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Champagne Shapovalov

Dopo la vittoria su Pablo Carreno Busta, la sfida al numero 1 del mondo Novak Djokovic misurerà i suoi progressi. Giocare sul rosso non gli piace, ma gli fa bene. Lo induce alla pazienza e a incanalare l'istinto. A giocare da lupo, come l'immancabile mascotte Storm

di | 13 maggio 2019

Denis Shapovalov (foto Giampiero Sposito)

Storm, un nome un perché. Niente è casuale nella scelta di Denis Shapovalov di battezzare così la sua mascotte, un lupo bianco di peluche. Non è tanto un amuleto, ma in campo lo fa sentire bene, gli consente vibrazioni positive. Storm, tempesta, è un po' l'effetto delle sue accelerazioni che allargano il campo, che spazzano il campo e l'avversario. Il tempo prende velocità nelle dimostrazioni di un talento che basta alle sua mani e di una mente che sa tener dietro al balenio di un pensiero fulmineo. “Ci consideriamo i Grandi Lupi Bianchi” ha detto qualche tempo fa a proposito del suo team. E un po' lupo, raccontava, si sente anche lui.”Fuori dal campo mi piace scherzare, ma quando gioco, quando inizia la caccia, allora divento fiero. A quel punto tiro fuori le zanne”.

La disciplina della terra

Quel lato serioso, applicato, l'ha preso dalla mamma Tessa. Ex giocatrice sovietica che gestisce un'accademia a Vaughn, in Ontario, è lei che gli fa da coach. Di lei si fida più di chiunque altro. Gli ha cambiato anche il movimento di servizio, gli ha messo le basi del gioco, lo induce all'autodisciplina. Gli serviranno eccome, le zanne, contro Novak Djokovic al secondo turno degli Internazionali BNL d'Italia. Il primo assaggio della terra battuta di Roma, il 6-3 7-6 allo spagnolo Pablo Carreno-Busta, arrivato ai quarti al Foro un anno fa, è già un segnale. Tre volte semifinalista in un Masters 1000, l'ultima a Miami quest'anno, aveva perso in tre tiebreak l'unico precedente confronto diretto allo Us Open del 2017. A Roma non ha offerto palle break, ha vinto cinque punti in più negli scambi brevi e nove in più (25 a 16) in quelli chiusi tra i cinque e i nove colpi. Ha ottenuto un punto diretto ogni tre servizi, ha messo in campo in percentuale più risposte, dominato col dritto che incide sul rovescio dell'avversario (cinque vincenti in più, un gratuito in meno).

Giocare sul rosso non gli piace, e non l'ha mai nascosto. È una medicina un po' amara ma necessaria, e sa che gli fa bene. E non solo perché in due set ha interrotto una striscia di quattro sconfitte consecutive. Perché nel conflitto tra istinto e ragione, nella ricerca di un punto di bilanciamento tra la velocità di un pensiero votato al desiderio di perfezione e la consapevolezza che il tennis sia sport anche di conservazione, si gioca il futuro.

 

A Roma si è allenato con Jannik Sinner: hanno parlato poco ma l'impatto e l'approccio dell'azzurro non l'hanno lasciato indifferente. Vorrebbe giocare un set da 24 vincenti, offrire uno spettacolo che non si dimentica, squadernare tutte le declinazioni del talento e dell'estetica, che sarebbe troppo riduttivo, nel tennis e non solo, considerare sinonimi. Ma la chiave del successo sta nella scelta del momento in cui attaccare, sta nell'incanalare l'istinto senza snaturarlo. E il rosso, dove comunque si diverte a scivolare, lo costringe a pensare, a non lasciare solo fluire l'ispirazione. Lo chiama a rallentare e accelerare, a giocare anche qualche colpo non definitivo come preludio all'illuminazione improvvisa.

Il bello e l'utile

Gioca bene, ma a volte ancora si concede il piacere di mettere il bello davanti all'utile, di essere in questo meno “lupo”, con quella mano che può essere piuma e può essere tempesta.

 

Accarezza e spacca la palla, valorizza un senso della coordinazione che gli permette di tirare quei rovesci al salto mancini a una mano che fanno scatenare sulle tribune gli “ooh” di tutti, bambini e non solo. Li gioca perché sa di poterli controllare, di avere quel colpo in un ventaglio di possibilità rischiose ma raramente azzardate. Gioca senza farsi domande e non pone agli avversari domande della cui risposta non sia ragionevolmente sicuro.

È un volo a planare, il suo, che atterra ancora contro Novak Djokovic, il numero 1 del mondo, come all'Australian Open. Fu uno dei soli due giocatori, insieme al russo Daniil Medvedev, a togliergli un set durante la trionfale campagna d'Australia. Ma non diede mai l'impressione di essere in partita, di poterla ribaltare.

 

Roma misurerà anche la sua nobiltà. La nobiltà di un lupo non solitario, che si diverte con i videogame e le serie tv, un po' showman anche con gli amici. Su tutti quel Felix Auger-Aliassime che ha affrontato al primo turno a Madrid. Ha perso in due set, ma giocare così presto contro il migliore amico comunque in uno dei primi Masters 1000 che possono condividere con qualche ambizione, non è facile. E i messaggi di incoraggiamento reciproco che si sono lasciati sui social dopo la partita, da cui traspariva il dispiacere per un match-up che probabilmente continueranno a voler evitare, confermano il valore di un'amicizia non solo sportiva.

Il lupo con l'indole da rapper, che ha pubblicamente dimostrato con un'esibizione volenterosa e autoironica dopo il successo su Marin Cilic a Indian Wells. È un uomo di spettacolo, che ad ogni colpo sembra voler dire: a me gli occhi, please. È un surfista in attesa dell'onda perfetta. Sospeso tra il meglio e il buono, tra il giovanile entusiasmo di chi cerca tutto e subito e la disciplina della terra. In attesa del momento in cui il tempo prenderà velocità. Sarà l'esplosione di una champagne supernova nel cielo del tennis.

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