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Padel

“El lobo” Juan Lebron, il volto del padel moderno

Se Fernando Belateguin è l’icona del padel, Juan Lebron è simbolo del gioco al giorno d’oggi: potenza, intensità, copertura del campo e tanto spettacolo per chi guarda. E pensare che voleva fare il calciatore, poi si è lasciato trascinare dalla passione di papà, ed è diventato il primo spagnolo a salire al numero uno. Il segreto? Tantissimo allenamento, le sedute col mental coach e… la musica

di | 15 giugno 2021

Juan Lebron è l’uomo che ha rivoluzionato il padel contemporaneo più di chiunque altro. Non solo perché è diventato il primo spagnolo della storia a salire al numero uno del ranking mondiale, interrompendo il dominio degli argentini, ma anche  – o soprattutto – perché ha sostanzialmente stravolto la legge non scritta secondo la quale il giocatore di destra deve costruire il punto, per fare in modo che il compagno (di sinistra) lo possa chiudere. Lui e il suo partner Ale Galan, invece, fanno (bene) entrambe le cose, accelerando da ogni posizione e togliendo ai rivali ogni punto di riferimento. È quella la chiave dei loro successi, già tre nei cinque tornei del 2021, in attesa di vederli finalmente di fronte a Fernando Belasteguin e Sanyo Gutierrez, che si sono presi entrambi i tornei abbandonati anzitempo dalla coppia spagnola.

Malgrado l’icona del padel resti “Bela”, e il ranking – in virtù dei punti del 2019, ancora validi per la riforma della classifica figlia della pandemia – veda Ale Galan nel ruolo di numero uno, il volto simbolo del padel di oggi non può che essere quello di Lebron, l’uomo che fa sembrare facile ciò che per i comuni mortali viene difficile anche solo da pensare. Tipo spedire la palla in tribuna da ogni angolo del campo, anche quando la logica (e a volte persino la fisica) suggerirebbe di fare altro. Ma a lui viene bene così, da sempre, da quando a otto anni ha lasciato il calcio per buttarsi nel mondo del padel, passione di papà. Ci ha azzeccato: il fratello Manu ha continuato col pallone diventato un calciatore, ma milita nella quarta serie del calcio spagnolo (nel Club Deportivo Rota), mentre lui ad appena 26 anni ha già nel palmarès 14 titoli del World Padel Tour, con buone chance di moltiplicarli per due, o anche tre o quattro.

“Campioni si nasce? No, si diventa. A calcio – racconta – non ero male, ma mi affascinava di più il padel. Ho iniziato a otto anni. Al tempo era tutto diverso: i campi, le pale e la diffusione di questo sport, ma ora è diventato molto conosciuto. E lavorando giorno dopo giorno sono riuscito ad arrivare in alto. Ma non è mai finita: continuo ad alzare ogni mattina felice di allenarmi: è solo così che si riesce a rimanere ad alti livelli”.

Si può dire che la sua carriera sia iniziata quando a 17 anni ha scelto di lasciare la sua città (Puerto de Santa Maria, in quell’Andalusia a lui tanto cara che sulla schiena, accanto alla bandiera giallorossa della Spagna, ha anche quella bianca e verde della sua regione d’origine) per trasferirsi a Madrid, dove potersi confrontare quotidianamente con giocatori abituati a certi livelli. Aveva già vinto tantissimo fra i giovani, ma voleva di più. “È stata una decisione durissima, presa insieme a tutta la mia famiglia. In quel momento sentivo che era la cosa giusta da fare”. La storia gli ha dato ragione, e oggi “El lobo” (il lupo, come è soprannominato) è uno dei giocatori più invidiati del pianeta. “Merito delle tantissime ore di allenamento – precisa –, e anche del lavoro con uno psicologo. Il padel è tutta la mia vita”.

Lebron ha iniziato ad affacciarsi ai tornei del World Padel Tour già nel 2013, anno di nascita del circuito come lo conosciamo oggi, ma ha dovuto aspettare fino al 2019 per conquistare un titolo. Prima ha fatto esperienza, in particolar modo accanto a due leggende del gioco come Gabriel Reca e Juan Martin Diaz (“sarò sempre grato a entrambi per quello che hanno fatto per me”), poi ha ricevuto la chiamata di Paquito Navarro e insieme a lui ha cambiato dimensione alla sua carriera.

Due stagioni fa la coppia ha vinto cinque titoli insieme, i primi di Lebron, che nel novembre di quell’anno è salito al numero uno del ranking mondiale, primo spagnolo di sempre ad arrivare in vetta. Poi il feeling con Navarro si è rotto, perché entrambi – Lebron per primo – hanno un bel caratterino e fra i due iniziava a nascere qualche frizione (“sentivo che a causa del padel stavamo rovinando la nostra amicizia”), ma per “El lobo” non è stato affatto un problema. Anzi, numeri alla mano ha trovato un compagno ancora migliore in Ale Galan.



In un 2020 avaro di tornei a causa della pandemia loro sono comunque riusciti a vincerne sei, e quest’anno si sono già imposti ad Alicante, Santander e lo scorso fine settimana a Marbella, nel primo Master stagionale. Fanno 9 titoli insieme in poco più di un anno, i quali gli hanno permesso di superare il duo Navarro/Gutierrez, diventando già la quarta coppia più vincente dalla nascita del World Padel Tour. Per agguantare i 35 titoli di Bela/Lima dovranno restare insieme ancora parecchi anni, il che non è affatto scontato visto che i cambi di coppia sono oggi molto più frequenti di un tempo, ma non ci sono dubbi sul fatto che il rendimento che i due sanno raggiungere uno a fianco all’altro, per intensità, fisicità, potenza e copertura del campo, sia difficilmente avvicinabile da chiunque altro.

Nel caso di Lebron, uno dei segreti del suo successo è la musica. “Il mio mental coach – dice – mi ha raccomandato di ascoltare musica prima di ogni match, e contemporaneamente visualizzare con la mente i migliori colpi delle partite precedenti. È un modo per concentrarsi al 100%, preparando un’altra prestazione al top”. Lui lo fa con la musica elettronica, non esattamente l’ideale quando l’obiettivo è quello di rilassarsi, ma i risultati dicono che funziona. È anche così che è diventato in fretta uno dei più forti giocatori di padel della storia, con ancora (volendo) almeno una quindicina d’anni di carriera davanti a sé.

E anche con un sogno che nel mondo del padel accomuna sempre più giocatori: le Olimpiadi. Un tempo un miraggio, oggi un traguardo sempre più vicino. “Sono il massimo, per uno sportivo non c’è nulla di più importante. Mi piacerebbe giocarle, e vincere una medaglia”. Di che metallo? Inutile chiederlo: Lebron non si accontenta mai. Anche per questo è uno dei più grandi.

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