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Quando lo Us Open diventa un tabù (anche per i migliori)

L’ultimo Slam stagionale è certamente unico nel suo genere e fa storia a parte rispetto agli altri Major. Molti tennisti non lo amano proprio per questa sua caratteristica: troppo rumoroso, troppo caldo, troppo tutto. Per Bjorn Borg fu un problema irrisolto, che lo portò al ritiro. Per altri big semplicemente è stato un torneo troppo difficile

26 agosto 2024

Assordante, scomposto, distratto, maleducato, a volte travolgente. No, non stiamo parlando del clima che si respira a un concerto rock ma del pubblico dello Us Open. Avete presente le dolci fragoline con panna degustate di fronte all’erba londinese? Ecco, lasciate perdere. Perché l’ultimo Slam stagionale è certamente unico e fa storia a parte. Molti tennisti non lo amano proprio per questa sua caratteristica: troppo rumoroso, troppo caldo, troppo tutto.

L’immenso catino dell’Arthur Ashe, il campo principale del complesso di Flushing Meadows che contiene fino a 23 mila spettatori, diventa spesso una bolgia da tifo calcistico. Soprattutto quando gioca un beniamino di casa. Come Frances Tiafoe, che non a caso ne è semplicemente entusiasta: “Gli spettatori dovrebbero muoversi e parlare durante le partite. Immaginate di andare a un match di basket e starvene in silenzio: assurdo”. "Il rumore è tutto all’interno - sembra replicare Rafa Nadal -, non riuscivo nemmeno a sentire la pallina mentre la colpivo. Va bene che si tratta di uno show, ma bisognerebbe essere un po’ più rigidi al riguardo”. Questione di punti di vista, insomma.

Un primo piano di Rafael Nadal (foto Getty Images)

E il rumore non è l’unico ostacolo alla performance dei giocatori. Spesso ci si mette anche il caldo. Un esempio su tutti? Lo scorso anno, durante un cambio campo, è stato il 28enne Daniil Medvedev a pronunciare una frase choc, puntualmente catturata dalle omnipresenti telecamere: "Un giocatore morirà e poi vedranno”. L’attuale numero 5 Atp, quel giorno ha avuto bisogno di cure mediche e di un inalatore durante la partita disputata contro il connazionale Rublev a oltre 30 gradi e in condizioni di forte umidità. Il tetto dell'Arthur Ashe Stadium in quel momento era parzialmente chiuso per proteggere i giocatori dalla luce del sole, ma entrambi finirono stremati. 

Con temperature del genere, il Billie Jean King National Tennis Center si trasforma in un forno, al punto che c’è chi ha scritto che “sui tetti dei treni fermi sui binari alle spalle del Louis Armstrong Stadium si sarebbero potute cuocere frittate, poggiando tuorli d’uovo”. Gli esperti hanno definito “brutale” la situazione. Tanto che la direzione del torneo ha inserito per le donne un break di dieci minuti tra il secondo e il terzo set ed uno per gli uomini tra il terzo e il quarto.

Insomma, l’ultimo Slam dell’anno rappresenta una prova molto complicata per quei giocatori che inseguono un successo capace di dare un significato ad una intera carriera: pensiamo a quei giocatori che, negli anni recenti, non si sarebbero più ripetuti, come Thiem, Cilic o Del Potro, ma anche suggellato la carriera di un campione come Andy Murray o aperto il percorso di Carlos Alcaraz.

Ma se negli anni il torneo della Grande Mela ha incoronato campioni senza tempo, ha saputo anche versare amaro fiele su atleti leggendari, capaci di conquistare la vetta del circuito mondiale ma mai di alzare il trofeo statunitense. Su tutti, l’incredibile vicenda di Bjorn Borg che allo Us Open ha giocato spesso da favorito ma non l’ha mai vinto. Nonostante quattro finali, gli infortuni e un certo John McEnroe hanno lasciato un profondo cratere nella sua luminosa carriera.

Correva l’anno 1981, in sostanza l'ultimo nella prima parte della sua vicenda sportiva: dopo aver vinto il sesto Roland Garros battendo Ivan Lendl, l’Orso svedese torna in finale a New York contro McEnroe. La vigilia è condizionata dalle minacce di morte ricevute proprio da Borg, tanto che in finale un agente di polizia rimane in campo per tutta la partita. Un McEnroe ispirato e aggressivo toglie l’iniziativa a Borg che insolitamente sbaglia tanto e si arrende col punteggio di 4-6 6-2 6-4 6-3. Dopo quella sconfitta, Borg cade preda della depressione e si ritira a soli 26 anni, due stagioni più tardi. Forse non lo sapeva neanche lui, ma quella finale fu anche la sua ultima partita in uno Slam se si esclude l’inutile ritorno del 1991. 

Jim Courier

Fra i tennisti che hanno conosciuto la gloria dell’Olimpo del ranking Atp ma che non sono riusciti ad alzare il trofeo dell’Open degli Stati Uniti, Bjorn Borg non è certo l’unico. C’è Jim Courier, per esempio: n.1 nel 1992 e sconfitto nettamente in finale l’anno precedente contro Stefan Edberg (6-2 6-4 6-0). Anche Thomas Muster, al vertice nel circuito nel 1996, non ha mai conquistato il trofeo a Flushing Meadows, ma qui le motivazioni sono chiare, vista la predilezione dell’austriaco per i campi in terra battuta. Discorso analogo per il fuoriclasse cileno Marcelo Rios che fu n.1 Atp nel 1998 ma non andò mai oltre i quarti di finale a New York (1997).

Un altro numero uno (nel 1999) amante del mattone tritato che non ebbe fortuna allo Us Open è Carlos Moya: per lui una semifinale nel 1988. Nel 1999 anche il russo Evgenij Kafelnikov sali più in alto di tutti in classifica ma si dovette fermare in due occasioni in semifinale nel 1999 e nel 2001. Nel 2000 arrivo al n.1 l’amatissimo brasiliano Guga Kuerten che non andò mai oltre i “quarti” nel ’99 e nel 2001.

Nel 2003 arrivo in vetta l’attuale coach di Carlitos Alcaraz, Juan Carlos Ferrero, che proprio quell’anno andò vicino al trionfo quando perse in finale in tre set da Andy Roddick. Per ritrovare uno spagnolo alzare la coppa allo Us Open - dopo Manuel Orantes nel 1975 - bisognerà attendere l’avvento di Rafa Nadal che vinse il torneo per la prima volta nel 2010 (2013, 2017 e 2019 gli altri suoi successi).

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