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Coppa Davis, Mark Woodforde svela: “Assegnare punti ATP è un’opzione per il futuro”

Intervista al presidente del Davis Cup Committee che per il sito di SuperTennis racconta le sue impressioni della fase a gironi a Bologna e le sfide per il futuro della competizione

di | 15 settembre 2023

Mark Woodforde (foto Sposito)

Mark Woodforde (foto Sposito)

La Coppa Davis “è un grande onore, ma non possiamo poggiare solo su questo”. Mark Woodforde, che l’ha vinta nel 1999 ed è oggi presidente del Davis Cup Committee e membro del Consiglio direttivo dell’ITF, è consapevole che i tempi sono cambiati. Resta il fascino di una competizione che comporta emozioni e pressioni diverse e spesso azzera le differenze di ranking, ma il rapporto con la nazionale è cambiato perché, dice, “il tennis si è evoluto, il circuito ATP prospera e i giocatori hanno molte più opzioni tra cui scegliere”.

Resta in piedi, svela in questa intervista a SuperTennis.tv, l’opzione di tornare ad assegnare punti validi per la classifica. Woodforde ci spiega anche a che punto è la partnership con ATP, annunciata l’autunno scorso prima del divorzio con Kosmos. E con orgoglio difende la centralità del doppio, lui che insieme a Todd Woodbridge ha vinto undici dei suoi dodici Slam e due medaglie olimpiche.   

Che impressioni ha avuto in queste giornate della fase a gironi a Bologna?

Adoro Bologna, in Italia sono stato in diverse città da giocatore ma non ero ancora mai stato qui. Dal punto di vista logistico è una scelta felice: Firenze è vicina, Milano anche, Roma è distante un paio d'ore. Geograficamente avere la possibilità di convogliare gli spettatori per la Davis è molto importante. Devo dire che ho avuto feedback molto positivi per quanto riguarda Bologna. Credo che questa sia stata una settimana positiva, la Coppa Davis genera sempre passione, e in campo la classifica non conta sempre: ci sono giocatori che elevano il loro livello, altri invece che non riescono ad esprimersi. Certo, mi piacerebbe vedere più pubblico qui nei giorni in cui non gioca l'Italia, ma le presenze non sono state così basse e su queste basi possiamo costruire il futuro della Davis.

E’ cambiato, secondo lei, il modo in cui i giocatori sentono la passione, la responsabilità di giocare per la nazionale?

Quando giocavo io, il tennis non aveva così tanti tornei in calendario come adesso. Penso che il rapporto con la nazionale e la Davis sia cambiato, perché il tennis si è evoluto. L'ATP Tour prospera, ci sono tanti tornei a vari livelli. Ci sono giocatori per i quali giocare per la loro nazione non è una priorità perché il circuito sta facendo tanto anche in termini di prize money. E consideriamo che la Coppa Davis non coinvolge soltanto le squadre presenti nella fase a gironi, ma oltre 150 nazioni. Quella di non venire a giocare la Coppa Davis è una decisione personale. Noi abbiamo un canale di comunicazione con i giocatori, ma siamo un’organizzazione di nazioni. Cerchiamo di raccogliere tutte le informazioni e i feedback, dobbiamo considerare anche il calendario e la presenza di altre competizioni a squadre che mettono in palio prize money alti. La Coppa Davis è sempre stata la competizione più grande, più prestigiosa nel nostro sport. Oggi, però, per i giocatori ci sono molte più opzioni.

Per quanto riguarda la sfida di attrarre un maggior numero di tifosi quando non c'è la nazione ospitante in campo nella fase a gironi o alle Finals, state parlando con giocatori? Pensate a cambiare qualcosa nel futuro?

Per arrivare a questo formato, c'era stata un'ampia consultazione con i giocatori. Poi quando si è andati al voto, quasi il 75% delle nazioni si è espresso a favore del nuovo format. Tutti erano consapevoli che eliminare il modello precedente, in cui per ogni partita di ogni turno una squadra giocava in casa, e passare a questa versione simile a un Mondiale del tennis, avrebbe portato a giornate più difficili quando la nazione ospitante non fosse stata in campo. Ma anche nei tornei del circuito ATP ci sono giornate con meno pubblico, spesso le prime, in cui i tifosi non riempiono lo stadio. Abbiamo discusso la questione nel Committee, nel board dell'ITF, all'epoca con Kosmos. Quel che è certo è che nel vecchio format la Coppa Davis stava morendo. C'erano nazioni che non volevano organizzare i tie, anche nelle categorie più alte della manifestazione, perché economicamente non sarebbero rientrate dei costi.

Stiamo comunque raccogliendo feedback in tutte le città sedi dei gironi per capire come migliorare. La Coppa Davis resta un valore, e secondo me non celebriamo abbastanza i giorni di successo, come quelli in cui abbiamo riempito gli stadi a Bologna o a Manchester questa settimana. Queste occasioni ci dimostrano quanta emozione, quanta passione ancora riesca a generare la Coppa Davis. Una delle riflessioni che potremmo comunque fare è: c'è bisogno di giocare in stadi da 8 mila posti come a Bologna, o da 12 mila come a Manchester, a questo punto della competizione?

La partnership con ATP va avanti?

Sì, è iniziata quando c'era ancora Kosmos e va avanti. Per noi è importante lavorare con il massimo della coesione. L'ITF è una delle sette organizzazioni che governano il tennis, per noi è importante avere questo rapporto con ATP per il futuro di questa competizione. Né l’ITF né il Davis Cup Committee hanno scelto la settimana in cui giocare la fase a gironi, ad esempio. Riuscire a lavorare insieme con ATP permetterà non sono di ragionare insieme del calendario, ma anche di darci aiuto reciproco nel promuovere gli Slam, i Masters 1000 e la Coppa Davis, uno dei pilastri del nostro sport.

 

In futuro, la Davis tornerà ad assegnare punti validi per la classifica ATP?

Abbiamo discusso questa opzione, ed è ancora sul tavolo. C’è un'altra competizione a squadre a inizio stagione, la United Cup, che li assegna. Come ho detto, i giocatori oggi hanno tante opzioni. La Coppa Davis si gioca dopo gli slam, noi speriamo che i giocatori si impegnino a disputarla, perché far parte della Coppa Davis rimane un grande onore, ma non possiamo poggiare soltanto su questo concetto. Assegnare punti rimane un’opzione, ne abbiamo parlato e vale la pena continuare a farlo con ATP.

Da icona del doppio, è orgoglioso di vedere questa specialità ancora più importante in Davis con questo formato?

Per me essere un tennista è essere un singolarista settimana dopo settimana e insieme essere un doppista. Personalmente credo che a volte abbiamo dato eccessivamente enfasi alle stelle del singolare, e creato due sentieri separati per chi gioca il singolare e per gli specialisti del doppio. Mi piacerebbe vedere più giocatori essere in campo sia in singolo sia in doppio, perché potrebbero essere anche giocatori migliori.

In Coppa Davis, il doppio è sempre stato parte integrante della competizione. Da presidente del Committee, voglio che lo rimanga. Anche per questo nel 2019 abbiamo esteso il numero di giocatori che i capitani possono convocare, portandolo da quattro a cinque, perché ci possono essere coppie di doppio che è giusto facciano far parte della line-up di una nazione. Questa settimana ci ha confermato quanto il doppio sia parte, e sarà parte, di questa grande manifestazione.

Mark Woodforde e Todd Woodbridge con la medaglia d'oro olimpica vinta nel 1996 ad Atlanta

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