostile che poi bacchetta senza paura al microfono in campo, come l’anno scorso a Miami dopo aver battuto Haddad Maia e la sua folta tifoseria. “Con me non ci si annoia mai in campo, è questo ciò che piace ai tifosi”, proclama sincera. Quasi invitando a una carrellata di suoi match su You-Tube da capogiro, con talmente tanti su e giù e match ormai quasi persi e recuperati per i capelli, e viceversa. “Penko”, che adori da sempre Martina Navratilova, e sogni la notte la sua magica volée, “per evitare problemi e fatica”, sei davvero troppo.
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