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Wheelchair

I 344 titoli di Martin Legner, leggenda vivente del wheelchair

Al Camozzi Open di Brescia è tornato al successo in singolare (dopo quasi 3 anni di digiuno) l’austriaco Martin Legner, fenomeno del tennis in carrozzina. Un prodigio di tattica, capace in carriera di vincere 344 titoli internazionali e di partecipare a otto Paralimpiadi. A quasi 61 anni non molla: “Vado avanti fino a quando mi diverto”

15 giugno 2022

Per uno come lui, da sempre abituato a vincere a ripetizione, non dev’essere stato facile stare quasi tre anni e 33 tornei senza un solo titolo in singolare, a combattere sia con la carta d’identità sia con rivali sempre più giovani e agguerriti, ma Martin Legner non si è arreso. L’austriaco ha continuato a viaggiare e a mettersi in gioco, come negli ultimi trent’anni, e domenica a Brescia ha visto i suoi sforzi ripagati nell’ottava edizione del Camozzi Open – Memorial Cav. Attilio Camozzi, il torneo Itf Futures di tennis in carrozzina organizzato da Active Sport, di nuovo in calendario dopo due anni di stop a causa della pandemia.

È tornato il torneo ed è tornato lui, con la sua vecchia abitudine di essere fra i primi ad arrivare e l’ultimo ad andare via. L’ha fatto, a bordo della sua Tesla bianca, con adagiati sul sedile del passeggero i titoli numero 343 e 344 di una carriera leggendaria, che l’ha reso uno dei mostri sacri del wheelchair. Nella storia della disciplina nessuno ha vinto quanto lui e nessuno è durato ad altissimi livelli quanto lui, protagonista – come nessun altro – in otto edizioni consecutive delle Paralimpiadi, da Barcellona 1992 (quando il tennis in carrozzina è entrato nel programma) a Tokyo 2020, la scorsa estate. Non ha mai vinto una medaglia, sfiorando il bronzo a più riprese, ma di soddisfazioni in carriera se n’è prese comunque a non finire.

Vederlo in azione è una lezione di tattica e geometria applicata allo sport: non è il più veloce nei movimenti, non è il più potente, non è il più preparato fisicamente e nemmeno il più fine dal punto di vista tecnico, eppure a 60 anni compiuti continua a ritoccare la lunga lista di trionfi. E di smettere col suo sport preferito non ne vuole sapere. “Hanno iniziato a chiedermi quando avrei smesso dopo la mia prima Paralimpiade nel 1992 – ha raccontato –, eppure sono ancora qua. Ho sempre detto che avrei giocato fino a quando mi sarei divertito a farlo, la mia risposta rimane la stessa di sempre”.

Vuol dire che continua a provare soddisfazione nel giocare e vincere, mandando ai matti rivali talvolta di oltre quarant’anni più giovani, grazie alla sua enorme esperienza e a una visione di gioco da tramandare ai posteri. “Ma per me il tennis – precisa – non significa solo giocare sul campo. Il nostro è uno sport molto sociale: giro per il mondo, affronto gente di ogni età, da qualsiasi paese e alla sera spesso ci sediamo tutti insieme al ristorante, per cenare in compagnia. Nella mia carriera ho conosciuto migliaia di persone diverse e continua a piacermi tantissimo ciò che faccio. Anche per questo continuo a giocare tantissimi tornei”.

La sua activity sul sito dell’ITF lo conferma: malgrado l’età rimane uno dei più impegnati, come lo è stato per tutta la carriera, iniziata nel 1989. L’anno prima, un incidente col parapendio lo obbligò alla sedia a rotelle.

Da ragazzo sognavo di fare il calciatore o lo sciatore – continua –, poi la mia vita è cambiata ma non mi sono mai fermato. Quando ho avuto l’incidente non credevo che su una sedia a rotelle si potessero comunque praticare così tante attività. Invece già durante il periodo di riabilitazione mi fecero provare il basket, lo sci e anche il tennis. Mi piacevano tutti, ma per il tennis ho provato un’attrazione particolare. Perché mi permette di giocare anche contro dei normodotati e perché è uno sport completo: serve potenza, serve tecnica, serve preparazione atletica. Quando ci sono tutte queste componenti, la testa fa la differenza”.

In realtà trent’anni fa Legner provò la carriera anche nello sci alpino sitting (da seduti), conquistando addirittura la qualificazione per le Paralimpiadi invernali del 1992 ad Albertville. “Ma due settimane prima – dice – mi ruppi entrambe le gambe durante una gara in Germania, così non riuscii a partecipare. Da lì in poi decisi che avrei continuato solo col tennis: è uno sport globale, non solo per chi vive sulle montagne”. Una rinuncia che gli ha permesso di concentrarsi per diventare un fenomeno.

Il suo primo titolo in singolare è arrivato nel 1992 a Londra, in doppio due anni dopo in Austria. Oggi la conta dice 83 successi individuali, con un best ranking al numero 3 della classifica, e la bellezza di 261 titoli in doppio, disciplina nella quale la sua intelligenza tattica diventa ancora più determinante. Infatti è stato numero uno del ranking, ha vinto otto Slam (sei Australian Open, due Roland Garros) e conquistato titoli del circuito ITF in oltre venti nazioni diverse.

Domenica al Tennis Forza e Costanza 1911 di Brescia ha vinto per la settima volta consecutiva, la quinta insieme al polacco Tadeusz Kruszelnicki, altro gigante del tennis in carrozzina nonché avversario un paio d’ore prima nella finale del singolare, vinta per 3-6 6-4 6-4.

“Credo che il doppio – dice ancora Legner – possa essere la miglior promozione possibile per il tennis in carrozzina, perché regala grandi scambi e molto divertimento. E anche perché giocatori con disabilità più gravi riescono comunque a competere anche contro i più forti. In singolare, invece, al giorno d’oggi gli scambi sono molto più brevi, a causa della grande potenza di certi giocatori. Negli ultimi trent’anni ho sempre sostenuto che sarebbe stato giusto prestare più attenzione al doppio, anche in termini di montepremi”. Non l’hanno ascoltato, ma ha continuato per la sua strada e lui, di importanza al doppio, gliene ha data eccome.

Martin Legner con l'olandese Robin Ammerlaan, compagno nel successo del 2006 all'Australian Open

Legner ha attraversato quasi tutta la storia del tennis in carrozzina: dai primi anni, quando le sedie a rotelle da gara erano sostanzialmente le stesse utilizzate nella vita quotidiana, fino ai giorni nostri, nei quali la tecnologia ha rivoluzionato il gioco.

C’è stata una crescita continua, che ha reso le attrezzature sempre migliori. I giocatori si muovono molto meglio, quindi arrivano meglio sulla palla e diventa più facile colpire. In generale il livello della competizione si è alzato tantissimo, con molta più potenza e scambi più brevi. Il gioco non è mai stato così atletico. Ci sono tantissimi tennisti in grado di competere ad alti livelli (il ranking mondiale guidato dal giapponese Shingo Kunieda ne conta 440, ndr), quindi emergere è sicuramente più complicato rispetto a quando ho iniziato io”.

Eppure lui è sempre lì: non lotta per i titoli più prestigiosi come gli riusciva anni fa, ma rimane un signor giocatore, oggi al numero 32 della classifica. “Un tempo ero più giovane, riuscivo a spingere più forte la carrozzina e i miei occhi funzionavano meglio. Quando invecchi, invece, diventa tutto più difficile”. Quindi, dove sta la ricetta per la competitività eterna? Nella mia mente, quella è ancora giovanissima. Il segreto è tutto lì. Unito a una passione sconfinata per quella racchetta che lo accompagna da tutta la (seconda) vita.


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